Prologo
Su quella terrazza, poco prima dell’imbrunire, lei disegna la sua libertà.
Il sole scende lento oltre la linea ordinata degli alberi che costeggiano il giardino di quella casa, costruita mattone dopo mattone, con il sudore della fronte di chi ci ha sempre creduto.
I suoi genitori. Le loro rughe. Che quella sera hanno deciso di concedersi un po’ a loro stessi.
Per loro. Per lei.
I capelli scompigliati, tenuti insieme da quell’improbabile matita, ricadono lievi sulle pallide spalle, lasciate come sempre scoperte dalla sua felpa preferita.
Troppo grande per il suo esile corpo.
Troppo piccola per contenere i suoi infiniti sogni.
Non ha cenato. O forse sì, non lo ricorda. Ma quella sera tutto è concesso.
Quel che conta davvero è essere lì. A vedere quel sole scivolare via e allungare le ombre sul suo foglio.
Seduta a terra, su quel cuscino che tanti anni prima sua nonna aveva cucito, la ragazza disegna e cancella.
Il bosco e la collina. Ciò che i suoi occhi non vedono ma a cui il cuore conduce.
Il posto dove riposano leggeri i sogni.
Dove tutto coincide.
Dove ti sembra di avere tutta la vita davanti.
Continua a leggereLasciare un segno
Sono quasi le otto di una sera di novembre. Filippo sta cercando le chiavi del suo monolocale in via Bramante. Dove le avrà messe non lo sa; forse, nella tasca del suo cappotto, ma quale? La destra dove tiene il tabacco? La sinistra? Eccole. Accende la luce. Aline sta ovviamente miagolando perché aspetta di mangiare da un po’; nel suo miagolio insistente pare esserci un rimprovero: “L’hai fatto di nuovo, vero, ragazzo?”.
Filippo ha ventinove anni, vive da solo, i suoi genitori da anni gestiscono una trattoria sul lungomare del loro paese di nascita. Ha provato a seguire una strada già tracciata da chi anni prima c’era riuscito, ma Filippo ha i capelli ricci e, si sa, chi ha i capelli ricci in fin dei conti un po’ matto lo è, e così, all’età di ventun anni, ha preso una piccola valigia grigio scuro ed è salito su un treno.
Gli anni dell’università sono stati anni buoni, trascorsi veloci come veloce soffia la bora quando Trieste si veste d’inverno. Ha scelto sociologia perché è sempre stato un tipo curioso e attento a ciò che gli ruota intorno, però l’essere umano – come pensi, come agisca, cosa lo spinga a muoversi – non l’ha mai capito.
«Hai da accendere?»
«Scusa?»
«Che è, sei sordo?»
Filippo si leva le cuffie, minuto 2:32 di uno di quei pezzi indie rock che forse conosce solo lui.
«Sì, certo, scusa.»
«Ciao, mi chiamo Rachele.»
«Piacere, Filippo. Anche tu il 39?»
«Sì, scendo a Campanelle, praticamente al capolinea.»
Si siedono in fondo, la borsa a tracolla di lui sfiora leggermente i jeans di Rachele. Non si dicono molto. Le luci fuori dai finestrini sono sempre le stesse: l’insegna della parafarmacia Tomadini, il tabacchino di Piccin, la gioielleria Rosignoli… le sa ormai a memoria.
«Ciao Rachele.»
«Ciao Marco.»
Ecco una delle cose che non capisce del genere umano: quando ci si presenta per la prima volta, come si fa a dimenticare subito il nome?
Rachele aveva gli occhi azzurri, i capelli forse non li pettinava spesso, non era quella ragazza che noti perché sempre impeccabile, ben vestita o truccata; aveva una voglia a forma di U sul collo e due orecchini di perla. Il suo accento, il suo modo di parlare, lasciava intendere che non fosse di Trieste, come lui del resto, e, a dirla tutta, in quei pochi scambi di battute aveva sbagliato spesso i congiuntivi. Gli aveva raccontato che lavorava alle acciaierie su in paese. Suo padre erano anni che era ai forni; l’aveva convinta a lasciare un curriculum e due mesi dopo era al reparto Alfa.
Lei sembrava esattamente il contrario di quello che potesse considerarsi lui: soddisfatta? Equilibrata? Scivolosa agli eventi.
Un’altra cosa che non aveva mai compreso del genere umano è come faccia a innamorarsi così velocemente. Esiste da qualche parte, nascosto sottopelle, un interruttore che fa click e un attimo dopo, senza sapere perché, si prova amore? Aveva anche provato a prendere in prestito dalla biblioteca un libro di anatomia per studenti di Medicina, ma poi aveva subito capito che non avrebbe trovato lì nessuna risposta che andava cercando; il giorno dopo, l’aveva restituito.
Fatto sta che, dopo quel tardo pomeriggio, Filippo Baldi amava Rachele con la voglia a forma di U.
Passarono i giorni e continuava la vita, le foglie iniziavano a virare sul giallo; il tram 39 seguiva fedele la sua linea. Filippo andava in facoltà e poi a casa da Aline. Aveva pochi amici, anzi, l’unico che ritenesse abbastanza meritevole da esser considerato tale era Daniele. Lui sì, era di Trieste, amava il pallone, era anche discretamente bravo, poi amava il liquore di Terrano e i video hard. Era talmente diverso da lui da esserne inconsciamente attratto; di Daniele, più di tutto, amava la risata.
Fu proprio una risata a far incrociare le loro strade la prima volta. Filippo si era da poco trasferito a Trieste per frequentare l’università; egli divideva le sue giornate tra la facoltà e i libri che leggeva la sera nel suo piccolo, modesto appartamento di via Bramante.
Se da una parte si sentiva orgoglioso di aver strappato le sue radici e un futuro già designato, dall’altra, molto spesso, quando richiudeva il libro di turno e lo riponeva nel cassetto sentiva il peso e il tonfo della sua solitudine.
Una sera, senza sapere in realtà cosa lo spingesse, forse la sensazione di essere troppo avulso dal mondo dei suoi coetanei, si cambiò e uscì per le vie del centro. Non conosceva in pratica nessuno, a parte i suoi compagni di corso con cui non sentiva di avere ancora molto da condividere.
Non era certo di cosa facesse un ventenne triestino la sera. Poteva immaginarselo, ma non si sentiva in grado di scommetterci. Così, entrò in un pub, deciso che una birra potesse essere un buon punto di partenza per smorzare il suo senso di estraneità dal mondo.
Il locale non era molto grande, un classico pub principalmente di legno, stile british, con una lunga serie di spillatori dorati disposti in fila.
C’era poca gente al suo interno, ma nonostante questo un gran baccano sembrava provenire dal tavolo più lontano rispetto all’ingresso. Un gruppo di quattro, cinque ragazzi stava discutendo a voce alta di una rissa sfiorata sul campo durante l’ultima partita di calcio, la domenica appena trascorsa.
«Tommy, avessi aspettato un attimo prima di tirarlo giù!»
«Ma se sei l’unico portiere che credo di non aver mai visto uscire dai pali neanche mezza volta! Almeno ci ho provato!»
«Sì, ma gli hai fatto saltare tibia e perone! Bastava tirarlo per la maglia e quello andava giù!» disse scoppiando a ridere un ragazzo biondino con un marcato accento.
Filippo fu catturato dal suono di quella rumorosa ma sincera risata. Talmente rapito da non accorgersi di fissare quel ragazzo e quel gruppo di amici da almeno un paio di minuti.
Poi, per non risultare troppo invadente, finì alla svelta la sua birra doppio malto, si alzò, pagò e uscì. Si fermò per un’ultima sigaretta sedendosi sul muretto antistante il locale, assorto come sempre nei suoi pensieri. La porta del pub cigolò pesantemente e il gruppo di amici uscì, continuando la discussione iniziata all’interno, tra battute di scherno e pacche sulla schiena. Uno di loro, quello biondo con la risata magnetica, si fermò qualche passo indietro rispetto al gruppo e sembrava non voler proseguire.
«Dany, che fai? Ti muovi?» chiese uno degli altri.
«No, ragazzi, andate pure. Io faccio due passi a piedi e vado a casa. Sono cotto.» E salutò.
Il ragazzo squadrò Filippo, che timidamente cercava di non ricambiare lo sguardo, concentrandosi su un ciuffetto d’erba che ostinato era cresciuto tra due sampietrini.
«Ciao. Sei nuovo? Non ti ho mai visto qui al pub. Neanche in giro, in realtà. Questa città è piccola e qui ci si conosce tutti. Piacere, comunque, io sono Daniele.»
«Ciao. Io sono Filippo. Sì, non è molto che sono qui a Trieste. Mi sono trasferito per l’università dalla Toscana. Faccio sociologia.»
«E a parte studiare? Non sarai mica uno di quegli studenti fuori sede che studia, studia e non esce mai?!» provocò divertito Daniele.
«In realtà un po’ sì» ammise Filippo, consapevole di corrispondere perfettamente alla breve descrizione di quel ragazzo appena conosciuto.
«Ecco, allora è il momento di allargare la tua conoscenza del mondo» concluse con tono secco e perentorio. Rientrò nel pub e un attimo dopo ne uscì con due birre in bottiglia.
«Vieni, ti porto in un posto, uno di quelli giusti.»
Certe amicizie nascono così, senza cercarle. Il filo della vita si srotola, crea un’ansa e poi improvviso annoda il corpo di due persone e ne accorcia le distanze.
Filippo e Daniele consumarono quella coppia di birre seduti sui seggiolini della tribuna del settore ospiti del piccolo stadio della società calcistica in cui Daniele giocava fin da bambino.
Oggi, come allora, il suo sogno di diventare un giocatore professionista viveva la sua fiamma.
I due ragazzi chiacchierarono tutta la notte, così diversi nel loro modo di interpretare la giovinezza e la condotta nel mondo. Chiacchierarono con disarmante spontaneità, in quella notte che parve infinita.
E non smisero di farlo per tutto il resto delle loro vite.
È così che si è arrivati a quel giorno di qualche anno dopo, quando Filippo sentì l’esigenza di aprirsi con Daniele.
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Elisa Poggio (proprietario verificato)
Leggere questo romanzo per me è stato davvero emozionante. Pagina dopo pagina ho percorso questo viaggio insieme ai protagonisti, intensi attimi impressi nel cuore.
Un viaggio che consiglio a tutti quelli che non l’hanno ancora letto perché come ogni viaggio lascia qualcosa di bello dentro ognuno di noi ❤️.
Angela Nervi (proprietario verificato)
Una lettura molto piacevole, divorata in pochi giorni per la curiosità di conoscere il destino dei due protagonisti. Il senso di confusione iniziale di chi legge si dissolve via via che il lettore prosegue nella storia. Il finale è stato il vero colpo di scena!
Greta Carozzi (proprietario verificato)
Bellissima storia che trascina il lettore dentro ad un mondo in bilico tra il reale e l’onirico, attraverso personaggi travagliati e mai banali.
Ho avuto la fortuna di leggerlo in anteprima e non mi ha sorpreso la profondità che riesce a toccare l’autore!
serena.diotto (proprietario verificato)
Un romanzo che porta i lettori a riflettere su un aspetto fondamentale della vita: alcune cose accadono, non si possono modificare, ma il nostro modo di interpretare gli avvenimenti trasformando quella che potrebbe sembrare una parola “fine” in uno stimolo nuovo è ciò che può davvero salvarci, così come ha salvato Filippo.
La lettura ne risulta piacevole e scorrevole nonostante la storia porti con sé una forte nota di denuncia sociale, tristemente attuale; il modo di proporre ed articolare le categorie dello spazio e del tempo ne fanno un lavoro davvero originale.
Angelo Arata
Un romanzo in cui il mondo reale, con tutta la sua complessità e le sue contraddizioni, appare riflesso nello specchio del sogno. Senza rinunciare ad affrontare la durezza della società attuale, la narrazione ci conduce in un tempo speciale, in cui l’amore e il dolore si mescolano, senza forzature, ma piuttosto con la leggerezza di quei sentimenti autentici, che ritroviamo nel profondo dell’esperienza quotidiana. Il tutto sulle fantastiche ali di un tram vagante tra passato e presente, tra illusione e memoria. Un romanzo di grande freschezza, che trascina il lettore nel mistero dei nostri cuori.