Ho quasi diciotto anni e l’unica cosa positiva che riesco a cogliere in un periodo tanto orrendo è che tra poco, finalmente, me ne andrò via da questo liceo e da questo posto di merda.
Cinque anni vissuti così: ad aspettare la fine, pensando che ogni giorno in più in questo edificio patinato, dove regnano la finzione e l’ostentazione, il perbenismo e il falso moralismo, dove sfila quella che definiscono la “Teramo bene”, altro non sia che un giorno in meno in Abruzzo e un passo avanti verso Milano.
Cinque, lunghissimi, infernali anni che sono stati e sono ancora pesanti come un macigno che opprime, spinge in basso, non lascia respirare, soffoca.
E se guardo lei, all’insofferenza del percorso liceale si aggiunge un sentimento di rabbia che diventa quasi odio e si trasforma in una cattiveria tale che ho paura persino io di me stessa.
Un insignificante esserino, magro, senza forme, non eccessivamente alto, che siede dall’altro lato della classe, la parte “dei bravi”, quelli che non sbagliano mai, che sanno sempre tutto e che i professori guardano con occhi luccicanti.
Più la osservo, più non capisco cosa Valerio ci abbia trovato in una così: brutta – e non perché io sia gelosa, ma perché è oggettivamente brutta –, con occhietti piccoli e incavati e la pelle più bianca del latte; quella del viso, poi, sempre visibilmente disidratata e che diventa paonazza nei mesi invernali; labbra sottili e perennemente screpolate. E quei capelli! Mi sono sempre domandata con quale coraggio il suo parrucchiere potesse ridurglieli in un tale stato: sono ricci e non folti, ma la cosa che mi lascia perplessa è il colore. Rosso, un rosso che, appena fatto, ha sfumature fucsia molto accese, ma dopo qualche lavaggio tende all’arancione. In pratica abbiamo una sottospecie di semaforo in classe! E il suo modo di camminare, oh cielo: piedi posizionati a formare un angolo ottuso; ginocchia, conseguentemente, verso l’esterno e sedere in fuori. Una papera! Esattamente una papera, ecco cosa ricorda, e sono convinta – lo sono dal IV ginnasio – che da piccola abbia avuto un serio problema alla superficie plantare o non si spiegherebbe il motivo di quell’andamento tanto ridicolo, quanto penoso.
È una studentessa modello, nulla da dire; eccelle in tutte le materie, ma la sua bravura è di quelle sterili, prive di profondità, analisi e senso critico; la classica deficiente che studia interi capitoli a memoria e incanta docenti, o presunti tali, evidentemente ancora più idioti.
Ha il brutto tic di dondolarsi durante le interrogazioni e a fissarla potrebbe venire il mal di mare: seduta sulla sedia, continua a oscillare avanti e indietro con il busto, tenendo le mani giunte sul grembo a mo’ di preghiera… insomma: non dev’essere tanto a posto.
Eppure Valerio ha preferito lei. L’amara sorpresa dopo un’estate passata insieme.
A luglio, terminata la maturità, lui si è trasferito al mare, ad Alba Adriatica, dove i suoi hanno una casa, ed è stato molto più facile vederci, visto che il paese dove vivo è a poco più di dieci minuti di distanza. Due mesi tutti per noi; due mesi per avere un ragazzo e innamorarmi, almeno così ho creduto fino a settembre, un mese fa.
Tornata in questa gabbia, la III E, con altre ventisette ragazze, pensavo che avrei visto la luce all’uscita di scuola, perché avrei trovato lui ad aspettarmi. E infatti lui c’era… ma aspettava lei, la papera dai piedi storti e i capelli arancioni.
Due mesi per provare l’effetto della freccia di Cupido e appena qualche minuto per capire che ero stata solo l’altra, quella con cui divertirsi in attesa di tornare in città. Perché? Non ho una risposta, non me ne capacito e intanto sento un nodo che stringe la gola e la rabbia è talmente tanta che vorrei urlare, spaccare qualcosa, piangere, ma resto imbambolata a fissare un punto non definito dell’aula.
«Dany, Dany… oooh!»
Debora mi fa tornare al presente: «Ti ha chiamato! La prof ti ha chiamato all’interrogazione!».
Guardo l’orologio appeso al muro per tornare alla dimensione reale e capire cosa stia succedendo: le interrogazioni di matematica! Ci mancava questo! Sembrano passate ore da quando mi sono persa nei miei pensieri e invece sono appena le otto e mezza.
Rispondo alla chiamata e mi alzo per andare alla lavagna e sottopormi a domande davanti alle quali farò scena muta; nel frattempo lo stomaco mi brucia talmente forte che potrei svenire o vomitare da un momento all’altro.
MONTANASO, 12 GENNAIO 2021
La mente è uno dei più grandi misteri che esistono. Nasconde cose, fatti, emozioni importanti e cruciali e ne mantiene nitidi altri, come se una riproduzione casuale di immagini e vissuti fosse proiettata nella sala cinematografica del cervello. Spesso ci si perde nel vano tentativo di riportare a galla un ricordo, una sensazione: si fallisce miseramente e ciò che si cerca con tanta brama e sforzo resta nell’oblio.
E poi, un bel giorno, all’improvviso, senza una reale motivazione o una ragione apparente, ecco che tutto torna chiaro, trasparente, senza sfumature.
Questo tempo sospeso che dura da tanto, troppo, io l’ho già vissuto, ma l’avevo dimenticato, dovevo dimenticarlo. O, forse, mi sono illusa di averlo oscurato, perché certe sospensioni fanno male e bruciano; e allora è la mente che decide di offuscarle e coprirle, per permetterti di andare avanti.
Cammino lungo l’Adda quasi ogni pomeriggio dall’inizio della pandemia; non ci è concesso molto, ma il vantaggio di vivere lontano dalla città è che ci si può immergere nella natura, in sentieri deserti, così da evadere per qualche ora e avere una minima sensazione di libertà.
Adoro passeggiare da sola, in compagnia di me stessa e dei miei pensieri. Eppure, da qualche tempo, sento l’ingombrante presenza di un’altra me che arriva dal passato e mi segue a ogni passo; mi è a fianco e non posso più far finta che non ci sia. A lei non interessa che non abbia voglia di spostare le lancette dell’orologio indietro nel tempo, no! Mi chiede presuntuosamente di starla a sentire e non ho altra scelta.
Dopo tutti questi anni, è giunto il momento di abbassare le difese, perché non si va da alcuna parte se prima non si fa chiarezza, se non si ammette di essere stati in bilico, in preda alla paura e all’irrazionalità, tanto da aver quasi oltrepassato il confine che separa la vita dalla morte. Non si va avanti se non si chiude la partita e non si decreta un vincitore; semplicemente si resta sospesi, paralizzati e si aspetta perennemente la sfida finale.
Ora lo so e ho la forza necessaria per chiudere una battaglia iniziata più di sedici anni fa, contro me stessa!
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