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Note di Jazz a Rainbow Street

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Dopo anni passati lontano dalla sua casa, Alice torna a Big City, decisa più che mai a sovvertire le regole che sembrano controllare la città. Si tratta di regole non dette, marce di corruzione e che coinvolgono anche coloro che, al contrario, dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini. Jack Rafferty è appena entrato nella squadra omicidi e sembra nuovo a questa realtà, a differenza del padre Don – di cui ha seguito le orme – che invece la conosceva bene. Legge e criminalità sembrano essere due facce della stessa medaglia e dietro a tutto c’è Bob, sadico e crudele, interessato solo a ottenere sempre più potere e controllo. Quando Alice decide di insediarsi a Rainbow Street le acque iniziano a muoversi e tutto sembra destinato a cambiare. Lei, di sicuro, non ha nessuna intenzione di farsi da parte.

Benvenuti a Big City

Se non fosse stato per la puzza di pesce, avrebbe anche potuto credergli. Ma l’odore si era già diffuso in tutta la stanza e ad Alice non rimaneva che decidere se ucciderlo o risparmiargli la vita.

Osservò l’uomo seduto di fronte a lei. Nel suo sguardo scorgeva un accenno di paura, ma niente di più. Troppo poco, per uno che si ritrovava la canna di una pistola a pochi metri dalla faccia.

«Aspetta! Aspetta!» le disse, allungando una mano di fronte a sé, come un inutile scudo.

«Sto cominciando a stufarmi.»

«E va bene… Ok, è vero, mi sono visto con Bob.»

«Che sorpresa! Conciato così, anche Lou ci sarebbe arrivato» rispose, indicando con la testa un tipo magro come uno stecco, intento a pulirsi i denti gialli con un piccolo pugnale.

Sentendo il suo nome, l’uomo interruppe il suo lavoro, fece cenno di assenso col pollice, mentre gli uomini accanto a lui lo osservarono, sorridendo.

Era pieno giorno e il locale era chiuso, ma non era vuoto. Sopra il piccolo palco una donna minuta con lunghi capelli colore del grano, tuta e soprabito nero, fronteggiava l’uomo in jeans, seduto sulla sedia. Una donna alta, corvina, fasciata in un audace tubino verde smeraldo, li fissava, la faccia seria, da dietro le spalle di Alice. Sotto il palco, una decina di uomini, completi di alta sartoria e facce poco raccomandabili, osservavano la scena, alcuni annoiati, molti incuriositi.

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«Be’? Non hai niente da dire?» La donna lo sollecitò, ondeggiando la pistola di fronte a sé.

«Che cosa vuoi che ti dica, Alice? Due suoi scagnozzi mi hanno prelevato quando stavo per rientrare in casa, mesi fa. Era molto incuriosito da te, dalla tua attività… Di come sei riuscita a farti strada così rapidamente, e al di fuori del suo radar.»

«E tu? Cosa gli hai detto?»

«Cosa vuoi che gli abbia detto? Niente! Gli ho detto che sono solo un tizio che lavora al locale, che non ho nessuna informazione al riguardo.»

«E lui – e stiamo parlando di Bob, eh! – ti ha lasciato andare così, senza, che so… neanche tagliarti un dito, o un orecchio?»

«Al! Alice! Ti giuro, non gli ho detto niente!»

L’uomo poggiò con veemenza le mani sulle ginocchia, sporgendosi in avanti. Il ciuffo di capelli biondi, di solito composto, si riversò sulla fronte, incollandosi alla pelle sudata.

La bionda scosse la testa una volta, poi abbassò l’arma.

«Io mi fidavo di te…»

«Alice, per favore…»

«Fammi finire!» urlò. «Perché mi dovete sempre interrompere?» E alzò le braccia al cielo.

L’uomo si zittì. Nel locale il silenzio era assoluto.

«Dicevo… Mi fidavo di te. Eri il mio braccio destro, e credevo davvero che tu avessi fiducia in me. Mi sbagliavo. Puoi alzarti» aggiunse, indicando l’uscita con la testa.

«Davvero?»

«Cos’è che non capisci di “Puoi alzarti”?» rispose, stizzita. «Vattene, e non farti mai più vedere.»

L’uomo si alzò e si voltò verso l’uscita. Ma nel farlo ci mise una frazione di secondo di troppo, e fu così che la donna lo vide.

Quando lui fece per scendere dal palco, lei gli sparò un colpo dritto alla nuca, e il chiacchiericcio che si era levato poco prima s’interruppe improvvisamente. Tutti la stavano guardando.

Alice fece per scendere dal palco, ma la donna la bloccò per un braccio.

«Era proprio necessario?» le bisbigliò.

La bionda si liberò con uno strattone, la voce era calma, ma dentro ai suoi occhi potevi scorgere un terremoto in atto.

«Sì, lo era!» le sibilò in faccia.

Scese con un piccolo balzo dal palco, passò attraverso alcuni degli uomini, salì sopra uno sgabello e, da lì, saltò sopra al bancone. Voleva che tutti riuscissero a osservarla per bene, voleva far capire chi è che stava sopra.

Li squadrò uno per uno e fu lieta di vedere che erano pronti ad ascoltarla e a farlo sul serio. Anche Lou aveva smesso di pulirsi i denti e aveva sistemato il pugnale dentro la fodera sulla cintura.

«Ascoltatemi attentamente, perché non mi ripeterò. Ho grandi progetti per questo posto, per me… e, quindi, per tutti coloro che vorranno seguirmi, e il piano è già in moto. Ma se qualcuno pensa di potermi tradire, se qualcuno crede che non abbia le palle grandi a sufficienza per poter arrivare in alto… be’, questo è quello che succede a chi mi sottovaluta.» E indicò l’uomo morto con un cenno della pistola, che teneva ancora stretta in pugno. «Quindi, adesso, vi do l’opportunità di scegliere. Potete scegliere se stare con me, sotto di me, e guadagnare un po’ di grana e di potere, oppure potete andarvene. E, per questa volta, solo per oggi, potrete farlo con le vostre gambe e senza buchi in fronte. A voi la scelta, signori!»

Per qualche secondo lungo un’eternità nessuno si mosse, nessuno parlò. Poi Lou si staccò dal muro da cui non si era spostato per tutto il tempo, estrasse il pugnale dalla cintura, si avvicinò al bancone e, giunto di fronte ad Alice, fece un segno d’assenso e le depositò l’arma ai piedi. Un’offerta alla dea Athena. La donna accennò un sorriso compiaciuto e ricambiò il gesto con la testa.

Due colossi, identici, le teste lucide come due sfere di cristallo, si tolsero le pistole dalle fondine e seguirono l’esempio del collega.

In un istante, Alice si ritrovò circondata dalle armi di tutti gli uomini presenti.

«Bene» disse, senza aggiungere altro.

Scese dal bancone e si diresse verso il cadavere. L’uomo era rivolto, scomposto, a faccia in giù. Sotto di lui, un lago di sangue che si allargava, disegnando cerchi concentrici. Con la punta del piede gli voltò la testa, in modo da poterlo vedere in faccia o, quantomeno, quello che ne rimaneva.

Ed ecco lì, il sorriso. Quel dannato sorrisetto di chi pensa che sei una debole e che lui ci ha visto giusto, che non avresti mai il coraggio di uccidere qualcuno a sangue freddo. Che sei una donna e che sarai sempre sotto a loro. Non era la prima volta che qualcuno aveva avuto pensieri al riguardo, su di lei. Anche allora ne avevano pagato le conseguenze.

2024-01-27

Flex Radio – Proxima Radio

Avviso di servizio! Volevo avvisare tutti voi che state appoggiando la mia campagna, che sabato 27 gennaio si parlerà del mio romanzo alla radio! L'intervento avverrà durante il programma "WarmUp" con Luca Di Sano. Potrete ascoltarlo dalle ore 9:00, scegliendo tra due stazioni radio. - Flex Radio: DAB+ canale 11D, oppure in TV, canale 182 del digitale terrestre (DTT); - Proxima Radio, scaricando l'app da Android e IOS, oppure DAB+ canale 11D, inoltre anche in TV, canale 186 del digitale terrestre (DTT). Sono molto emozionata! Sabato 27 gennaio dalle ore 9:00, tutti sintonizzati! 😉

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Sara Fenara
Nata a Prato nel 1980, s’innamora, giovanissima, della narrativa e del cinema. Seguendo la sua passione per la scrittura, dal 2013 al 2016 frequenta il corso di scrittura creativa dell’associazione culturale “Nuova Colmena” di Prato. Nel 2016 pubblica la raccolta di racconti “Nero Inchiostro” con la Edizioni DrawUp.
“Note di jazz a Rainbow Street” è il suo primo romanzo.
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