Capitolo 1
Sara era pronta a colpire la pallina. Posizionata sulla linea di fondo campo, aspettava che la compagna tirasse il servizio.
Erano otto anni che giocava a tennis. Aveva iniziato a nove nello stesso club ed era diventata piuttosto brava. Non le piaceva però fare tornei, non era una ragazza competitiva. Le piaceva vincere, certo, ma voleva soprattutto divertirsi.
Era piuttosto alta, quasi un metro e settanta, con i capelli lunghi, castani e lisci, in quel momento raccolti in una coda di cavallo, e gli occhi color nocciola, grandi, che alla luce del sole sembravano ambra. Era bella, con un fisico sportivo. Indossava un completino da tennis azzurro con gonna pantalone e maglietta corta che faceva intravedere una parte della pancia.
Frequentava il liceo scientifico in una scuola privata di Milano, nella zona Città Studi, adorava la musica e il cinema. Per quanto riguarda i ragazzi, aveva avuto un paio di storie di qualche mese, ma niente di serio. Vedeva i suoi compagni un po’ immaturi, perfetti come amici, ma come fidanzati un disastro.
La compagna finalmente lanciò la pallina, Sara la colpì e iniziarono un lungo scambio. Stavano facendo un doppio, in preparazione al torneo che avrebbero disputato alla fine del corso, come accadeva ogni anno. Erano in sei a fare lezione: quattro ragazze e due ragazzi. Tutti i venerdì pomeriggio, dalle sedici alle diciassette. Si conoscevano da anni, erano diventati molto amici oltre che compagni di tennis. Tra le ragazze c’era anche Camilla, compagna di scuola di Sara e una delle sue migliori amiche. Si conoscevano da quando erano piccole. Camilla era più bassa di Sara, le arrivava alla spalla, ma era magra come lei. Aveva i capelli biondi che le toccavano appena le spalle e gli occhi grandi e azzurri.
«Bravi, ragazzi! Per oggi abbiamo finito» disse il maestro Alberto, un uomo sulla quarantina, non tanto alto e con gli occhiali, mentre i ragazzi si dirigevano alle panchine per infilarsi felpe e giacche e prendere i propri zaini.
«Ciao, Alberto» dissero uscendo dal campo.
«Viene tua mamma a prenderti?» chiese Camilla a Sara.
«Sì, come sempre sarà in ritardo.»
«Se vuoi chiamala e ti do un passaggio io. Mio papà mi ha scritto che è già fuori.»
«Non ti preoccupare, così faccio due chiacchiere con Andrea.»
«Ok» disse Camilla, arrivate all’uscita. «Ci sentiamo dopo.» Le diede un bacio sulla guancia.
«Ciao, Cami.»
Sara si avvicinò al bancone del bar.
«Ciao, Saretta! Cosa mi racconti oggi?» Era Andrea, il ragazzo che lavorava al bar del tennis club. Sara lo conosceva da circa quattro anni, da quando lui aveva iniziato a lavorare lì. Era il nipote del proprietario del club, aveva ventiquattro anni ed era un ragazzo molto simpatico. Era alto, con capelli castani mossi e occhi verdi. Nonostante lavorasse in un tennis club, non aveva mai praticato lo sport. La sua passione era il calcio e il suo fisico non lo nascondeva. Ci aveva giocato per tanti anni, quasi a livello professionale, ma, a causa di un incidente in moto quando aveva vent’anni in cui si era rotto la caviglia, aveva dovuto abbandonare quella passione. Aveva fatto alcuni corsi per diventare barman e gli sarebbe piaciuto molto aprire un pub tutto suo, ma servivano soldi e non ce li aveva. Così, quando lo zio gli aveva proposto di lavorare per lui, aveva accettato.
Tutte le volte che aspettava che sua mamma venisse a prenderla, Sara rimaneva a chiacchierare con lui. Era suo amico, suo confidente. Ad Andrea raccontava tutto: discussioni con i suoi, problemi con amici o amiche, ragazzi. Le piaceva Andrea e, in fondo, a quale ragazza non sarebbe risultato attraente? Però, con il passare del tempo e la relazione che si era instaurata tra di loro, era arrivata a considerarlo come un fratello maggiore. Era molto più grande di lei e quando si erano conosciuti era stata solo una bambina, non le avrebbe mai fatto caso.
«Tutto bene, e tu? Oggi compito di matematica e interrogazione di storia.»
«E come sono andati?»
«Penso bene.»
«Sicuramente, sei una secchiona» disse ridendo.
«Ma cosa dici? Mi dai una bottiglietta d’acqua, per favore? Non ho bevuto per tutta la lezione perché me la sono dimenticata.»
«Certo. Fredda o temperatura ambiente?»
«Meglio ambiente, grazie.»
Mentre Andrea andava a prendere l’acqua, arrivò un ragazzo che si mise di fianco a lei. Notando la sua presenza, la ragazza si girò e i loro sguardi si incrociarono.
Era il ragazzo più bello che avesse mai visto. Alto almeno un metro e ottantacinque, capelli corti e scuri e occhi azzurri, quasi grigi, da far perdere la testa, circondati da lunghe ciglia. Il suo viso era perfetto, e non poté fare a meno di notare una cicatrice che gli tagliava il sopracciglio sinistro, come se se lo fosse rotto o avesse avuto un piercing in passato. Era vestito da tennis anche lui, con un completo Adidas nero e una giacca di pelle dello stesso colore. Nonostante fosse ben coperto, si notava benissimo che aveva un fisico pazzesco, muscoloso e definito, che avrebbe fatto perdere la testa a chiunque.
Lui le sorrise e lei ricambiò, diventando rossa in viso.
«Ecco l’acqua.»
«Grazie.»
«Ehi, ciao, Matteo» disse Andrea rivolgendosi al ragazzo e dandogli la mano.
«Ciao, Andre! Che racconti?» domandò, guardando Sara con la coda dell’occhio.
«Tutto tranquillo, e tu? Solita birretta?» chiese aprendo il frigorifero sotto il bancone come se sapesse cosa desiderava il nuovo arrivato.
«Sì, grazie. Devo aspettare Giovanni che mi ha scritto che è in ritardo. È sempre così. Prova a immaginare se mi ha detto a che ora arriverà» rispose ridendo.
«Ma alla fine cosa giocate, venti minuti?» chiese Andrea.
«No, perché lo conosco e prenoto sempre il campo per due ore.»
Andrea scoppiò a ridere e il ragazzo con lui.
Arrivarono altri clienti e Andrea si allontanò.
Anche quel ragazzo conosceva bene Andrea, da come si parlavano, quindi doveva venire spesso a giocare, eppure Sara non lo aveva mai visto. Una meraviglia del genere l’avrebbe notata di sicuro. Immagina se ci fossero state le sue amiche! Inizierebbero sicuramente a fare il circo pur di farsi vedere, pensò ridendo tra sé e sé.
«Hai finito di giocare o devi iniziare?»
Sara si voltò verso di lui e si guardò attorno, ma nella direzione in cui gli occhi del ragazzo puntavano c’era solo lei. Oddio, le aveva fatto una domanda e quegli incantevoli occhi la stavano osservando.
«Ho finito. Tu invece devi iniziare, da quello che ho intuito» rispose sentendo che diventava rossa in viso.
«Sì, ma come avrai capito il mio amico tarderà un po’» continuò Matteo, portandosi la bottiglia alla bocca e bevendo un sorso.
Sara pensò che non poteva farsi scappare quell’opportunità e decise di proseguire con la conversazione. «Vieni spesso qui?»
«Sì, di solito il giovedì perché finisco di lavorare presto, però questa settimana abbiamo cambiato giorno perché Giovanni, il ragazzo che deve arrivare, ieri non poteva.»
Lavoro? si domandò Sara. Ma quanti anni ha?
«Che lavoro fai?» gli chiese incuriosita.
«Sono architetto, di interni, precisamente. Lavoro da un paio d’anni per un’azienda, da quando mi sono laureato.»
«Laureato?» chiese Sara. «Ma quanti anni hai?»
«Ventisei, e tu?»
Ventisei anni? Non credeva alle sue orecchie. Sembrava moto più giovane o, almeno, era quello che sperava. Era un uomo, però. Come poteva dirgli che lei ne stava per compiere diciassette? Le aveva parlato. E come la guardava! Sembrava che, non sapeva come, l’avesse colpito. Ma una ragazzina non gli sarebbe certamente interessata.
Aprì la bottiglietta e bevve un sorso d’acqua. «Io ne ho ventuno, quasi ventidue» mentì, sentendo le guance diventare ancora più accalorate.
Sara guardò Andrea per cercare conforto, sperando che l’amico non la smascherasse. Non le piaceva dire bugie e non era neanche molto brava a farlo. Il barista la fissò con sguardo incredulo e di disapprovazione, chiudendo gli occhi, ma lei gli fece cenno di non dire niente.
Matteo la guardò. «Sembri più giovane.»
«Sì, me lo dicono tutti. Anche tu, però» sottolineò come incolpandolo per la bugia appena detta.
Lui rise. «Anche a me» disse portandosi la bottiglia alla bocca. Che voglia ha di bere una birra prima di giocare a tennis? pensò Sara, o forse era lei che non ci era abituata. «E studi o lavori?»
«Studio…» fece una pausa «… Psicologia in Cattolica.» Sentiva come il suo cervello stesse lavorando all’impazzata per cercare una risposta plausibile a ogni sua domanda.
«Ma dai, interessante. Anche una mia amica ha studiato Psicologia. Però non in Cattolica.»
Continua a leggere
Sara tirò un sospiro di sollievo. Ci mancava solo che conoscesse qualcuno che studiava lì e iniziasse a farle domande più specifiche, perché lei in un’università non era mai entrata.
«Quindi quest’anno prenderai la prima laurea?»
Sara voleva sprofondare. Era entrata in un gioco più grande di lei. Per fortuna, una sua vicina di casa, Alessandra, studiava davvero alla triennale in Psicologia e doveva laurearsi a breve. Si conoscevano fin da quando erano piccole, entrambe erano nate e cresciute nello stesso edificio, e, quando si incrociavano, la informava spesso dei suoi studi perché Sara avrebbe voluto davvero studiare Psicologia.
Così iniziò a dirgli tutto quello che Alessandra aveva raccontato a lei. «Sì, mi laureo a settembre. Mi mancano solo tre esami e sto scrivendo la tesi.»
«Argomento?»
«La dipendenza dai videogiochi.» Aveva la risposta pronta per ogni sua domanda.
«Wow! Interessante.» In quel momento il telefono di Matteo suonò. «Scusa, devo rispondere.»
«Certo, figurati» disse sospirando. Non sapeva più come gestire la conversazione e quella pausa le avrebbe fatto comodo.
«Gio, dove cazzo sei?» chiese Matteo allontanandosi.
Anche la sua voce è perfetta, pensò Sara, ma Andrea si avvicinò a lei, allontanandola dai propri vagheggiamenti e, a bassa voce, le chiese: «Cosa stai facendo?».
«Non lo so, Andre, mi ha presa alla sprovvista!» rispose coprendosi il viso con le mani.
«Ventidue anni…» Scrollò la testa.
«Ma sì, dai, magari non lo rivedrò neanche più. Tu stai zitto, eh.»
Matteo tornò verso di lei. «Il mio amico sta arrivando.»
«Bene, almeno riuscite a giocare un po’.»
Il telefono di Sara vibrò. Era un messaggio di sua madre che diceva che era nel parcheggio ad aspettarla.
«Devo andare» disse la ragazza.
«Anche io. Mi ha fatto piacere conoscerti» disse Matteo sorridendo e facendola sciogliere ancora di più. Anche quel sorriso le risultava perfetto, con i denti super bianchi e allineati. Era un ragazzo da rivista e aveva parlato con lei, e, anche se era stata la conversazione più difficile che avesse mai dovuto sostenere, avrebbe voluto che non finisse mai. Voleva sapere tutto di lui. Chissà se lo avrebbe rivisto un giorno.
«Anche a me» rispose nervosa. «Ciao, Andre, ci vediamo venerdì» disse andando verso l’uscita.
«Ciao! Fai la brava.»
«Scusa!» la chiamò il ragazzo.
Sara si girò.
«Comunque sono Matteo.»
«Sara» gli rispose sorridendo e uscì.
* * *
Matteo la guardò andare via. Quella ragazza aveva qualcosa di speciale, oltre a essere davvero molto bella. L’aveva colpito dal primo momento in cui l’aveva vista. Quegli occhi, quel sorriso, quel modo così semplice e quasi infantile di chiacchierare… E poi diventava rossa quando la guardava.
Da circa otto mesi si era lasciato con la sua fidanzata, Claudia, con la quale era stato per quattro anni e vissuto per un paio. Era stato molto innamorato di lei, ma la ragazza, purtroppo, negli ultimi tempi era cambiata. L’aveva tradito con un collega e il giorno stesso era andata via di casa, lasciandolo solo con il loro Jack Russell, Jack.
«Perché non mi hai mai parlato di lei?» domandò rivolgendosi ad Andrea.
«Ti ho mai parlato delle ragazze che vengono al club?»
«No, però questa Sara sembra fantastica» rispose con sguardo sognante e sorridendo.
«E lo è.»
«Ah, scusa, se interessa a te io non la guardo neppure» disse Matteo mettendo le mani avanti.
Andrea sorrise. «No, ma va’, tranquillo, siamo solo amici.»
«La conosci da tanto?» Voleva sapere di più su quella meravigliosa ragazza.
«Da qualche anno. Viene a lezione tutti i venerdì. Gioca davvero bene.»
Matteo ci pensò un attimo e poi disse: «Mi sa che allora venerdì prossimo verrò qui».
«Vuoi che ti prenoti il campo?»
«Che campo? Vengo per rivedere lei!» disse facendo l’occhiolino.
Andrea sorrise e Matteo andò verso il suo amico, che finalmente era arrivato.
«Teo, scusami, non sai che traffico ho trovato» disse Giovanni.
«Non preoccuparti.» Gli mise la mano sulla spalla e si avviarono al campo. Senza volerlo, l’amico gli aveva fatto un favore.
* * *
Sara era in macchina con sua madre Monica, che iniziò a farle domande. «C’era Camilla? Come sta il maestro? Avete fatto una partita?»
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.