«Non temere, non ti ho mai persa di vista.»
Stacy aveva gonfiato le guance, facendo vacillare la volontà – non poi così ferrea – di Chris di restare serio. Lui non l’avrebbe mai ammesso ma quel piccolo uragano gli aveva riempito la vita movimentando, a volte anche troppo, le sue giornate di atleta e casanova, divise tra studio, allenamenti e conquiste amorose.
Fisico scolpito, forgiato da disciplina e costante impegno, sguardo accattivante e un sorriso da pubblicità. Se a tutto ciò si aggiungeva la maglia che lo identificava come capitano della nazionale americana di pallavolo, non era difficile immaginare perché fosse tanto gettonato tra il pubblico femminile.
Tuttavia, malgrado il successo e la fama, Chris era riuscito a non lasciarsi travolgere da quella popolarità dirompente, inebriante quanto insidiosa, che avrebbe potuto sconvolgere la sua vita se mal gestita, a cominciare dalle relazioni interpersonali.
«Hai noleggiato un’auto?»
Stacy l’aveva chiesto spaventata, tanto che Chris la avvicinò a sé, cingendole le spalle; faceva male vederla impaurita, lei che era sempre stata intrepida.
«Non possiamo andare a piedi, lo sai, siamo troppo lontani dal centro…»
La verità era che a entrambi era stato chiesto di crescere molto prima del dovuto. Dopo aver perso i genitori in un incidente, tre anni addietro, Stacy aveva iniziato ad avere il terrore delle quattro ruote: si irrigidiva al solo pensiero, arrivando il più delle volte ad avere attacchi di panico incontrollati, impensabili nell’immaginario collettivo per una bambina di quell’età.
E lui che all’epoca, poco più che ventenne, si era ritrovato a farle sia da padre che da madre, aveva deciso di insegnarle ad amare la vita, nonostante tutto.
La scrutò con tenerezza. «Ti fidi di me?»
Le rivolse uno sguardo che valeva mille parole, un dialogo solo loro, fino a quando lei non sospirò nascondendosi contro la maglia di Chris e biascicando un tribolato “sì”; malgrado la tentazione di scappare e correre lontano, sapeva di non avere altra scelta.
Prima o poi avrebbe vinto quella paura tanto combattuta, confidava in questo; mamma e papà le mancavano immensamente, tuttavia Chris era riuscito, per quanto possibile, a sopperire al vuoto creatosi.
E suo fratello, quel ragazzo pacato e riflessivo, doveva aver noleggiato una gran bella macchina a giudicare dalla contentezza: non faceva che sorridere, ragione più che sufficiente per Stacy, intrigata e impensierita da tutto quel mistero, per fissarlo insistentemente.
«Quella sarebbe la nostra auto?» Metallica, lucente e pronta a rombare, l’auto li aspettava. «Una decappottabile?»
«Non ti piace?»
Lei gli aveva appena stritolato il braccio, contrariata. «Andiamo a piedi, ti prego…»
«D’accordo» disse Chris arrendevole e la cosa la turbò alquanto: non era da lui desistere. «D’accordo, se non sali in auto niente allenamenti per i prossimi due mesi.»
Ovvero per tutta l’estate.
«Cosa?»
«Hai sentito bene.»
Gli occhioni di Stacy iniziarono a farsi lucidi e le labbra sempre più arricciate; trattenne il respiro, indecisa se iniziare a dimenarsi e prorompere in pianto, nel disperato tentativo di impietosirlo, oppure comportarsi da persona adulta e ragionevole, come lei stessa era solita definirsi, e assumersi le responsabilità delle proprie scelte.
«Questo è ricatto.»
«Persuasione.»
Inutile dire che Stacy fulminò Chris con un’occhiataccia. «Persuasione?»
«Proprio così.»
«Va bene…»
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