Zahara si pulì le mani impolverate sui pantaloni e sorrise osservando le due strisce bianche sul tessuto nero. Fino a qualche settimana prima le avrebbe guardate con disgusto; ora quel gesto le era venuto spontaneo.
Si guardò attorno. Quel posto era più spazioso di quanto ricordasse, soprattutto adesso che la maggior parte del ciarpame se ne stava dentro gli scatoloni.
Dopotutto le paure della nonna avevano avuto il loro risvolto positivo, che aveva le sembianze di quel bunker sotterraneo costruito in vista di una guerra che, in Mendelia, non era mai arrivata. Un bunker che era proprio quello di cui Zahara aveva bisogno ora.
Si avvicinò all’ultimo mucchio di oggetti gettati a casaccio in un angolo, si accovacciò e cominciò a inscatolarli.
“Vuoi fare qualcosa di concreto per fermare il GST?”
Quella frase aveva segnato la demarcazione tra il prima e il dopo. Aspasia riusciva a far sembrare semplici anche le cose più complesse; sarebbe mai riuscita ad assomigliarle almeno un po’?
Prima di quelle parole Zahara era convinta di aver già compiuto un miracolo: era tornata a uscire di casa dopo tanti anni di isola-mento e aveva riallacciato i rapporti con Arjen, che le aveva perfino offerto un lavoro. Il circolo di lettura con Aspasia era stato quel dettaglio in più, il primo passatempo tutto suo.
Avevano sempre saputo che era a rischio chiusura eppure, quando il regime aveva revocato l’autorizzazione, Aspasia se n’era uscita con quella frase assurda.
E ora Zahara si trovava lì, a ribadire nel polveroso silenzio di quel bunker il suo sì.
Perché ciò che stava accadendo in Mendelia era sbagliato, e le veniva offerta un’alternativa alla sottomissione a leggi disumane.
Perché era stanca di vivere da sola in una casa in cui i ricordi dei racconti di guerra della nonna si addensavano e prendevano vita, soffocanti.
Perché poteva fare qualcosa di buono per il suo Paese e sentirsi utile. Viva.
Ripose nella scatola l’ultimo oggetto, un olofono rotto. Doveva risalire a prima che lei nascesse, a giudicare dalla forma grossolana e dalla vernice scrostata.
Si rialzò. Non c’erano più oggetti sparsi, aveva terminato il grosso del lavoro. Ottimo.
C’era spazio a sufficienza per creare delle stanze da letto e un bagno, là sulla destra. Forse poteva venirne fuori anche una sala riunioni, accanto al salone.
Sì, il lascito della nonna era più che sufficiente a completare i lavori necessari.
E a quel punto la squadra 7 avrebbe avuto una Base.
Axel si lasciò alle spalle la zona residenziale, i suoi edifici multiformi e ben curati, le aree pedonali trafficate e i volti tranquilli degli abitanti, per entrare nella “cintura imprenditoriale”.
Stava per commettere il suo primo crimine.
Non ne era dispiaciuto, né provava rimorso, segno che andava bene così, che non aveva motivo di preoccuparsi, perché stava facendo la cosa giusta.
Superò le prime aziende seguendo un’area pedonale pressoché de-serta: l’orario lavorativo standard doveva essersi concluso da un po’.
Era contento di non dover attraversare la zona popolare, perché ogni volta che era costretto a metterci piede provava un moto di pena. Il GST aveva rovinato tutto col suo ventennale malgoverno, originando un vortice di eventi negativi che pareva senza fine.
La luce del sole era ormai tanto soffusa che gli edifici di cemento e acciaio parevano vibrare nell’arancione morente del tramonto inoltrato. Accelerò il passo; la meta non era lontana.
Chissà cos’avrebbe pensato il padre, vedendolo lì! Forse se ne sarebbe sentito responsabile, ed era il motivo per cui aveva deciso di non parlargliene; anche perché, in fondo, era in parte così. Pur essendo all’epoca un ragazzino, Axel aveva seguito con interesse il percorso in politica del padre e apprezzato i suoi sforzi per rafforzare l’economia, opponendosi alla rigida autarchia che il GST considerava necessaria protezione delle produzioni mendeliane, ma era in realtà un pretesto per ridurre le cooperazioni internazionali.
Ricordava la delusione del padre ogni volta che il governo respingeva le sue mozioni, finendo per adottare misure opposte. Era stato fortunato a non perdere il proprio lavoro alla NewProgram, quando si era ritirato dalla vita politica.
L’edificio che, fino a pochi giorni prima, era stato la sede della Cryptel apparve in fondo alla strada. Nulla lo distingueva da quelli vicini, perfino l’insegna con il nome dell’azienda brillava ancora nella semioscurità. Ma sarebbe stato strano il contrario: il tratto buio avrebbe sottolineato il fallimento dell’azienda, inaccettabile in una nazione che, stando alle fonti ufficiali, era in crescita costante e non conosceva la povertà.
Si guardò attorno per assicurarsi di essere solo, poi rallentò un po’, assumendo quella che sperava fosse un’andatura disinvolta, fino a giungere all’ingresso dell’edificio. Trattenendo il fiato superò la soglia.
Solo una volta all’interno le voci giunsero alle sue orecchie, mentre cercava di abituare la vista all’improvvisa oscurità. L’atrio era vuoto, ma un lucore oltre una porta non lontana gli suggerì che la riunione clandestina si stava svolgendo da quella parte. Riusciva già a comprendere le parole di chi stava tenendo banco in quel momento, e ciò che udiva non gli piaceva: frasi cariche d’ira e odio arricchite da un implicito invito alla violenza. Frasi che, lo sapeva bene, avrebbero irretito la folla.
Superato l’uscio, si trovò in un’ampia stanza quadrata, con una piccola pedana posta accanto alla parete di fondo. Una quarantina di persone, per la maggior parte giovani e giovanissimi, ascoltavano con vari gradi di partecipazione e interesse le parole dell’oratore: un uomo sui trent’anni, alto, nerboruto e molto bravo a calamitare l’attenzione con tono di voce stentoreo e gestualità ben studiata, e che fu sommerso da applausi entusiasti al termine del discorso.
Axel non si aspettava nulla di diverso: quel tipo sapeva quali corde toccare per fomentare l’indignazione della gente. Ma quali erano i risvolti concreti delle sue parole? Non aveva proposto nulla, era stato un monologo inconcludente e pessimistico, e lui non aveva bisogno di qualcuno che gli ricordasse come e quanto il GST fosse disumano.
Si guardò attorno in cerca di altri che non avessero apprezzato l’oratore, ma era difficile distinguere le espressioni su quei volti poco illuminati, con l’unica luce presente nella stanza puntata sulla pedana.
Paolo53 (proprietario verificato)
Un romanzo dalla lettura molto scorrevole, le scene di azione e quelle più descrittive si alternano senza mai risultare pesanti o lunghe. I capitoli più movimentati poi, sono davvero scenografici e si leggono d’un fiato.
I personaggi sono ben caratterizzati, molto differenti tra loro e, durante la lettura, è facile scoprire di “fare il tifo” per uno piuttosto che per un altro.
Un particolare aspetto che mi è piaciuto e che mi sento di mettere in risalto sono i colpi di scena: mai banali o scontati.
Consigliato a ogni fascia di età.
alessia.castellini92 (proprietario verificato)
“Onda ribelle” è un romanzo curato nei minimi dettagli. La caratterizzazione dei personaggi (io personalmente ho adorato Skip) dà l’impressione che siano tutti veri, in carne e ossa accanto a te. Le descrizioni della società e della struttura politica sono curatissime e non era banale farle riuscire così bene, considerato che le vicende sono ambientate in un mondo inventato! La suspence é compagna costante del lettore, così come la crescita continua dell’affetto per ogni personaggio della squadra 7. Tratta temi importanti, sia legati all’individuo in quanto singolo sia in quanto parte di una comunità.
Ho adorato questo romanzo e non vedo l’ora di vederlo anche in libreria!
Davide Giust (proprietario verificato)
È un libro che ho “bevuto al salto”!!
Lettura super scorrevole, ricca di descrizioni, colpi di scena e quel qualcosa in più che ti fa sentire parte della storia… Ho già la nostalgia da fine libro! Voglio vederlo pubblicato al più presto e perché no… anche su grande schermo! 😍