Ha destato molto scalpore, per esempio, la recente missiva che la Repubblica Popolare Cinese ha recapitato alle Nazioni Unite per protestare contro Elon Musk e la sua costellazione di satelliti Starlink, rei di aver messo per ben due volte in pericolo la stazione spaziale cinese Tiangong.
Lo scalpore è sicuramente comprensibile, per due motivazioni: innanzitutto, è stata la prima volta che un governo si è rivolto a un organismo internazionale per dirimere una controversia con un privato, non rivolgendosi invece direttamente al governo dello Stato di cui è cittadino (in questo caso, gli Stati Uniti d’America). Inoltre, servono regole ben precise da usare in questa nuova e dirompente corsa allo spazio, con un occhio rivolto alla tutela degli interessi di tutta l’umanità, con un percorso simile a quello a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, ma che questa volta coinvolga i privati.
Questa vicenda ci pone degli interrogativi: dobbiamo forse iniziare a considerare queste grandissime compagnie private come degli Stati a sé (domanda che si ripercuote un po’ per tutte le big tech, compresi i social media)? Come dobbiamo adeguare i trattati internazionali esistenti, modellandoli su questa nuova realtà?
È necessario, inoltre, ripensare la difesa dei satelliti artificiali e di tutte le strutture con rilevanza strategica che ruotano attorno al nostro pianeta. Abbiamo visto come potenze autoritarie come la Russia di Putin abbiano disponibili missili già operativi, capaci di colpire i satelliti in orbita e di distruggerli completamente.
Nel nostro mondo, oramai iperconnesso, la tecnologia satellitare gioca un’importanza vitale. Un Paese colpito a cui venisse distrutta la sua flotta di satelliti strategici rimarrebbe paralizzato per settimane, nella più completa oscurità delle comunicazioni. E proprio a tal proposito, molti governi – tra cui Italia, Francia e Stati Uniti – si sono dotati di una forza militare che possa intervenire in queste situazioni. Queste, però, sono ancora iniziative embrionali, utili a monitorare meglio quello che avviene oltre la nostra atmosfera, ma non ancora in grado di contrastare con efficacia minacce del tipo di cui parlavamo poc’anzi.
Come prima cosa, è necessario un coordinamento dei governi del mondo libero in questo ambito, magari affidandosi alla NATO. Da ultimo, c’è senz’altro l’esigenza di dover tutelare il settore del Made in Italy che si occupa dello spazio, che per il governo è fondamentale nello sviluppo dell’economia italiana, come dimostrano l’approvazione del Piano Nazionale sulla Space Economy del 2016 e l’allocazione di risorse per lo sviluppo del settore contenuto nel PNRR. Parliamo infatti di cifre importanti, 4.7 miliardi di euro per primo e più di 1.5 miliardi nel PNRR ed è anche grazie a queste importanti risorse che oggi l’Italia è un Paese leader, la quarta potenza mondiale nel settore.
Il panorama industriale italiano è formato da grandi attori presenti sui mercati internazionali e negli ultimi anni si è arricchito con il contributo di una comunità vivace e ampia di piccole e medie imprese, come start up e spin-off, che insieme rappresentano un eccellente potenziale per la crescita. Si tratta di un’industria che copre l’intera filiera strategica, concentrata principalmente in Lazio, Lombardia, Piemonte, Campania e Puglia. Basti pensare ai lanciatori di Avio, autore del razzo Vega, che a partire dal 2012 ha effettuato molteplici missioni di successo. Il 3 settembre 2020, infatti, proprio a bordo di quel razzo, ESA ha lanciato cinquantatré piccoli satelliti per l’osservazione della Terra e per il monitoraggio dell’ambiente.
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