Ciò che chiamiamo realtà è solo un punto di vista. O forse è solo ciò che la nostra vista è abituata a vedere.
Nell’ordinaria quiete del piccolo paese di Cumana, la scomparsa di una madre e di suo figlio riporta alla luce un oscuro scenario che era rimasto occulto per anni. L’indagine fa riemergere la vocazione dell’ex capitano dei Carabinieri Paolo Bertoni, in pensione dopo una carriera nota per gli innumerevoli casi di ritrovamento di persone. Tutti tranne uno: sua figlia. La sua intraprendenza e il contributo del Maresciallo Vittorio Ventola, complice e amico fidato, faranno strada a un percorso non convenzionale, intricato e inquietante segnato dall’apparizione di simboli esoterici, dialoghi enigmatici e fortuite
coincidenze. Il regista degli eventi è il destino, che, fedele alla sua natura, guiderà il corso della trama attraverso l’imprevedibile accadere delle cose.
“Entra pure”, sembra bisbigliare, nascosta tra il fruscio del vento e il fremito dell’erba, “non avere paura. È solo una storia. Una delle tante che attraversano questa vita come corsi d’acqua silenziosi sotto la superficie. Che sia inventata, immaginata, sognata, o che abbia effettivamente toccato il nostro mondo materiale.. quello che consideriamo oggettivo, che chiamiamo “reale”.. bè, in fondo, che differenza fa? È stata creata. Questo è quanto.”
E non è forse l’unica cosa che conta?
Perché abbiamo scritto questo libro?
L’incontro con il mio co-autore Roberto Maestrelli è avvenuto per caso. Lui ha iniziato a scrivere questo libro per gioco e aveva bisogno di una persona che glielo sistemasse. Dopo aver letto il testo sono stata richiamata dalla trama, dalla simbologia e dai temi trattati. Tramite il personaggio di Amelia, introdotto da me, ho avuto l’opportunità di parlare di spiritualità ma attraverso un giallo! Grazie ai racconti di questo personaggio enigmatico, i protagonisti potranno risolvere… o forse no?
ANTEPRIMA NON EDITATA
introduzione
Immagina di essere davanti a un quadro e di scivolare dentro, dimenticando la cornice.
Intorno a te si stende un paesaggio rurale, dalle linee vivaci e dai contorni marcati, quasi primitivi. I colori sono esotici e molto accesi, rispettano poco la realtà visiva ma portano ad un’esperienza emotiva carica di simbolismo e di mistero: un percorso diretto dall’occhio alla pancia. Lo spazio sembra quasi piatto, bidimensionale, la profondità prospettica del tutto assente.
Sei dentro un sogno… o forse, dentro un dipinto di Gauguin.
Dopo aver preso una certa dimestichezza con la nuova dimensione sensoriale, lo scenario diventa dinamico. Le forme semplificate iniziano a muoversi, i contorni si sfumano guadagnando improvvisamente movimento e profondità. Le ali degli uccelli si distendono e le nuvole paiono emergere dalla condensa dell’aria. In un vortice multicolore, fiori e farfalle danzano insieme, mentre alberi e colline riempiono l’ambiente di suoni, e anche di silenzi.
Da dentro il quadro, il bassorilievo si estende e il panorama si apre alla sua multidimensionalità. L’orizzonte sembra abbracciarti: ti ingloba all’interno di sé… e attraverso di sé.
Senti il caldo sulla pelle, qualche gocciolina di sudore sulla fronte. È estate e il caldo è torrido. Sgranando un po’ gli occhi, dopo l’abbaglio cromatico fluorescente dovuto alla lunga esposizione alla luce intensa, i colori si fanno meno saturi e lentamente un’immagine precisa si mette a fuoco. Tra la pace della campagna, un piccolo cottage di mattoni rievoca ricordi nostalgici. L’acqua di una piscina brilla come una gemma al sole, mentre papaveri selvatici, ortensie e rose variopinte colorano il giardino di un vero paradiso abitato.
Le porte si aprono alla storia di un’altra realtà: abbastanza vicina da poter essere osservata ma troppo distante per potervi interagire direttamente. Un corvo nero squarcia l’orizzonte, interrompendo la quiete subliminale di un attimo prima. La terra, madre di tutti gli eventi, sussurra l’eco di un boato lontano, custodendo nell’aria un messaggio.
“Entra pure”, sembra bisbigliare, nascosta tra il fruscio del vento e il fremito dell’erba, “non avere paura. È solo una storia. Una delle tante che attraversano questa vita come corsi d’acqua silenziosi sotto la superficie. Che sia inventata, immaginata, sognata, o che abbia effettivamente toccato il nostro mondo materiale.. quello che consideriamo oggettivo, che chiamiamo “reale”.. bè, in fondo, che differenza fa? È stata creata. Questo è quanto.”
E non è forse l’unica cosa che conta?
CAPITOLO 1 – Foschia familiare
24 giugno 2012
La routine mattutina segue il suo ritmo usuale: alle 7:30 in punto suona la sveglia e Martina è già in cucina a preparare la colazione. Il sole si affaccia timidamente dietro le case, gettando una luce dorata sul tavolo ancora disordinato. Luigi si precipita in doccia, lasciando dietro di sé una scia di vapore dal profumo fresco di sapone. Nel frattempo, in soggiorno, il piccolo Mattia, ancora assonnato, guarda i cartoni animati con gli occhi socchiusi, mentre ombre e luci dei personaggi animati si riflettono danzanti sul suo viso.
Poco più tardi, la famiglia si riunisce intorno alla tavola del soggiorno. Le tazze fumanti di caffè e latte emanano un aroma invitante, mescolandosi a quello delle brioches appena sfornate e ai biscotti della nonna. È un momento di tranquillità e connessione, un breve intervallo di pace prima che il caos quotidiano possa prendere il sopravvento.
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“Martina, che fai oggi?”
“Pensavo di fare un saluto a Carla. Tornerai tardi dal lavoro?”
“Spero di no, l’ultimo cliente è alle sette”.
Come recita un vecchio detto, “ogni famiglia è una storia a sé”. Questa non è certo un’eccezione. Osservando la loro dinamica quotidiana, non si può fare a meno di notare il forte desiderio di bilanciare vita professionale e familiare. Nonostante le sfide personali, le differenze caratteriali e la difficoltà nell’identificazione con i vari ruoli sociali, quando la volontà è autentica, è possibile costruire dei legami dolci e puri. È proprio questo, in fondo, che rende una famiglia straordinaria nella normalità del bene.
La casa che scelgono di abitare diventa un simbolo magico di questa coesione familiare, percepita da tutti come avvolta da un’aura di calore e accoglienza. È un rifugio sicuro nel mondo, un luogo rassicurante, ideale per seminare i propri valori e coltivare l’anima di una bella famiglia, nutrita ogni giorno da piccoli gesti densi di significato.
Luigi è un rinomato fisioterapista, stimato e rispettato da una vasta clientela di atleti e celebrità che si affidano ciecamente alle sue mani. Martina, la moglie, è stata un architetto di formazione. Pur avendo appeso le matite al chiodo, non ha mai abbandonato il suo estro creativo. Nel cuore della famiglia c’è Mattia, un incrocio vivace e imprevedibile dei due genitori, con un carattere pestifero e la sorprendente abilità di guadagnarsi il perdono. La sua natura combina la genialità della madre alla cura e dedizione del padre, un tesoro prezioso nella vita di entrambi.
“Ciao amore, ci sentiamo più tardi” dice Luigi avviandosi verso la porta.
“Luigi, per piacere, fammi sapere se rientrerai per cena” aggiunge Martina con voce lievemente preoccupata.
“Va bene cara” risponde lui calmo.
Chiusa quella porta però, la scena si apre ad una dimensione più profonda, ricca di sfide emotive e conflitti interiori. Martina si trova immersa in un mondo colmo di solitudine: suo figlio, il suo grande amore, sembra portarle via il respiro, mentre un vuoto interiore si insinua sempre di più. Il suo stato emotivo oscilla tra momenti di irascibilità e vulnerabilità. Sebbene sia di indole calma ed ispirata, nei momenti più difficili mostra segni di cedimento: le sensazioni di disagio diventano ostacoli da superare. Segretamente, Martina teme di perdere il controllo sulla propria vita.
Nell’aria si avverte una sensazione inquieta e rarefatta, le grida di Mattia squarciano il silenzio.
“Mattia, per piacere stai fermo. Non riesco nemmeno a legarti al seggiolino”.
La sua Mini Countryman Oxford Green si avvia e finalmente parte. Percorre cinquecento metri di strada, il tempo necessario per immettersi sulla provinciale. Nessuna abitazione intorno a lei. Mentre guida, i pensieri le avvolgono la mente: bambine, donne, e ancora bambine. Il suo sguardo si sposta più volte sullo specchietto retrovisore, come se cercasse di visualizzare qualcosa del passato, alle sue spalle. Il suono del cellulare la riporta alla realtà. È sua cugina Carla.
“Ciao Carla, pensavo proprio a te. Posso passare a trovarti con Mattia? Ho bisogno di parlarti”
“Oh, scusami cara, oggi è mercoledì! Ho un appuntamento dal dentista. Ti aspetto domani così pranziamo insieme. Come stai?”
“Non lo so, non sono tranquilla”, risponde svogliatamente Martina.
Con delicatezza, si tocca gli occhiali da sole che aveva sistemato tra i capelli, come un cerchietto, facendoli scivolare sugli occhi, quasi volesse nascondere il viso dai suoi stessi pensieri.
“Fai sempre quei sogni?”
“Si, sempre gli stessi… Stanze buie, bambine, poi ancora donne, bambine.. e grida d’aiuto angoscianti. Mi tolgono minuti di vita”.
“Prendi ancora le pillole?”
“Si e credo non servano più a nulla”, prosegue Martina con convinzione.
D’altronde i farmaci ormai non fanno che renderla solo più stanca e intontita e rischiano di disinnescare del tutto l’attenzione che prima dedicava a comprendere le ragioni della sua inquietudine.
“Senti la dottoressa Marelli, puoi sempre sostituire la cura. Luigi piuttosto.. cosa dice?” continua la cugina con tono interessato.
“Per lui va tutto bene, non capisce, non mi ascolta. Vive nel suo mondo dorato, oltre al suo lavoro esiste solo quel maledetto giardino“. Martina era infastidita, aveva toccato una ferita scoperta. “Va bene Carla, ora ti lascio. Ho la sensazione di aver sbagliato strada. Ci sentiamo domani”.
“Certo, a domani cara, un abbraccio.”
Due poiane solcano il cielo, dirigendosi verso le cime montuose. L’occhio attento di Mattia, dal finestrino, non perde neppure per un momento il loro volo, mentre l’auto procede lungo la strada senza una meta precisa. Quel tratto, tra colline e montagne, evoca in Martina ricordi del suo passato: la voce calda e rassicurante di suo padre al volante, mentre rideva di qualche battuta sentita alla radio, e l’andamento costante della macchina che cullava la sua immaginazione. La visione era così lucida che Martina sentiva di poterla rivivere ad occhi chiusi, fino a dimenticarsi di essere immersa in un ricordo. Stava facendo un viaggio dentro la sua memoria, un percorso segnato dal ritmo delle ruote sull’asfalto, che suonava come una colonna sonora familiare. Il suono era ormai una parte inscindibile di quel paesaggio naturale, come provenisse da quello stesso quadro.
Martina, però, da un po’ di tempo a quella parte, percepiva la realtà circostante come illusoria e vuota. Difficilmente qualcosa riusciva a catturare la sua attenzione spontanea, e la fiamma di curiosità dentro di lei sembrava essersi spenta. Sentiva la mancanza della facilità con cui, in passato, riusciva sempre a rilassarsi. Aveva un suo rituale che cominciava dalla cosa più semplice: la respirazione.
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