“Di che mai potrebbero parlare mio padre e Carlos?”
Sua madre non rispondeva mai a quella domanda, preferiva sviare il discorso riducendo tutto a un semplice: “Tuo padre è un uomo che gestisce un negozio di stoviglie a Madrid, parla con molti rappresentanti”
Su questo Laura non avrebbe avuto nulla da ridire, ma notò che la risposta a quella domanda, non era mai la stessa. Questo continuo tergiversare non faceva altro che alimentare la sua curiosità.
Dalla porta stretta della cucina arrivò la domestica che parlottò con Claudia di cose vaghe, i discorsi sulle lenzuola, il pranzo, la spesa, il bucato e via discorrendo. Parlavano come se fossero grandi amiche, scherzavano fra loro come se si conoscessero da parecchio, non c’era quella riverenza che un dipendente riservava per il suo datore di lavoro. A interrompere il chiacchiericcio femminile fu Gèrman che prese a piangere nuovamente, la madre lo cullò ancora, inutilmente. La cameriera le suggerì di massaggiargli le gengive con qualcosa di freddo perché la motivazione del suo lamento poteva essere il dolore ai denti. Era così.
Infatti, non appena Claudia seguì il consiglio della domestica, il neonato si acquietò.
«Dov’è tuo figlio?» domandò la madre di Laura, la cameriera stava versando il succo d’arancia alle due bambine
«Sul retro, sta cercando di aggiustare la bicicletta.» rispose cordialmente
«Ne è innamorato, vero?»
la domestica si lasciò scappare una risata divertita «Se potesse scegliere tra me e suo padre, e quella cosa, sceglierebbe sicuramente lei.» Risero bonariamente.
Laura bevve d’un sorso la premuta d’arance e si pulì velocemente la bocca con il tovagliolo, avvisò la madre che sarebbe andata a fare una passeggiata nel bosco vicino casa. Prima che Claudia potesse iniziare con le solite raccomandazioni, sua figlia la rassicurò dicendo che avrebbe mantenuto il sentiero principale e non si sarebbe fermata a parlare con nessuno, neanche con gli amici. Questo, però, non bastò per fermare sua madre che chiese la cortesia alla governante di tenere per un momento il neonato. Non appena il bambino fu tra le braccia dell’altra donna, la madre di Laura si alzò e camminò verso la figlia che stava ferma nel corridoio pieno di luce. Quando le fu davanti, le sorrise
«Voltati.» disse con gentilezza, aveva una voce melodiosa, alla bambina parve di sentire il suono celestiale di un’arpa. La ragazzina obbedì, la madre aggiustò velocemente i capelli castani in una treccia che fermò con un nastro lilla. Ne aveva sempre qualcuno al polso. «sei diventata una bella signorina, Laura.» le carezzò il mento.
Laura aveva quattordici anni, il corpo dalle forme acerbe ma abbastanza evidenti da farle avvertire un cambiamento, sentiva i vestiti che stavano cominciando a farsi più stretti, le gonne arrivavano troppo sopra le ginocchia e ben presto avrebbe dovuto iniziare a portare la biancheria intima per il seno come sua madre.
«Grazie, ma’.» disse Laura che si alzò sulle punte per darle un bacio sulla guancia a sua madre e corse via. Sentì la voce di sua madre chiamarla, la ragazza si voltò un momento. La sua figura illuminata alle spalle dalla luce del giorno la faceva apparire come una divinità
«Cosa diciamo sempre?»
«Prima il dovere e poi il piacere.» rispose Laura
«Completa la lettura prima, poi andrai a fare la passeggiata. Guarda che ti interrogo.»
Laura riuscì a trattenere una smorfia di disgusto provocata dal pensiero dei compiti e dell’inchiostro che le rovinava sempre le mani. Prese il libro dalla libreria nel salone in cui faceva i compiti e camminò verso la porta principale, si guardò alle spalle per vedere se gli occhi della madre fossero puntati su di lei, ma era troppo impegnata a incitare Giulietta a terminare la colazione per poter badare a lei.
Perché studiare in camera quando fuori è una bella giornata?
Uscì fuori e l’aria calda l’avvolse subito. Gli occhi di Laura ci misero qualche secondo per abituarsi ai raggi violenti del sole, poi percorse camminando il perimetro della casa immersa nel verde dei prati e lontana dal caos cittadino. Le cicale frinivano ininterrottamente, il cielo era una tela azzurra su cui non c’era neanche l’ombra di una nuvola. Arrivò sul retro, dentro il capanno degli attrezzi, dietro l’automobile dei genitori, se ne stava il figlio di Carlos e della domestica che aggiustava la catena alla bicicletta. L’aveva appoggiata sul tavolo di legno scricchiolante, quello vicino al muro su cui c’erano appesi gli attrezzi, aveva le ruote per aria e la catena smontata. Laura si nascose e lo guardò per un poco. Aveva i capelli neri, vagamente ondulati e una fila al centro della testa che gli divideva la capigliatura in ciocche morbide. Aveva le ginocchia sporgenti, poca carne sul viso e il corpo abbronzato dal sole. La mano sinistra si strinse intorno al pedale per testare la catena appena aggiustata, poi le dita affusolate presero lo straccio che tirò fuori da un secchio pieno d’acqua. Lo passò sui raggi delle ruote e sul telaio. Poi prese il campanello abbandonato vicino al secchio e lo strinse sul manubrio della bicicletta con un giravite, i muscoli acerbi del bicipite si contrassero per lo sforzo. Aveva la canotta bianca sporca di grasso nero e polvere, sopra aveva una camicia azzurra dal tessuto fine, una taglia in piùche gli dava un’aria ancora più smunta. Sentendosi osservato il ragazzo alzò gli occhi neri e puntò lo sguardo verso Laura che avvertì una sensazione strana alla bocca dello stomaco, simile ad un battito d’ali.
«Ciao, La’.» disse mentre afferrava la bicicletta per la canna orizzontale e il tubo obliquo, la riportò a terra e mise il cavalletto. La ragazza si avvicinò e gli sorrise, teneva stretto al petto il libro che doveva leggere per la scuola «come hai saputo che ero qui?» «Tua mamma lo ha detto alla mia durante la colazione.»
il ragazzo guardò il libro che portava con sé Laura, le domandò di che materia fosse, lei, di tutta risposta, lesse il titolo ad alta voce. Era un testo di geografia, una materia che Laura odiava a morte. «Quindi stamattina devi studiare?»
«Sì.»
«E non puoi studiare alla casa sull’albero?» domandò lui con un guizzo divertito negli occhi, Laura sorrise timidamente e sentì come se le sue guance si fossero accese improvvisamente.
«Immagino di sì.»
Un sorriso che andava da orecchio a orecchio riempì il volto del ragazzo che si pulì velocemente le mani con lo straccio e si abbottonò la camicia azzurra per coprire la canotta sporca. Tolse il cavalletto e prese a camminare fuori. Una volta superata l’entrata del capannone si mise sul sellino e fece un cenno con il capo alla sua amica. Laura non perse tempo, si sedette sul tubo orizzontale della bicicletta, con le gambe a penzoloni da un lano e una mano che si reggeva al manubrio.
«Tieniti, eh.» disse lui prima di iniziare a pedalare sul sentiero che portava al bosco vicino casa. Il vento gli gonfiava la camicia e gli spostava i capelli indietro. Di tanto in tanto scuoteva il capo per colpa dei capelli di Laura che gli pizzicavano il viso, ma lui ormai era abituato a quel fastidio, infatti, non disse nulla. Dopo poche pedalate casa di Laura divenne un punto lontano e i due ragazzi sparirono fra gli alti alberi del bosco. Le foglie verdi divennero uno scudo naturale contro i raggi del sole che riscaldavano la terra, la frescura della fauna li avvolse, così come il profumo di erbe selvatiche iniziò a pizzicargli le narici. Quando lui faceva qualche virata con il manubrio, il cuore di Laura le arrivava alla gola per la paura e si lasciava scappare un gridolino, lui rideva divertito nel suo orecchio
«Tranquilla, La’. Sei con me.»
Il sentiero passava vicino al fiume, lo scrosciare veloce dell’acqua limpida e il continuo frinire delle cicale erano suoni che infondevano una pace profonda. Per questo Laura e Giulietta avevano chiesto a suo padre di far costruire una casa sull’albero di pesco al centro del bosco, immersa nella natura e nella quiete. La bicicletta si fermò proprio sotto l’ombra dell’albero, sopra le loro teste c’era la casa sull’albero. Laura scese dalla bicicletta, mentre il figlio della domestica si arrampicò sull’albero senza alcun ausilio o supporto. Entrò in casa e disse tutto trionfante: «Guarda qua che ho fatto.» le buttò giù una scala fatta con una corda e delle assi di legno, con il petto pieno d’orgoglio disse che l’aveva costruita tutta lui, senza l’aiuto di suo padre. Poi le gettò una cesta in cui mettere il libro, così lui lo avrebbe tirato su.
Laura salì la scala rudimentale fatta di funi e legni, ma il suo andamento era incerto perché ad ogni passo quelle assi ballavano vivacemente.
«Sali, su. Sei proprio una femminuccia.» disse il ragazzo
«Sta’ zitto, imbecille.» Laura era quasi in cima alla scala «e poi, per tua informazione, io sono una femmina.»
Proprio mentre stava per fare l’ultimo gradino, sentì il piede scivolare e il vuoto sotto di lei. Lui l’afferrò subito per una mano e la sostenne -anche se non ce n’era bisogno perché la mano della ragazzina era ben stretta intorno alla corda. Ad un soffio dalle sue labbra, con gli occhi negli occhi, il ragazzo disse:
«Meno chiacchiere, che se ti fai male sarò in guai molto seri.»
Approfittando di quella strana vicinanza, la ragazza studiò il volto di lui: il naso dritto, qualche timido accenno di barba intorno le labbra tumefatte, i ciuffi corvini gli incorniciavano il volto. Era privo di imperfezioni, privo di nei, lei, invece, ne aveva qualcuno sparso qua e là. Si domandò se potesse essere più brutto con quei segni. Forse sì, forse no. Non sono mica due puntini a fare la differenza. Ogni volta che lui la guardava, Laura avvertiva un calore insolito alle guance e un pizzico fastidioso al centro del petto che non sapeva spiegare.
Una volta nella casa sull’albero, i due si sedettero uno davanti all’altro con il libro fra loro. Laura lo aprì e uscì una mappa, era così grande che prendeva entrambe le pagine. Lui era molto più bravo di Laura anche se non andava a scuola, appariva molto interessato alle materie scientifiche e a scoprirne i principi. Gli piaceva viaggiare, diceva che un giorno sarebbe partito, avrebbe visitato posti e conosciuto gente. Il suo dito affusolato dall’unghia nera per il lavoro nei campi indicò i grandi mari, si chiamavano oceani. Disse che voleva costruire una nave, trovare un equipaggio e visitare tutto il mondo così. Parlò di tesori, di pirati e di terre da conquistare.
«Voglio venire anche io.» disse Laura
«Le femmine non fanno queste cose, stanno a casa a badare ai figli.» lei gli fece una smorfia e lo spinse, lo provocò dicendo che le femmine erano più forti di molti altri maschi. Lui sembrò infastidito
«Smettila di dire scemenze. Le femmine non sanno combattere.»
«Le femmine sanno fare più cose dei maschi.»
«Ah, sì?» incrociò le braccia al petto e usò un segno di sfottò. Laura si alzò e si mise in posizione di combattimento con i pugni all’altezza del viso, strinse gli occhi in due fessure per apparire più minacciosa
«Combatti.»
«Laura…» disse con un tono di avvertimento mentre si alzava in piedi e si ripuliva il pantalone con le mani. La ragazza non mosse neanche un muscolo. Lui poi la fissò con le mani sui fianchi e dopo un po’ disse alzando le spalle: «e va bene, ci andrò piano perché altrimenti tuo padre mi renderà cibo in scatola.»
«Sempre se io sarò clemente con te.»
Giuseppe Palmiero (proprietario verificato)
Nulla è lasciato al caso. Ricerca minuziosa di ogni singolo dettaglio che fa la differenza, trama avvincente ed intrigante. Un grande in bocca al lupo all’emergente scrittrice. Non vedo l’ora di leggere il resto e tutto quello che lei può regalarci con la sua penna!
Viviana Stabile (proprietario verificato)
Da subito mi sono lasciata travolgere dagli avvenimenti descritti nel libro. E’ impossibile chiudere gli occhi e non immaginarsi all’interno della storia. Luoghi e personaggi sono descritti magnificamente. E’ curato nei minimi dettagli , l’autrice non trascura niente , ti permette di viaggiare insieme ai personaggi . Consiglio a tutti questa lettura , è un libro leggero ed avvincente, pieno di passione ed intrighi . Complimenti Maria raffaella Esposito.
f.ciuferri97 (proprietario verificato)
Ho appena finito di leggere gli estratti forniti dall’autrice e devo dire che ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. I personaggi, le locations e la cura nei dettagli dimostrano tutta la passione dell’autrice per il periodo storico e, soprattutto, il suo amore per la scrittura. Fin dalle prime righe non ho potuto che affezionarmi immediatamente ai personaggi.
Aspetto con estrema curiosità ulteriori estratti e, naturalmente, l’intera opera.
Daniela Raio (proprietario verificato)
Premetto che non mi piace leggere sono più una da serie TV, ma da un’amica ho avuto l’estratto di questo libro e ho deciso di fingere che fosse una nuova fiction e di provare a “guardarlo” più che leggerlo…ed è stato proprio così!!! La precisione dei dettagli mi ha fatto vedere i volti dei personaggi, vivere le loro emozioni …e sapete com’è andata? L’ho comprato perché non mi è bastato l’estratto voglio dare le risposte a tutti i perché rimasti in sospeso. Faccio i miei complimenti all’autrice e lo consiglio a tutti , anche a chi non è un amante della lettura.
Tommaso Cariati
Questo libro è avvincente appassionante ho letto solo una parte messa a disposizione dell’autrice e devo dire non vedo l’ora di leggere il resto. La scrittura è fluida facilmente comprensibile ma la cosa che spicca è la particolarità dei dettagli , ha la facoltà di trasportarti insieme ai personaggi si riesce a visualizzare perfettamente tutti gli scenari