Mio caro Curiandoc,
so che hai riconosciuto la mia scrittura e so che in questo momento vorresti strappare questa lettera prima di leggerne il contenuto. Ma so anche che non lo farai.
Il tempo ci ha abituati ad andare inesorabilmente avanti, pagina dopo pagina della nostra vita. Tu invecchi, qualcuno muore, qualcuno nasce. Nessuno torna indietro, solo i ricordi, e noi ne abbiamo parecchi in comune.
Non si fermano le storie, Curiandoc, anche se tu hai pensato di poter interrompere la tua, costringendoti a rinunciare a quello che avevi di più prezioso, pur di proteggerlo.
Rintanato in quello scoglio, hai voltato le spalle al mondo, come un bambino, sperando che bastasse questo a fermare il destino. Hai pensato di poter chiudere il libro perché il finale non si compia.
Credi forse che il tempo si sia fermato oltre il Mantello? Credi che il mondo sia solo quell’immagine che ne conservi?
No, no davvero, amico mio, perché che voi isolani lo chiamiate 2 luglio 2877, mentre per gli altoreani è il 2976, o che sia il 5704, come in Nordumbria, o manchino trentadue giorni al quintiere di espero del 2916, o sia il diciottesimo giorno di sólmánuðr del 3004; la verità è una e una sola: ovunque tu sia, oggi è inesorabilmente oggi!
Ti illudevi davvero che bastasse tenerla all’oscuro per fermare le trame del Ragno? Mi spiace dirti che tuo figlio è stato trovato e con lui tuo nipote, Tiberio. Presto i cacciatori torneranno, e Luce, ignara e indifesa, non avrà modo di evitare l’inevitabile.
Cosa farai, adesso, Curiandoc? Ti ricordi le mie parole, quando la barca si staccò dal molo? “Scegli la prigione e la prigione pretenderà il suo tributo.”
Cosa farai? Salperai? Cercherai di sfuggire al destino ancora una volta? Ti raggiungerà, stanne certo, e ti ricorderà il tuo debito: una vita per una vita.
Intendi voltarti da un’altra parte, Curi? O riaprirai il libro per scoprire cosa ne sarà di Cori e cosa è accaduto a Tiberio? Girerai finalmente pagina?
Potresti restarne deluso, perché nelle storie, come nei viaggi, per andare avanti alle volte è necessario tornare indietro.
UNA BAMBINA CHE NON È PIÙ NESSUNO
Da qualche parte sui Monti Cingenti del Faros, Altoregno. 4 dicembre 2968 del calendario lunare (5871 giorni alla Caduta di Estinsud).
Non sentiva più freddo.
Silenzio. Solo un silenzio purissimo. Blu come la notte.
E non vedeva più. Non vedeva altro che quella sfera di un bianco incontaminato, oltre lo scintillio del fiordighiaccio. C’era solo lei, adesso, mentre scivolava nel torpore della morte. Non l’aveva mai vista così bella e vicina. «Non temere» le sussurrava. «Nessuno potrà più ferirti.»
Il gelo, poco alla volta, si faceva strada verso il suo cuore e in quell’abbraccio lei si abbandonava, affondava, dimenticava.
Vide allora una donna sospesa nell’acqua, i capelli che danzavano attorno agli occhi sbarrati, una mano tesa verso il riflesso confuso della luna sopra di lei e in quel silenzio in cui persino il tempo si era fermato, una voce chiamava il suo nome.
Poi un’ombra calò sottraendola a quella visione. Un volto senza connotati danzò nella notte. Parole prive di significato turbarono quella pace. Qualcosa, pungente come migliaia di spilli, la strappò alla tenebra, mentre i suoi polmoni sembrava gridassero: “Aria!”.
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