Quella camera era il suo rifugio.
Uno spazio tutto suo, intoccabile. Almeno, così credeva che fosse. La sua camera. Ogni centimetro raccontava qualcosa: un segreto, un incontro, un po’ di noia, un’interrogazione preparata e andata più o meno bene. E poi i pianti. Tanti pianti.
Eh già, Mario è uno che piange, forse anche esageratamente. Ma come fai a dire quando un pianto è esagerato? Non c’è un metro, un’unità di misura per le lacrime.
Era ormai circa un anno che Mario piangeva ancora di più. E aveva ragione, questa volta. Forse, più delle altre. I suoi stessi amici non lo riconoscevano, sebbene non gliene fossero rimasti che due. Tutti gli altri erano conoscenti o comunque persone che lo cercavano solo nel momento del bisogno. E di questo lui ne aveva le tasche piene. Basta con la gente che ti cerca solo quando conviene. Basta con quelli che ti prendono in giro, facendo una faccia bella quando sono con te e poi… magari ti parlano alle spalle.
Mario ha solo sedici anni, ma di gente così ne ha già conosciuta abbastanza.
Era stato un giorno alquanto duro. Un altro giorno dove tutto era andato storto. Anche la pioggia, che scosciava sulle strade e fra i pensieri, lo confermava: era stata una giornata da dimenticare. Sembrava come se Mario stesse facendo una collezione di quelle giornate no. Così abituato al mare in tempesta, ormai non faceva più caso a tutto quel dimenarsi di negatività talmente familiare da sentirsi strano nel provare rari momenti di felicità.
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