Oggi, da una prima e fugace ispezione, gli occhi mi sembrano più gonfi del solito e si sono soffermati a contemplare le precoci colonie di pelo bianco che occupano il mio cuoio capelluto.
Vene ed arterie mi assomigliano. Ottuse.
Il transito sanguigno ne subisce le conseguenze deleterie. Certe volte i crampi alle gambe sono capaci di togliermi il respiro.
Inizio a passare la lama sulla guancia destra per eliminare un sottile strato di barba, sempre più dura. Mia madre non condivide questa abitudine. Sostiene che senza sembro un ragazzino.
Magari. Potendo precipitare nel passato remoto della mia esistenza, farei sicuramente altre scelte, eppure non esiste passatempo più sterile della speculazione sui “se”.
Le regole del gioco sono chiare.
Si può andare solo avanti.
Prendere o lasciare.
La seconda opzione implicherebbe soluzioni drastiche o gesti estremi e io non sono mai stato il prototipo esemplare di maschio alfa coraggioso.
Accetto, dunque, le condizioni e proseguo. Non ho altra scelta. Sto trasformando la mia esistenza in un esperimento etico.
Devo smettere di chiedermi se le mie azioni mi facciano stare bene. Ho il dovere di procedere su questi binari. Non riesco a cogliere l’utilità di sprecare quote di preziosa energia nella ricerca di motivazioni. Si tratta di una questione morale.
Devo perché devo.
Mio padre
Mio padre ha da poco compiuto settantuno anni. E’ alto e terribilmente magro.
Da qualche tempo la sua schiena ha cominciato a scricchiolare più del solito ed il collo sembra fare molta più fatica a reggere quella grossa testa ovale.
Ha una gobba piuttosto marcata ed appare davvero come un dromedario a due zampe. Ho sempre detestato dromedari e cammelli.
Sul naso porta la solita montatura per le sue spesse lenti di vetro. Si presenta di un gelido metallo verdastro e sottile. Gli assomiglia, così scheletrica e malandata. Le viti che la tengono insieme sono talmente usurate da fare fatica a trattenerla sull’attaccatura tra naso e fronte.
Risulta sempre più facile imbattersi nel suo nuovo sguardo, nudo ed incerto, per via degli occhiali che scivolano sulla punta nasale.
«Sono Enrico, pa’» gli dico, per riportarlo nella dimensione dei nostri rari e fugaci incontri.
Le dita, aliene e stanche, costringono il supporto ottico a rimettersi in sesto per arrampicarsi ancora una volta fino a fronteggiare le sue grosse pupille verdi.
«Non sono mica rincoglionito» è solito rispondere, seccato.
E’ un maschio avanti con l’età come tanti. Fa fatica a metabolizzare la realtà, che può dimostrarsi davvero crudele, soprattutto per gli uomini di scienza come lui, abituati a fornire sempre le risposte giuste con delle argomentazioni calzanti.
Sono cresciuto con la convinzione che mio padre, il dottor Marco Casuro, sapesse tutto. Perché il sole sorge ad oriente? Cos’è un’eclisse lunare? Come funziona un motore? Qual è il segreto che riesce a fare funzionare ancora Sandra e Raimondo?
Alle mie orecchie ogni sua spiegazione risultava convincente ed esaustiva. Spesso non si rendevano necessarie ulteriori domande. Era quasi impossibile coglierlo impreparato, eppure adesso appare così impacciato rispetto alle sue inedite fragilità, che quasi sono indotto a provare tenerezza per lui e la sua nuova condizione.
E’ andato in pensione.
Non saprei dire se sia stato un buon padre e nemmeno coltivo l’ambizione di emettere un fatidico verdetto a tal proposito.
Vive da sempre due vite parallele. Una immersa nella realtà quotidiana, impregnata di routine e scadenze periodiche, e l’altra in qualche misteriosa struttura esistenziale. Al mare tutto diventava più tangibile.
Quando finalmente si sarebbe potuto godere le poche settimane di ferie estive, preferiva trascorrere le giornate sulla sdraio senza nemmeno concedere ai suoi lunghi piedi di crogiolarsi beati tra i granelli della morbida sabbia salentina.
Li costringeva a restare incastrati in quelle rozze ciabatte di plastica colorata, acquistate chissà dove e quando, magari sulle bancarelle di una sagra di carne aliena in una lontana galassia del sud dell’universo.
Il busto restava sempre coperto con qualche maglia a tinta unita rosse o verdi, che comprava in batterie nella merceria di fiducia vicino casa.
Di rado, quando riusciva a sfuggire ai rigidi controlli di mia madre, si concedeva la passerella con una terribile canotta bianca, grazie alla quale diventava impossibile occultare un esercito di barbari peli neri e spessi, che invadevano ogni parte della sua cute color latte.
Avrete capito che non ho mai pensato che mio padre potesse essere un bell’uomo.
Nella foresta di ombrelloni di tela azzurra del lido Ciak si mescolavano voci e dialetti diversi.
Qualcuno tracciava il bilancio dell’ultima stagione della propria squadra del cuore, altri descrivevano agli amici del mare le ultime soddisfazioni professionali conseguite, in tanti si accontentavano di farsi compagnia parlando del più e del meno in un contesto di gradevole confusione generale.
Ci va l’aceto sul cefalo arrosto? Hai saputo che Tizio ha lasciato la moglie?
Mio padre non ha mai partecipato a questi deliziosi banchetti di innocui pettegolezzi. Esistevano lui ed il suo giornale, ossessionato com’era dall’economia, nonostante fosse un fisico.
«Ma perché non ti iscrivesti ad Economia?» gli chiesi molto tempo fa, esasperato dal vederlo incollato ad una pagina ingiallita di una rivista asiatica di politica economica.
«La trovo così noiosa…» rispose, senza distogliere lo sguardo dalle righe del testo.
Non si può dire, tuttavia, che sia un dandy radical chic. Non credo che avrebbe mai potuto recitare da protagonista in un film di Paolo Sorrentino.
Marco Casuro non è malinconico, la sua vita non contempla dimensioni ulteriori rispetto alla materia. Credo che non rifletta, non giudichi, non abbia l’ambizione di sentirsi vivo o utile.
Consiste in un intricato groviglio di ossa, carne e logica deduttiva. Si diverte a speculare sulle conseguenze economiche di qualsiasi fenomeno sociale o naturale.
Credo che sarebbe capace di scrivere un trattato scientifico anche sull’amore per farselo pubblicare nelle ultime pagine di qualche quotidiano. Scommetterei sul titolo “Il fenomeno dell’amore. E’ un affare conveniente?”.
Non si pensi nemmeno che sia un uomo d’affari. Tutt’altro.
E’ stato un impiegato logorato dalla noia.
Mia madre ha sempre sostenuto che questa scelta fosse stata la perversa e scellerata reazione alla più grande delusione della sua vita.
Si era laureato in Fisica col massimo dei voti e nel minor tempo possibile, nonostante i mesi
estivi della sua prima giovinezza trascorsi a raccogliere pesche ed albicocche nei frutteti della
bassa Murgia con i suoi fratelli e nonno Rosario.
Si era, quindi, illuso che col ’68 la Storia avesse iniziato a prendere un’altra piega.
La mamma descrive un ragazzo fiero del polverone innestato dalle proteste dei movimenti
studenteschi finalizzati ad incentivare la riforma di un Paese vecchio nelle sue viscere.
Aveva partecipato attivamente a quel trambusto generale, tra notti insonni, colpi di testa,
polmoni neri di fumo e pericolosi arsenali di idee fresche e progressiste.
Solo qualche anno dopo, tuttavia, dopo non essere risultato idoneo nella graduatoria per
l’accesso al corso di dottorato, gettò immediatamente la spugna e cercò soluzioni più
comode.
Bisognava guadagnare.
L’occasione fu uno stipendio ragionevole per una scrivania a tempo indeterminato negli uffici
del meraviglioso palazzo barese dell’acquedotto, in via Cognetti, a due passi dal lungomare.
Se qualcuno lo esorta a tergiversare sull’argomento, si limita a sostenere che esistono
biografie ben più interessanti per le indagini dei curiosi.
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