“Ho recuperato i bagagli e comunque mi sono assentato per poco.”
“A me sembrava più che poco.”
“Non temere, non ti ho mai persa di vista.”
Stacy aveva ingrossato le guance, facendo vacillare la volontà, non poi così ferrea, di Chris di restare serio; lui non l’avrebbe mai ammesso ma quel “piccolo uragano” gli aveva riempito la vita, movimentando, a volte anche troppo, le sue giornate di atleta e Casanova, tra studio, allenamenti e conquiste amorose.
Fisico scolpito, forgiato da disciplina e costante impegno, sguardo accattivante e un sorriso da pubblicità; se a tutto ciò si aggiungevano la maglia e il titolo di capitano della nazionale americana di pallavolo non era difficile immaginare perché fosse tanto gettonato tra il pubblico femminile.
Tuttavia, malgrado il successo e la fama precoci, Chris era riuscito a non lasciarsi travolgere da quella popolarità dirompente, effimera, inebriante quanto insidiosa, abile a travolgere e a sconvolgere se mal gestita, a cominciare dalle relazioni interpersonali.
“Hai noleggiato un’auto?”
Stacy l’aveva chiesto supplichevole, tanto che lui la avvicinò, cingendole le spalle; faceva male vederla impaurita, lei che era sempre stata intrepida.
“Non possiamo andare a piedi, lo sai, siamo troppo lontani dal centro…”
La verità era che a entrambi era stato chiesto di crescere molto prima del dovuto.
Dopo aver perso i genitori in un incidente, qualche anno addietro, Stacy aveva iniziato ad avere il terrore delle quattro ruote; si irrigidiva al solo pensiero, dando spettacolo, il più delle volte, con attacchi di panico incontrollati, impensabili nell’immaginario collettivo per una bambina di quell’età.
E lui che all’epoca, poco più che ventenne, si era ritrovato a farle sia da padre che da madre, aveva deciso di insegnarle ad amare la vita, nonostante tutto; la scrutò con tenerezza.
“Ti fidi di me?”
Uno sguardo che di parole ne valeva mille, un dialogo incomprensibile ai più, ma non a loro.
Lei sospirò prima di nascondersi contro la sua maglia e biascicare un tribolato “sì”; malgrado la tentazione di scappare e correre lontano sapeva non avere altra scelta.
Prima o poi avrebbe vinto quella paura tanto combattuta, confidava in questo; mamma e papà le mancavano immensamente, tuttavia Chris era riuscito, per quanto possibile, a sopperire al vuoto creatosi.
A proposito, quel ragazzo pacato e riflessivo doveva aver noleggiato una gran bella macchina a giudicare dalla contentezza; non faceva che sorridere, ragione più che sufficiente per Stacy, intrigata e impensierita da tutto quel mistero, per fissarlo insistente.
“Quella sarebbe la nostra auto?”
Metallica e scattante, lucente e rombante, pronta per essere guidata.
“Una cabriolet?”
“Non ti piace?”
Lei gli aveva appena stritolato la clavicola, contrariata.
“Andiamo a piedi, ti prego…”
“D’accordo.”
Chris lo disse arrendevole e la cosa la turbò alquanto; non era da lui desistere.
“D’accordo, se non sali in auto niente allenamenti per i prossimi due mesi.”
Ovvero per tutta l’estate.
“Cosa?”
“Hai sentito bene.”
Gli occhioni iniziarono a farsi lucidi e le labbra sempre più arricciate; Stacy trattenne il respiro, indecisa se iniziare a dimenarsi e prorompere in pianto nel disperato tentativo di impietosirlo oppure comportarsi da persona adulta e ragionevole, come lei stessa era solita definirsi, e assumersi le responsabilità delle proprie scelte.
“Questo è ricatto.”
“Persuasione.”
Inutile dire che l’aveva già fulminato con un’occhiataccia.
“Persuasione?”
“Proprio così.”
“Va bene…”
Chris si ritrovò ad abbassare lo sguardo, intenerito nel vederla rigida e tesa, ancorata al sedile, gli occhi chiusi e il respiro galoppante, specie nell’istante in cui ingranò la prima.
“Persuasione, Stacy.”
Il vento tra i capelli e l’aria soddisfatta, di chi la sa lunga, con grande disappunto di lei.
“Persuasione…”
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