Le uniche scuole si trovavano a Tonka, circa dieci chilometri più a est, sulla stessa sponda del Niger. I bambini erano costretti ad andare e tornare a piedi, ma evitavano la strada statale e camminavano lungo il fiume, su una pista che aveva migliaia di anni. A volte coprivano il tratto interamente di corsa. Quelli di loro che potevano permettersi un paio di scarpe le conservavano per la scuola, legandole con i lacci intorno al collo mentre camminavano o correvano. Le piante dei loro piedi erano dure come cuoio invecchiato.
Mamadou viveva con la famiglia in una delle case più vicine al fiume. Divideva le sue giornate tra la scuola e la compagnia di alcuni griot, veri e propri cantastorie presenti in Africa occidentale che tramandano le tradizioni locali. Lo fanno cantando e suonando lo xalam, un piccolo strumento a corde che accompagna i loro racconti. Mamadou era rapito dalla loro voce ma, soprattutto, dalla musica. Il suo più grande sogno era poter andare un giorno nella capitale, Bamako, ad assistere a uno dei tanti festival musicali che si alternavano durante l’anno. Ma la città era lontana quasi mille chilometri, e lui non era mai andato oltre Tonka.
Il padre era un pescatore che batteva il Niger per rifornire l’industria ittica del Paese e per portare in tavola qualcosa che non fosse riso o miglio. Si assentava per giorni, che a Mamadou sembravano infiniti, fino a quando, un mese prima, il vecchissimo peschereccio era affondato, gettando la famiglia nello sconforto più nero. Le quattro sorelle di Mamadou contribuivano alle poche entrate familiari facendo le lavandaie o cucendo i vestiti tradizionali, ma i suoi due fratelli erano molto piccoli e gli stomaci da riempire, dopo quella disgrazia, erano diventati improvvisamente troppi. Inoltre, si avvicinava la stagione delle piogge, che avrebbe reso la vita ancor più difficile.
Una sera di inizio maggio il padre chiamò Mamadou e gli chiese di accompagnarlo verso il grande corso d’acqua. Il bambino stava imparando a scrivere in francese sulla poca carta disponibile mentre sua madre preparava la cena: riz au gras, riso cotto con il grasso di agnello e verdure. La donna lanciò un’occhiata supplichevole al marito, che scosse impercettibilmente la testa. Mamadou sistemò le poche cose che stava utilizzando e, docile, seguì il padre fuori. Si incamminarono verso il fiume, del quale sentivano lo scorrere e i gorgoglii; in quel punto era largo circa quattrocento metri. Una penisola di sabbia si protendeva all’interno del Niger come un grosso dito. Arrivarono all’estremità e si sedettero. L’odore del fiume si spandeva per chilometri.
«Devi partire» disse il padre.
Il bambino alzò la testa di scatto. «Partire? Per dove?»
«Per l’Europa.»
Dopo qualche secondo, il piccolo capì. Molti abitanti dei dintorni, nel corso degli anni, avevano tentato la fortuna. “Europa.” Una parola che evocava speranza e salvezza. Di quasi tutti loro, però, si erano perse le tracce.
Gli occhi di Mamadou si riempirono di lacrime. Era come se un masso gli fosse stato poggiato sul petto. Il respiro gli mancò e non ebbe il coraggio di fare altre domande. Non era contemplato interrogare due volte di seguito suo padre, meno che mai contraddirlo. Quello, quindi, proseguì.
«Non abbiamo più niente. Anche mangiare diventerà un problema, nelle prossime settimane. Le tue sorelle, Djemera e Amara, andranno a Kalabancoro, dalla zia Nahawa. Ma non abbiamo altri parenti, e io devo pensare ai tuo fratelli più piccoli. Altrimenti dovremo partire tutti» disse l’uomo mentre si passava la grossa mano tra i capelli corti e folti.
Il significato di quella frase era chiaro. Se Mamadou non avesse accettato di andare, il padre sarebbe stato costretto a far affrontare la traversata a tutta la famiglia, mettendo a rischio molte più vite. Se invece avesse accettato, la sua partenza, insieme a quella delle sorelle, avrebbe reso possibile la sopravvivenza del nucleo familiare. Mamadou strinse gli occhi per impedire alle lacrime di schizzare fuori e al suo cuore di dare sfogo alla rabbia e al dolore che sembravano mangiargli le viscere, ma non poté impedire a un singhiozzo di trovare la strada. Il rumore che gli uscì dalla gola era simile al barrito di un elefante.
Attraverso le lacrime, guardò il padre, quell’uomo silenzioso che aveva lottato tutta la vita contro la fame e la povertà per garantire a tutti loro un minimo di avvenire. Capì che non aveva scelta.
La sclera degli occhi di Youssou, così si chiamava suo padre, era giallastra, mentre la luna scagliava le sue lance di luce sul grande fiume. Ma quando grosse lacrime cominciarono a scorrere sul bel volto bruno dell’uomo, Mamadou capì che quello che gli stava offrendo era un regalo, un atto d’amore e disperazione insieme. Suo padre guardò verso il Niger, che da fonte di vita era improvvisamente diventato il nemico più odiato, poi si voltò e piantò gli occhi umidi in quelli di Mamadou.
«Perdonami, figlio mio.»
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