Ne risultò un libro scritto non solo con lo scopo di raccontare qualcosa, ma con il senso biblico di trasferire la storia a mio figlio insieme agli inquieti fantasmi che in essa si muovevano.
C’era infine un altro motivo inconfessato che inizialmente non credevo fosse così importante, ma lo divenne sempre più con l’andare del tempo: il riscatto.
Mi rendo conto dell’ambiguità di quest’ultima affermazione, ma divenne necessario che il lavoro finito fosse un perfetto contrappeso delle pochezze che in questa stessa storia vengono narrate, soddisfacendo così un senso di giustizia. Un riscatto e una rivincita per mio figlio e per me, un risarcimento per la mia annosa emarginazione genitoriale.
Ricevetti anche pesanti critiche per i contenuti di questa memoria storica e venni accusato di averla scritta solo per me stesso, senza preoccuparmi del dolore che avrei potuto infliggere a mio figlio qualora l’avesse letta. In effetti lui era a conoscenza di questi appunti, ma non me ne davo pensiero poiché, data la giovane età, non se ne interessava. Ero certo però che un giorno avrebbe voluto conoscere i miei pensieri, quando una storia come questa gli avrebbe semmai destato ammirazione per la mia costanza, senza scuotere eccessivamente un’identità adulta, formata e risolta; forse sarebbe anche giunto a sentirsi fortunato di avere un padre custode della nostra storia.
Infatti, questa raccolta di appunti in origine nacque come un blog privato, un diario scritto in prima persona a mio figlio nelle sue varie età, dove erano conservate le forti emozioni dei momenti vissuti a distanza di pochi giorni, più spesso poche ore o minuti. Ma quando decisi di farne un libro, pensai di strutturarlo tra parti storiche, narranti i vari episodi, e diaristiche d’epoca, nelle quali mi rivolgo direttamente a mio figlio con un linguaggio spesso differente per ogni sua età e, a volte, con una costruzione più vicina al parlato che allo scritto: un diario che lui leggerà solo, e soltanto da adulto.
Le email e le lettere di terze persone sono state censurate ma, al fine di dare al lettore le necessarie informazioni, sono state parafrasate o descritte. Si tratta di una scelta che esula dalle finalità estetiche ma necessaria per trasmettere importanti dettagli e sfumature, altrimenti incomprensibili, che spesso cambieranno le tinte del racconto.
Qualche lettore distratto potrebbe giudicarmi accanito, ma si tratta pur sempre di una storia fatta di carta e inchiostro. Credo, infatti, che si possano trovare validi motivi per ridimensionare di tanto in tanto questo legittimo dubbio.
Ebbi anche grandi elogi per l’umanità che scaturiva da queste dolorose pagine, che infine posso dire di aver scritto per amore. Forse un amore per alcuni incomprensibile, ma l’amore per un figlio, e per la consegna della mia verità nelle sue mani, è secondo soltanto all’esempio che ho cercato di dargli nel corso degli anni.
Riportando i fatti ancora caldi, questa mia storia è degna della fiducia del lettore e, perlomeno dal punto di vista della linea del tempo, non temo possa essere smentita da alcuno, salvo episodi marginali e altri riferimenti che non ne hanno però alterato la sostanza.
Questo lavoro non avrebbe alcun senso se non fossi certo di averlo fatto in modo onesto, senza estrapolazioni, alterazioni e nemmeno tralasciando miei comportamenti o reazioni molto discutibili; lo scopo non era quello di ottenere consensi. Ciononostante non ho la pretesa di affermare che sia la verità assoluta, ma senz’altro la mia verità.
A questo riguardo voglia il lettore prendere buona nota di queste mie oneste considerazioni.
La storia in generale, e questa non fa eccezione, non potrà mai avere nulla di oggettivo poiché sarà sempre filtrata dalla lente di chi la guarda, e setacciata dalla penna di chi la scrive. Quelli che qui vengono descritti come fatti oggettivi, azioni inequivocabili, intenzioni reali e certe, rimangono pur sempre mie personali interpretazioni, percezioni soggettive, ipotesi e intuizioni. Non sarà oltremodo necessario ricordarlo sempre al lettore, se non verso la fine della storia, poiché a parer mio sarebbe un inutile eccesso di abnegazione, oltre ad apparire patetico, togliendo altresì il ritmo e la pulsione che una storia come questa richiede. Anche se in queste mie pagine fosse possibile trovare casi fortemente oggettivi e incontrovertibili, da turbare se possibile anche il lettore più interpretativo, è chiaro che si tratta comunque del mio personale prisma e non dell’occhio di Dio.
Una storia, questa, che a volte mi ha spinto verso ignobili sentimenti che per natura non mi appartengono, e che hanno messo a dura prova l’identità che ogni giorno scruto nello specchio.
In un tema di quinta elementare, mio figlio scrisse che ero “la sua stella”. Oggi, dopo tanti anni, ho la conferma di essere stato un riferimento importante nella sua crescita: una lampada per illuminargli il cammino, una luce incondizionata, un radiofaro nella notte che nessuno avrebbe mai potuto spegnere, se non lui solo.
Eppure, ancora oggi, non sono certo di essere un buon padre, e rincorro i pensieri e i sentimenti più nobili alla continua ricerca di quell’unico e autentico amore storge che può esistere solo tra un figlio e il suo genitore.
Una storia piena di amore e sconsideratezza, di sdegno e rimorso, di ingiustizia e ingerenza, a tratti romantica e spesso analitica o matematica; la storia di un padre che “guarda lontano dalla collina, e da qualche punto lontano, suo figlio tornerà”.
Vittorio Chioda
Lodi, 31 dicembre 2020
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