Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Ogni mia fobia

Svuota
Quantità

Sin da bambino, Marco soffre di diverse fobie, ma nel suo nuovo appartamento le giornate scorrono secondo un ritmo ben scadenzato, al riparo da ogni “pericolo”. Niente mezzi pubblici per andare al lavoro, monetine ben disinfettate, bandita la pizza d’asporto…

Una serie di circostanze inaspettate, però, lo costringe a mettere in discussione quell’equilibrio apparentemente tanto solido, al punto da spingerlo a recarsi in un affollato aeroporto per intraprendere un viaggio in solitaria. È proprio lì che ha inizio la sua storia.

1.

Qualche giorno prima.

«Pronto?»

«Ciao, mamma.»

«Marco! Mi hai fatto prendere uno spavento, sai? Ieri non mi hai chiamata, e quando l’ho fatto io non hai risposto.»

«Sì, hai ragione, è che sono uscito per cena e ho fatto tardi.»

«Va tutto bene? Mi sembri strano.»

«Tranquilla, è tutto ok.»

Continua a leggere

Continua a leggere

«Tesoro, non è che stai male, ma non vuoi dirmi nulla per non farmi preoccupare?»

«No, mamma, te l’ho detto, sto bene.»

«Stai sempre prendendo la vitamina C? Guarda che è un vero portento, ho letto che aiuta anche a prevenire la formazione di tumori.»

«Certo, figurati… Comunque sì, la sto prendendo. Piuttosto, volevo dirti che sto pensando di partire per qualche giorno.»

«Che bello! Bravo, fai bene. Tuo padre mi diceva sempre che avremmo fatto dei bellissimi viaggi, ma alla fine sono rimasta sempre qui. Magari potrei accompagnarti.»

«Forse un’altra volta, mamma. Questo è un viaggio che devo fare da solo.»

2.

«E dai, non è possibile» mi dico, mentre cerco di chiudere la lampo dei pantaloni, che sembra essersi bloccata. 

Avete presente quelle volte in cui dovete fare qualcosa di importante e, per quanto vi siate organizzati per tempo, improvvisamente vi accorgete che le lancette dell’orologio si sono mosse molto più velocemente di voi? E allora, nel tentativo di recuperarle, accelerate i movimenti, compiendo una serie di azioni maldestre il cui unico effetto è quello di allontanarvi sempre più dalla loro corsa? Bene, in questo momento mi trovo esattamente in quella situazione. 

Ieri sera ho lasciato la valigia all’ingresso, gli abiti da indossare sulla sedia, la caffettiera pronta sul fornello e infine ho impostato la sveglia. Sei ore prima rispetto alla partenza mi è sembrato il tempo giusto per potermi preparare con calma: considerando che, secondo il navigatore, l’aeroporto dista cinquanta minuti esatti da casa mia, avrei avuto un’ora abbondante per prepararmi e fare colazione e sarei comunque arrivato con il giusto anticipo, circa quattro ore. Tuttavia, nonostante nel corso della notte abbia aperto gli occhi diverse volte per controllare che la sveglia fosse impostata correttamente e questa abbia suonato all’orario previsto, sono tremendamente in ritardo. 

Chiudo la porta e mi accorgo di avere sulla polo una macchia di caffè, che, tra l’altro, considerato il mal di stomaco che mi è venuto, non avrei dovuto bere a digiuno. Scendo per strada e raggiungo il taxi che mi aspetta già da qualche minuto. Apro la portiera posteriore e vengo investito da un forte odore di sigaretta: rabbrividisco al pensiero che la puzza impregnerà i miei vestiti, che non riuscirò a cambiare prima di sera. Comunico al conducente la destinazione, abbasso il finestrino e, appena ci muoviamo, inspiro profondamente l’aria fresca della città ancora addormentata. Con i muscoli contratti e la schiena che non poggia sullo schienale, cerco di restare immobile riflettendo sui milioni di acari che in questo momento si stanno lanciando festosamente dalla tappezzeria del sedile sul mio corpo. 

«Viaggio di lavoro?» mi domanda l’autista.

«No» rispondo secco.

«Allora, di piacere?»

«Una specie…»

«Beh, come si dice? Non è importante la meta, ma il viaggio.» Si passa una mano sul capo stempiato e continua: «Faccio tutti i giorni avanti e indietro dall’aeroporto alla città, ma sa da quant’è che non parto? Almeno vent’anni: prima c’era l’attività da avviare, il mutuo della casa da finire, e poi i figli da far studiare».

Attraverso lo specchietto vedo il riflesso dei suoi occhi che mi fissano. Ho capito che vorrebbe iniziare una conversazione, ma in questo momento non sono in grado di accontentarlo. Mi sento come uno di quei palloncini che usano i bambini per preparare le bombe d’acqua. È come se qualcuno mi avesse conficcato in bocca un tubo di gomma e poi avesse aperto il rubinetto: sono allungato, teso, gonfio, pronto a scoppiare.

Cerco di sorridergli per non sembrare troppo sgarbato, ma mi accorgo che solo il lato destro del labbro si muove tremolante verso l’alto, mentre quello sinistro sembra essersi incollato all’arcata dentale.

«Si sente bene?»

Non riesco a rispondergli e mi limito a muovere lentamente il capo dall’alto verso il basso.

Per qualche istante nell’abitacolo regna il silenzio assoluto, poi, fortunatamente, il tassista si stanca di me e accende la radio. Mi chiedo cosa penserà, magari che sono drogato, che ho qualcosa da nascondere, un delinquente che sta scappando o semplicemente un matto. E se fosse lui il pazzo che invece di portarmi dove gli ho chiesto mi sta conducendo chissà dove?

Solo quando mi rendo conto che ha smesso di osservarmi furtivamente attraverso lo specchietto retrovisore e comincia a tamburellare le dita sul volante seguendo il ritmo della musica in sottofondo, inizio a rilassarmi.

Dalla tasca dello zainetto che tengo poggiato sulle ginocchia prendo il gel igienizzante, lo spalmo sulle mani e strofino energicamente. Rimetto il disinfettante al suo posto e dalla stessa tasca estraggo il portafoglio: controllo di aver preso la carta d’imbarco e mi accerto che il documento d’identità non sia scaduto. So perfettamente che è in regola, perché nei giorni scorsi l’ho verificato diverse volte, ma, senza volerlo, il dubbio mi assale d’improvviso e nella mia mente si scatena uno stato di allerta che riesco a placare solo quando i miei occhi vedono la data riportata sul retro: luglio 2026, sarò in regola per altri sei anni. Infilo il portafoglio nella tasca dei pantaloni e cerco di respirare con calma. “Respira, puoi farcela” mi ripeto a bassa voce.

Il tragitto dura meno di trenta minuti. Dico al conducente che intendo pagare con la carta di credito e lui mugugna qualcosa sul fatto che le tasse e le commissioni bancarie si mangiano gran parte del suo guadagno. Ma io non rispondo, sono irremovibile: da quando ho letto di una ricerca americana, secondo la quale sulle banconote sono presenti circa tremila tipi di batteri appartenenti a diverse specie, alcune delle quali patogene, limito al massimo l’utilizzo del contante. Prima di scendere controllo svariate volte di non aver dimenticato nulla, poi infilo lo zaino sulle spalle, afferro il borsone e mi dirigo verso l’ingresso dell’aeroporto.

Cercando di non pensarci, perché se lo facessi sul serio probabilmente non ci riuscirei, supero le doppie porte scorrevoli. Quei miseri secondi in cui resto imprigionato tra la prima e la seconda sembrano un’eternità. 

Ho fatto il check-in online e ho con me solo il bagaglio a mano, perciò mi dirigo direttamente verso i controlli. Per fortuna non c’è calca, e questo mi permette di mantenere quella che io ritengo essere una distanza minima adeguata tra individui sconosciuti, ovvero all’incirca un braccio teso in avanti, mano compresa. 

Depositare la mia roba sopra la vaschetta portaoggetti e superare il metal detector mi mette una certa apprensione: so di avere con me solo ciò che è consentito, ma mi sento ugualmente come il protagonista di quel film di cui non ricordo il titolo, al quale alcuni trafficanti nascondono della droga nella valigia, facendolo arrestare ingiustamente.

Di sfuggita, incrocio lo sguardo dell’addetto ai controlli di sicurezza e inizio a pensare che a breve verrò fermato, perquisito e portato chissà dove. Lo so, è assurdo, ma quasi mi sembra di sentire le manette stringermi i polsi legati dietro la schiena, una lampada al neon puntata addosso e un uomo in divisa che mi urla contro frasi in una lingua che non comprendo. Quest’immagine inizia a tamburellarmi nella testa innescando una serie di sensazioni che conosco molto bene: battito accelerato, bocca secca, sudorazione e nausea. 

Naturalmente non succede nulla di tutto questo. Lui si limita a guardare fugacemente il documento che gli ho dato e, nel restituirmelo, mi dice: «Prego, signor Alfieri, buona giornata».

Un po’ frastornato, mi riapproprio dei miei bagagli e mi dirigo verso i gate. 

Inutile guardare il tabellone dei voli in partenza: per il mio ci vorranno ancora quasi quattro ore, ma ero troppo nervoso per restare a casa ad aspettare; preferisco farlo qui, lasciandomi distrarre dall’andirivieni della gente, piuttosto che ciondolare tra il letto e il divano. 

Osservo con circospezione la sala d’aspetto e decido di sedermi nell’ultima poltroncina di una fila da tre, sulla sinistra. Occupo il posto accanto al mio con il borsone; guardandolo mi rendo conto di quanto sia malconcio: erano diversi anni che non partivo e non credevo l’avrei fatto a breve, per questo non mi è venuto in mente di comprarne uno nuovo. Sulla sinistra c’è un’ampia vetrata, che mi dà l’illusione di non trovarmi in un posto chiuso, dalla quale posso osservare uno scorcio piuttosto vasto della pista, dove al momento ci sono solo due aerei fermi e tre uomini, con indosso un gilet riflettente color arancione, che chiacchierano. Riprendo il borsone e tiro nuovamente fuori il biglietto: chiaramente è tutto corretto, così lo rimetto al suo posto. Poi, restando seduto, sollevo leggermente il bacino e dalla tasca posteriore dei jeans sfilo il portafoglio: controllo per l’ennesima volta la data riportata sul retro del documento. Sì, lo so, il mio può sembrare un comportamento ossessivo. E lo è. 

2022-01-24

Aggiornamento

In attesa del libro, la recensione appena pubblicata su Scritturaviva La Voce del Recensore stilata da Alessandra Ferraro, giornalista Rai. https://www.scritturaviva.it/451606802
2021-09-09

Aggiornamento

Per chi non avesse avuto modo di sentirla, ecco la registrazione della mia intervista andata in onda ieri sera su ABC Radio. https://anchor.fm/abcradio/episodes/INTERVISTA-FRANCESCA-ABIS-e172ouk/a-a6g49t5
2021-09-07

Aggiornamento

L'obiettivo delle 200 copie è stato raggiunto: grazie a tutti i miei 200 sostenitori di vero cuore!! La campagna però prosegue per far conoscere la storia di Marco a più persone e, per parlare di lui, domani sera alle 18.00 sarò ospite della ABC Radio. Ecco il link per maggiori info: https://www.facebook.com/groups/451848922015197/permalink/1128686967664719/?sfnsn=scwspmo&ref=share
2021-08-13

Aggiornamento

Raggiunto il traguardo delle 200 copie. Grazie mille a tutti!!! La vostra partecipazione, e soprattutto le osservazioni ricevute da chi ha letto la versione non editata, mi ha fatto venire voglia di tornare sul testo: farò di tutto per non deludere la vostra fiducia.
2021-07-30

Aggiornamento

74% in soli quattordici giorni, un risultato eccezionale che mi riempe di gioia. Ringrazio di cuore tutte le amiche e gli amici che stanno collaborando attivamente alla campagna: lo so, vi snervo, ma ho ancora bisogno del vostro prezioso aiuto!
2021-07-20

Aggiornamento

Nel link allegato potete leggere la recensione di "ogni mia fobia" scritta da Tatiana Vanini, che ringrazio di cuore. https://www.librierecensioni.com/narrativa.html
2021-07-18

Aggiornamento

Il fine settimana si conclude con il raggiungimento del 25% dell'obiettivo. Grazie di cuore a tutti coloro che stanno partecipando attivamente affinché questo sogno si realizzi.

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Ogni mia fobia”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Francesca Abis
è nata a Cagliari nel 1975. Laureata in Giurisprudenza, lavora da vent’anni in una multinazionale. Sposata e madre di due figlie, ama la buona cucina e il caldo sole della sua terra. "Ogni mia fobia" è il suo secondo romanzo.
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors