Gaeta, anni Ottanta. Mattia è un bambino allegro che vive un’infanzia regolare, senza scossoni e uguale a quella di tanti altri suoi coetanei, finché il padre, un giorno, non fa coming out e va a vivere con un altro uomo. È la prima volta nella storia europea che, a seguito del divorzio dei genitori, un bambino viene affidato al padre e al suo compagno. Un’avventura, nella colorata Pensione Aurora, che ripercorre trent’anni di storia e giunge fino al primo decennio del 2000: amori, scontri, feste, l’ansia di una generazione con la paura di dover essere per forza qualcuno lontano da sé agli occhi del mondo.
STONE
I’ve got a lust for life (ooh)
Tre, due, uno… Waaa-Waaa, ecco la luce in fondo al tunnel. Sali Sali, esci!
16 gennaio 1980: che figata! Dopo nove mesi di caldo e confortevole grembo materno, eccomi qui, pronto! Suoni odori e colori invadono i miei sensi. La carta da parati, i capelli cotonati della mia gio-vane e sorridente madre e il collo alto del maglione di mio padre non possono che urlare: “Benvenuto negli anni Ottanta!”.
Se sei nato nel 1980, ti hanno fottuto!
Troppo giovane per goderti i rigogliosi anni Sessanta e Settanta, gli anni dei cambiamenti, delle rivoluzioni sociali, dell’amore libero, di Woodstock e delle ammucchiate nei campi… Cazzo, io sono nato a Formia, in un buco di culo del mondo, in Italia, negli anni della Prima repubblica.
Troppo piccolo per comprendere i cambiamenti epocali come la caduta del comunismo nell’89, o per godere della prosperità di un sistema politico corrotto, che non si preoccupava del futuro e se ne sarebbe sbattuto di chi era nato negli anni Ottanta, cresciuto nei Novanta e poi arrivato al cazzo di 2000, in totale precarietà e in un Italia distrutta.
Pronto a subire Chernobyl e la devastazione climatica derivata dall’ignoranza e da un uso smodato della plastica. Ma cosciente, cotto al punto giusto, per affrontare l’entrata nel nuovo millennio verso l’infinito e oltre. Tutto troppo velocemente.
“Ehi ragazzo, non si scopa più nei campi, si rimorchia in discoteca! Ora devi chattare, ora devi creare un profilo su Tinder!”
Noi quarantenni di oggi, cari amici, ne abbiamo viste di cotte e di crude. Siamo cresciuti davanti all’A-Team, a MacGyver e a Colpo Grosso; ci siamo chiusi in bagno con il Postal Market rubato alla nonna e poi ci siamo ritrovati nell’era di Netflix e Pornhub.
La nostra esistenza è stata consumata da grandi eventi e da trasformazioni culturali che in fondo non abbiamo capito, pietrificati nel frattempo dal timore di rimanere indietro e di non essere mai la versione 2.0 di noi stessi.
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Potrei attribuire la mia brama di sesso forse proprio a quel visto-non visto dei completini intimi su Postal Market, o alle stelline glitterate sui capezzoli delle ragazze Cin Cin, non so. Sta di fatto che questa fame costante di libido la porto con me fin dall’inizio di ciò che posso ricordare. Quel calore soave che dilaga lentamente nel basso ventre prima di un’erezione è quasi un ricordo primordiale per me.
Ciò nonostante, a differenza di molti amici precoci, ho dato il mio primo bacio l’estate della terza media. Ricordo ancora quel pomeriggio limpidamente, la primavera volgeva al termine e l’estate stava bussando alle porte. Da noi la fine di maggio decretava inconfutabilmente la fine dell’anno scolastico e quindi, non so se per tradizione o per il caldo, noi non eravamo in classe.
Erano le cinque del pomeriggio e io e il mio amico Emanuele eravamo finalmente riusciti a convincere due nostre compagne di scuola conosciute in gita lo stesso anno a fare una passeggiata.
L’idea di camminare mano nella mano con una ragazza fino a quel momento apparteneva solo alla mia immaginazione. Non perché non avessi voglia o desiderio, ma non ero mai riuscito ad avvicinarmi a una ragazza con un approccio che andasse al di là dell’amicizia.
La soggezione è una cosa che ancora oggi, a quarant’anni suonati, non riesco a gestire in assoluta scioltezza. Sono sempre stato poco agile e ho sempre avuto la tendenza a ingrassare e questa cosa ha segnato e continua a segnare il mio percorso di vita: è per questo che in base alle situazioni mi comporto in maniera molto spavalda oppure molto timida, come in quel caso.
Quello splendido pomeriggio di giugno del 1993 accadde una cosa che ebbe il potere di condizionare molto la mia intera crescita.
Ero infatti riuscito a baciare con la lingua Francesca della 3D. Una ragazza bionda, con le gote tempestate di lentiggini, molto carina. Il suo sorriso mi illuminava, anche se aveva un apparecchio ai denti con tanto di fil di ferro ed elastici, comunque molto in voga in quegli anni, che serviva a correggere le imperfezioni dentali. All’epoca, se malauguratamente ti capitava di doverlo portare, eri costretto a stare a casa un mese e parlarti allo specchio per abituarti a non sputare secchi di saliva sul tuo interlocutore. E dovevi fare tutto da solo. Oggi, oltre al fatto che le tecniche di installazione sono meno invasive, tua madre ti porterebbe prima dal logopedista, poi dall’insegnante di dizione e infine ti pagherebbe un anno di analisi per evitare che la tua autostima cada a pezzi.
Oggi i ragazzini sono perfetti, tutti in tiro e senza un cazzo di difetto, non ne ho mai visto uno con quel cazzo di apparecchio! Comunque basta digressioni, Francesca anche con quel piccolo difetto era bellissima, e quel momento è rimasto impresso nella mia mente e nella mia bocca, sulla mia lingua.
Quel giorno d’estate il mio mondo era diventato più grande, avevo allargato i miei orizzonti e le mie conoscenze verso nuove e sconosciute frontiere, la mia sete era forte e come un vampiro famelico avevo capito inconfutabilmente che: ne avrei voluto ancora!
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