Gli agenti più esperti, dopo aver cacciato i giornalisti e i curiosi, riuscirono a portare al suolo il cadavere, abilmente avvolto in un bozzolo in plastica attraverso cui non passava neanche un sottile filo d’aria. Il medico legale s’inginocchiò con la lentezza di un uomo appena sveglio alle tre e mezza di notte, dopodiché, con l’aiuto di un taglierino, lo ruppe com’era abituato a fare con i suoi pazienti in obitorio. La vittima si dischiuse di fronte ai suoi occhi, e il poveraccio deglutì alla vista del giovane uomo rannicchiato e con le braccia a coprirgli il volto, come se si stesse vergognando della fine che aveva fatto prima di raggiungere l’aldilà. Dopo una veloce occhiata, si fece immediatamente un’idea della causa della morte, ma guardò spazientito l’orologio: all’appello mancava il commissario, ma di lui non c’era traccia. Scosse la testa.
Qualche decina di metri più in là, l’ospite più atteso si avventurava su per la gradinata che conduceva all’interno, allo spettacolo, al fermento che tanto gli piaceva e che tanto cercava anche al di fuori del lavoro, nelle feste private e pullulanti di donne. Gettò la sigaretta a terra e la pestò prima di terminare la sua entrata in scena trionfale. Si passò una mano tra i capelli.
«Che grandissima rottura di cazzo» imprecò tra sé e sé in un seguitare di sbadigli. Si avvicinò al medico legale per farsi dare qualche informazione sul cadavere e fare luce sull’omicidio.
«Che cosa abbiamo qui, Martin?» domandò il commissario con fare riluttante, ripensando alla sua tanto amata sigaretta, che era stato costretto a buttare via giusto un attimo prima. Una ramanzina da parte dei colleghi per colpa di una microscopica quantità di cenere di certo non avrebbe giovato al suo umore già compromesso.
Il medico legale si alzò goffamente da terra. Benché il suo fisico non rispecchiasse i canoni di bellezza dell’industria della moda, Martin Olsen non si poteva odiare. Era un comico nato, e sfruttava quel piccolo dono per portare un briciolo di allegria anche in momenti delicati e di tensione, come solo un omicidio in piena notte potrebbe essere.
«Salve, signor Dalton. Spero sia stato un buongiorno, un buon mattino, o come lo intende lei. La questione è sempre molto ambigua quando riguarda questo genere di orari intermedi» constatò. Il commissario gli fece cenno di proseguire. Tossì mettendosi una mano davanti alla bocca. Imprecò tra sé e sé, ancora.
«Maschio bianco, sulla quarantina, alto circa un metro e settantacinque, a occhio e croce. Morto probabilmente per soffocamento, a giudicare dal colore violaceo del collo e dai piccoli segni che posso intravedere proprio all’altezza della giugulare. Non saprei dirle altro, così su due piedi, se non che ha fatto una brutta fine. Pace all’anima sua» rispose l’uomo con tono ansante. Gesticolava sempre, e lo faceva in maniera altrettanto buffa. Dalton fece fatica a trattenere una risata, si limitò perciò a sorridere bonariamente per assecondarlo.
«Perfetto. Dico “perfetto”, ma sai che è metaforico. È l’unica vittima, giusto?» proseguì il biondo, mordendosi il labbro. Nella sua testa si stavano già delineando schemi, prospettive, indizi, ricostruzioni dell’omicidio. Ormai era sveglio, perché sprecare tempo prezioso?
«È l’unico che abbiamo trovato qui, che io sappia. Non escludo che l’assassino possa aver agito in precedenza, perché è stato di una precisione fenomenale, quasi chirurgica. Ritengo difficile essere tanto puntigliosi se si è alle prime armi con questo genere di operazioni. Solo qualcuno con la mano ferma e delicata può muoversi con tanta perfezione» rispose ancora il medico legale; si tolse i guanti di lattice e tornò a osservare la vittima come un appassionato di Van Gogh di fronte a una sua qualsiasi opera d’arte. L’uomo sembrava addormentato, con un inquietante sorriso stampato sulle labbra. Gli occhi chiusi erano coperti dai capelli lunghi appena sopra le spalle, di un color biondo cenere, ma con un’evidente ricrescita rossa; il fisico atletico era rimasto intatto, dai bicipiti muscolosi. L’assassino aveva rannicchiato le gambe della vittima per poterla rinchiudere meglio lì dov’era stata ritrovata.
«Cazzo. Diciamo che una donna riscontrerebbe molta difficoltà nell’alzare una persona con questa corporatura, a meno che non utilizzi un muletto o qualcosa di simile. Fatico a credere che l’assassino possa appartenere al gentil sesso. Avete trovato qualcosa di simile qui attorno? Qualche cantiere o costruzione in corso?» chiese Dalton. Iniziava già a sentire una certa crisi di astinenza da nicotina, e conosceva gli effetti che aveva su di lui. Non era per niente un buon segno.
Con la sua intelligenza, gli bastavano poche parole per trarre una conclusione plausibile. Molti dei suoi casi, infatti, venivano archiviati il giorno stesso del ritrovamento del cadavere per una sua intuizione geniale. Niente da invidiare a Sherlock Holmes, insomma, neanche dal punto di vista dei vizi umani… come il fumo o la supponenza.
«No. La vera domanda è: come diamine ha fatto il soggetto in questione a riprodurre questo genere di, ecco… bozzolo?! Artisticamente, è notevole. Ci dia un’occhiata anche lei» disse Martin; Dalton si grattò la barbetta incolta perplesso. I suoi occhi chiari e magnetici si concentrarono ancora una volta sul povero malcapitato.
«Nessuna impronta, nessun segno di colluttazione. Neanche una goccia di sangue. Nessun segno di lotta. L’assassino sapeva il fatto suo, come ho già detto. Aspetto il tossicologico per avere un quadro completo della sua morte. Purtroppo, non abbiamo testimoni che possano fornirci qualche pista plausibile.» Aveva il fiato corto. Dalton sentì le rotelle del proprio cervello girare. Detestava ammetterlo, ma le sfide gli piacevano da morire, quasi come una notte di fuoco con una donna, quella che gli era stata bruciata prima di arrivare al momento clou.
«Speriamo soltanto che non abbia intenzione di continuare, anche se ho dei forti dubbi a proposito. Tutte persone intrappolate e appese a testa in giù in una tela di un ragno. Be’, non sarebbe male. Da una parte mi affascina, dall’altra mi schifa» constatò il commissario, che aveva camminato attorno al morto per inquadrare al meglio la scena anche nel proprio immaginario mentale.
«Le telecamere di sicurezza non hanno ripreso nulla. Abbiamo subito chiesto ai dipendenti, ancor prima che ci raggiungesse lei, e ci hanno dato picche. Bel modo di cominciare un caso» aggiunse il medico. Il capo scosse la testa, incredulo. Era però eccitato all’idea di non avere la soluzione servita su un piatto d’argento.
«Come cazzo è possibile che le telecamere di questo posto non abbiano ripreso niente?! Siamo al Madame Tussauds, mi sembrerebbe naturale riuscire a controllare gli spazi nel migliore dei modi. Fossi nel direttore, vorrei tenere d’occhio tutte le statue che ci sono in questo posto, anche perché non sarebbe piacevole ritrovarsi tre Beatles anziché quattro. Oltretutto, nella più probabile delle ipotesi, si porterebbero via John Lennon o Paul McCartney, di certo non Ringo Starr o George Harrison, vengono sottovalutati da tutti» imprecò contrariato il giovane commissario. L’astinenza era innegabile, e non fumava da appena dieci minuti. Si grattò ancora una volta la barbetta. Si morse di nuovo il labbro e alzò l’indice fissando il vuoto. «Ci sono. La vittima conosceva l’aggressore, avevano un appuntamento. L’assassino è arrivato e ha agito indisturbato. Questo è il guardiano notturno, è per questo che le telecamere non hanno ripreso: le ha staccate lui stesso, perché doveva vedersi con qualcuno che non è il benvenuto in questo posto, o che andava fuori dall’ambito lavorativo. Almeno ha potuto osservare un panorama accettabile, e non un cassonetto prima di crepare.» Accese soddisfatto una sigaretta, contro le regole del buon poliziotto. Martin lo guardò in cagnesco.
«Signor Dalton! Sa bene che non dovrebbe farlo!» lo riprese in modo buffo. Stringeva i pugni come i bambini quando non viene dato loro il palloncino che tanto vogliono, o quando lo vedono volare via perché non lo hanno trattato con accortezza. Le guance, diventate rosse, e la sua testa, identica a un pomodoro, parodiavano i medici legali belli e attraenti delle serie televisive. Si arrese, costretto a sorridere per evitare di rompergli il cranio.
«Io sono il capo, io faccio quello che voglio. Voglio fottere il sistema, lo faccio, e nessuno può azzardarsi a contraddirmi.» Dalton chiuse la questione con strafottenza e fece spallucce. Diede un’occhiata all’orologio: erano le quattro e mezza del mattino, e sapeva di avere un appuntamento che non avrebbe potuto rimandare. La sua salute mentale e fisica era importante.
«Cercate qualsiasi cosa che possa essere collegata alla vittima. Ora, se non vi dispiace, me ne devo andare, ho una questione urgente da risolvere. Domattina arriverò presto in ufficio, ne discuteremo meglio. Sono troppo stanco anche per pensare.» Salutò tutti i suoi colleghi con un gesto della mano. Sistemò la sciarpa attorno al collo e si mise il cappello di lana, coprendo le orecchie alla bell’e meglio. Detestava il freddo e, di conseguenza, il clima di Londra. Avrebbe preferito oziare e sorseggiare un mojito a Tenerife, ma il lavoro è lavoro.
«Certo, come no. La “questione urgente da risolvere” di cui parla sappiamo benissimo che è la carissima Sandra Brown. Non lo nasconda più, ormai è noto anche al meno informato che lei ha una relazione stabile con una signora e che lei è stanco per pensare, ma non per folleggiare» gli sussurrò Martin all’orecchio.
Rodrick Dalton non stava facilmente allo scherzo in quei contesti, motivo per cui il bonaccione gli aveva fatto una battuta senza coinvolgere gli altri poliziotti sulla scena. Il commissario fece un anello di fumo, poi chiuse il cappotto e uscì con un guizzo repentino dal museo. Doveva ammettere che quella battuta era divertente, ma non glielo avrebbe mai detto. Come non gli avrebbe mai detto che la sua notte era appena cominciata e che il medico legale aveva ragione.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.