Verlaine. Una voce distinta nel frastuono di pensieri sfocati. Gli occhi chiusi. Una luce, un’immagine trapelata nel buio di quelle mura. È un sogno. Forse è già mattino. Gli occhi ancora chiusi. Poi di nuovo il silenzio.
Il suono squillante della sveglia echeggiò all’improvviso. Un rumore, un fastidio sottile penetrò nel sonno di quell’uomo.
Le lenzuola tremarono scomposte, la sagoma ondeggiò. Dapprima in maniera brusca, repentina, quasi stanata in un magico idillio da non voler abbandonare; poi in maniera più dolce, rassegnata a quello strepito, imprevisto ma ricco di attesa.
Ricordò le parole di quella notte. Era tanto che non le ascoltava, che non le sognava.
Uno sbadiglio riportò in vita la sua stanchezza. Non aveva dormito granché negli ultimi giorni, faticava sempre più a prendere sonno e a districare tutti i suoi pensieri.
Si era comunque deciso ad alzarsi dal letto di quell’albergo e così fece. Rimase per alcuni secondi seduto a osservare le lenzuola di cotone, bianche, anonime come il silenzio che lo circondava. Avvicinò le mani al volto per coprire prima gli occhi, poi la testa, quasi a voler cercare la lucidità necessaria a stemperare quella piccola pulsazione che avvertiva crescere dentro secondo dopo secondo.
Era nervoso. Quel giorno non era come gli altri, lo aspettava da tanto. Ne era attratto e allo stesso tempo intimorito. Come uno studente che attende impaziente il giorno di un esame e sente aumentare, con il tempo, l’intensità della pressione. Ripensò alle mattine dei suoi esami così lontani nel tempo e sorrise al ricordo. Come in quelle occasioni, anche adesso aveva bisogno di caricarsi emotivamente.
Dismise i panni notturni e in un attimo fu sotto la doccia. Sentendo l’acqua scendere con dolcezza assaporò di nuovo una sensazione di benessere. Quella salubre carezza sulla pelle affievolì in parte la stretta allo stomaco.
Ripensò a quell’ultimo periodo, ai giorni prima della partenza: la fine della relazione con Vittoria era stata abbastanza gravosa e aveva fatto maturare nel suo animo un senso di rivalsa, un forte desiderio di girare pagina, di guardare avanti, di poter vivere quel giorno senza affrontare anche il peso di doverle mentire.
Il piccolo telefono della camera squillò.
«Sì, pronto?»
«Dottor Urbani, mi aveva detto di svegliarla alle otto. Sono le otto in punto!»
Era il portiere dalla reception. Una voce vivacemente scandita.
Chissà già da quanto tempo era in piedi.
«L’avevo dimenticato. Avevo comunque caricato la sveglia anch’io. Grazie.» Mise giù l’apparecchio telefonico. Dove ho la testa?
Impiegò una mezz’ora a prepararsi. Indossò il vestito già preparato la sera prima, lasciò la cravatta allentata intorno alla camicia, chiuse il borsone e si diresse fuori da quella stanza. Scese nella reception e, dopo un fugace caffè, uscì dall’albergo. L’agitazione si era leggermente attutita con il tempo e decise di farsi conquistare da quell’inconfondibile atmosfera di inizio estate.
Roma è sempre un incanto in questo periodo.
Il bagliore affascinante del sole già caldo di giugno, il profumo familiare dei pini secolari. L’aria tiepida portava con sé la fragranza delle rose appena sbocciate e una luce vitale si diffondeva su quelle antiche rovine dal fascino eterno. Anche i clacson del centro sembravano aver perso il loro proverbiale frastuono. Era tutto stranamente perfetto.
Percorse a piedi il tragitto che da viale XXI Aprile scende verso piazza Bologna e oltre su piazzale delle Provincie, verso la cittadella universitaria.
Roma era stata per molto tempo la sua prima casa. Gli anni dell’università, gli amici di sempre, le speranze di una vita futura, il primo amore. Una nostalgia che, ai suoi occhi, quella città continuava a portare con sé.
Erano passati alcuni anni da quando l’aveva lasciata – non senza rimpianti e senza comunque mai reciderne del tutto il legame affettivo – per tornare nel suo paese d’origine. Lì aveva accettato una sistemazione provvisoria, che comunque non gli aveva offerto grandi soddisfazioni personali e neppure gratificanti opportunità di carriera.
A fronte di questi stimoli a dir poco esigui e privo di solidi punti di appoggio, rimaneva in un’incessante attesa di compimento, di un segnale che lo rinfrancasse dal torpore e ne orientasse la rotta dei progetti futuri.
Chissà, magari oggi…
Assaporando il suggestivo potere di quella bellezza, camminava a passo tranquillo, assorto nelle sue frequenti sospensioni meditative. Gli capitava sempre più spesso, ormai, di soggiacere improvvisamente ai numerosi richiami della sua mente: dapprima scaraventato negli scenari concitati dei suoi svariati desideri, poi restituito alla verità delle numerose contraddizioni che li generavano.
Milla Comazzi
Ero molto curiosa di leggere questo romanzo e le mie aspettative non sono state disattese.. La lettura è stata piacevole e mi ha appassionata fin dalle prime pagine,
gb.vassena (proprietario verificato)
Piacevole, scorrevole, intrigante !!!