Da quando è rimasta sola con suo padre, alcolizzato, violento, tossico, Alice ha capito una cosa: stare a galla è solo un modo più lento di affondare.
Per circostanze alquanto discutibili poi, si ritrova a dividere l’appartamento con un perfetto sconosciuto. Un ragazzo introverso, taciturno e, soprattutto, enigmatico. Eppure, in qualche modo, finisce per esserci. Sempre. Ogni volta che ne ha bisogno.
Alice è diffidente, e l’idea che lui sia lì per compassione le piace quanto un’orticaria. Tra battibecchi, silenzi complici e drammi personali che si insinuano nelle crepe della loro convivenza, qualcosa inizia a cambiare. Perché a volte le persone entrano nella tua vita senza bussare. E il problema non è lasciarle entrare. È trovare il coraggio di non chiudere la porta.
Perché ho scritto questo libro?
L’origine di questo romanzo? Diverse radici, ma soprattutto una: il personaggio principale mi si era piantato in testa. Alice non è una supereroina, ma qualcuno che ti fa pensare: “Finalmente, una che non è perfetta.” Se in lei c’è qualcosa di familiare, non è un caso. L’idea era proprio quella: scrivere una storia che facesse sentire meno soli. Una di quelle letture che strappano un sorriso anche quando ci si sente in balia del mondo.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Dra’ arrivò in poco tempo. La vecchia Peugeot arrancava lungo la strada, sollevando spruzzi d’acqua che bagnavano ulteriormente il marciapiede. Il rumore familiare del motore, mi fece sentire un po’ meno sola, anche se la mia anima restava pesante.
Mentre il custode chiudeva il cancello alle mie spalle, Dra’ scese dall’auto in fretta. Il suo volto, segnato dall’apprensione, si contrasse in una smorfia quando mi vide. I suoi occhi si posarono su di me, analizzandomi in silenzio.
“Stai bene?” La sua voce era bassa, quasi un sussurro. Prima che potessi rispondere, si tolse la giacca e me la fasciò attorno alle spalle, nonostante si stesse bagnando anche lui. Solo allora mi accorsi che stavo battendo i denti per il freddo.
Non risposi subito. La mia mente sembrava scollegata dal corpo, intrappolata nei ricordi, ma il calore di Dra’, quel suo gesto silenzioso di protezione, mi teneva ancorata alla realtà.
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Il custode mi lanciò un’ultima occhiata triste. “Riguardati, Alice” disse con tono gentile, facendo un cenno con la mano per salutare Dra’ prima di allontanarsi, a passi lenti, sotto il suo ombrello scuro, con la schiena leggermente curva.
Mentre lo guardavo andare via, i miei occhi cominciarono a bruciarmi per la commozione. Non potei trattenere le lacrime, che iniziarono a scendere copiose, un misto di sollievo e tristezza.
Dra’ non fece domande. Mi cinse le spalle con un braccio e mi accompagnò alla portiera, aprendola con delicatezza.
“Ti sporco tutto il sedile di fango” dissi, fermandomi davanti alla portiera aperta. In quel momento mi sentivo davvero un peso per lui, il senso di colpa che mi avvolgeva come una nebbia densa.
“Aspetta… “ rispose Dra’ con tono sbrigativo, andando ad aprire il cofano dietro. Tornò con un vecchio telo di spugna e lo stese sul sedile con cura. Poi, con un gesto gentile ma deciso delle braccia, mi fece cenno di salire.
Durante il tragitto, accese la stufa al massimo. Il calore si diffuse rapidamente. “Va meglio?” continuava a chiedermi, la sua voce calda ma non insistente. Non si girò mai a guardarmi, forse per lasciarmi lo spazio di cui avevo bisogno.
Il suono monotono dei tergicristalli e il tamburellare costante della pioggia sul tetto dell’auto riempivano il silenzio pesante tra di noi.
Provai a rispondere “Si” ma la mia voce uscì troppo debole, quasi soffocata, incapace di esprimere qualsiasi altra cosa. Mi strinsi nel suo giubbotto, era impregnato del suo profumo. Quella fragranza mi infondeva sicurezza, riportandomi ai suoi abbracci dopo i miei incubi, al calore e alla protezione che ristabilivano un equilibrio dentro di me.
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