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Prima del Giro

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Quando il mondo si ferma e il senso di “casa” sembra sfuggirle dalle mani, Arianna decide di rispondere a una voce dal passato: quella di Daniele Tatta, il bisnonno che nel 1905 attraversò in bicicletta l’Italia e la Francia fino a Marsiglia. Centosedici anni dopo, la stessa impresa diventa occasione per un viaggio dentro la Storia e dentro se stessa.

Tra strade bianche, incontri sorprendenti e fatiche moderne, “Prima del Giro“ è un memoir ironico e intimo, che racconta come una bicicletta possa unire generazioni, territori e coraggio. Una pedalata che diventa una storia di identità, radici e possibilità.

Premessa

Di quand’ero bambina mi ricordo poco e niente. 

La volta che la mia maestra preferita, Iolanda, disse alla classe che se ne sarebbe andata, e noi tutti giù a piangere disperati, persino i maschi. Le sere passate a leggere a letto con uno dei miei genitori perché c’era in TV qualcosa che io ancora non potevo guardare ma mia sorella sì, e allora per non farmi sentire esclusa uno di loro passava la serata con me. Quando mi sono resa conto che Babbo Natale non esisteva e l’ho detto a mia mamma in una di quelle sere a letto, rassicurandola di non preoccuparsi, che non ci ero rimasta troppo male. La volta che in classe correndo sono scivolata e ho sbattuto il mento, ma non ho voluto dire niente perché mi vergognavo e mi sono messa con la testa sulle ginocchia mezza nascosta tra i cappotti, fino a che mi ha trovato in lacrime la maestra, allertata da un compagnetto.

Sprazzi di ricordi, forse memorie di racconti dove verità accadute si confondono con ricostruzioni governate dalla logica di me adulta. Una cosa, però, mi è rimasta impressa, marchiata a fuoco in qualche sinapsi poco usata e che ogni tanto ritorna in superficie: il giorno in cui ho imparato ad andare in bicicletta.

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Noi di Marassi, quartiere popolare ma non troppo di Genova, andavamo ai giochi alla Piastra, una lastra di cemento che copriva svogliatamente il torrente Bisagno. Dico svogliatamente perché era chiaro che gli architetti e gli ingegneri incaricati del progetto non avevano usato gran senso estetico. Era tutto un grigiore che con lo smog di via Bobbio, appena al di fuori del casello dell’autostrada di Genova Est, si anneriva visibilmente di anno in anno. Eppure era il nostro piccolo territorio, aperto a tutti: dai genitori con marmocchi che scorrazzavano pericolosamente vicino alla strada, ai preadolescenti indemoniati sui pattini, agli adolescenti che crescevano furtivi tra i cespugli a suon di baci umidi e impacciati, agli anziani che mugugnavano sulle panchine lamentandosi del governo, dell’economia, dei giovani e chissà di cos’altro ancora.

C’era sicuramente mio papà quando ho imparato ad andare in bicicletta. Forse per il suo spiccato amore per l’insegnamento, è stato lui il mio supervisore per tutto ciò che riguarda la locomozione – dodici anni dopo saremmo stati nei parcheggi della Piastra a mettere la prima e ingolfare la sua vecchia e pesantissima BMW, responsabile tutt’ora del mio rapporto così sofferto con la guida.

Avevo una biciclettina bianca rigorosamente di seconda o terza mano, e avevo già superato la fase rotelle: ne avevo tolta una e giravo sbilenca ma spavalda con l’altra sul lato destro. C’era anche una bambina che non conoscevo bene, ma che era lì per caso e aveva deciso di fare da spettatrice a questo momento epocale nella vita di una sua coetanea: forse anche lei stava imparando e voleva farsi coraggio, forse aveva già imparato e voleva fare coraggio a me. Stava vicina a mio papà guardando attenta ogni mossa e strillando eccitata ogni volta che facevo un metro senza mettere giù i piedi. Non ho idea di chi fosse e stranamente non ricordo nessun adulto con lei. C’era davvero? O è una proiezione adulta della mia voce interiore che mi diceva che ce l’avrei fatta?

Poco importa. Non so come superai la soglia volatile tra paura e coraggio, mi ricordo solo che a un certo punto stavo pedalando senza nemmeno la singola rotella e non mi ero resa conto che mio padre non mi stava più tenendo la sella, correndomi dietro tutto gobbo. La voce stridula della bambina mi aveva riportato alla realtà: «Ti ha lasciato, sei da sola! Ce l’hai fatta!».

Allora avevo inchiodato e messo giù i piedi, atterrita dalla mia audacia inavvertita. Ma aveva ragione lei, ero da sola e ce l’avevo fatta.

Forse è stato questo il momento in cui inconsciamente ho deciso che nella vita, anche da sola, ce l’avrei fatta. E quindi non mi sembrava una cosa così assurda andarmene di casa a diciott’anni per studiare a Londra, pur sempre aiutata e supportata dalla mia famiglia. E nemmeno lasciare il lavoro a ventisei per andare a fare volontariato in Malawi e viaggiare. E nemmeno tornare verso casa per mettermi a scrivere a ventinove. Sotto sotto, forse sapevo che tentare era già un po’ farcela.

La bicicletta poi me la sono dimenticata per anni, fin quando a Londra ne avevo trovata una mezza scassata di fianco a un cassonetto, avevo cambiato i freni, aggiunto un cestino davanti per la borsa gonfia di libri e mi ero avventurata tra le strade della città. All’inizio la usavo solo per andare in università, un tragitto tutto dritto di nemmeno dieci minuti. Poi avevo cominciato a usarla per andare a lavoro, scendendo terrorizzata quando dovevo attraversare la rotonda di Old Street con le sue tre corsie e i semafori, che in Inghilterra passano dal rosso al giallo al verde e danno la possibilità agli autisti di sgommare a tutta velocità appena il giallo preannuncia la possibilità di ripartenza.

C’erano le volte che mi beccava la pioggia e i capelli sotto il casco si trasformavano in un’inguardabile scodella crespa. Le volte che poi dovevo uscire con gli amici e mi portavo il cambio perché non volevo vestirmi “da bicicletta” quando tutti erano perennemente così giusti e appropriati, almeno ai miei occhi. C’erano le volte in cui avevo bevuto o fumato e tornavo a casa un po’ brilla o allegrotta, usando le stradine secondarie per evitare i maledetti autobus doppi su Seven Sisters Road. E c’è stata la volta di una delle peggiori vergogne della mia vita, quando avevo pedalato per cento metri sul marciapiede vuoto, attraversato la strada e trovato una poliziotta che, guardandomi accigliata, aveva ascoltato le mie patetiche scuse balbettate sul fatto che cercavo il pub dove dovevo raggiungere gli amici per la festa di Halloween, per questo pedalavo sul marciapiede con la faccia coperta di sangue finto e un lenzuolo avvolto al collo che sarebbe diventato il mio costume da fantasma. Devo averla impietosita abbastanza, perché alla fine la multa non me l’aveva fatta.

Poi un giorno era arrivata lei, Deloris. Sempre di seconda mano, passata dalla mia amica-animagemella-coinquilina improvvisa ma tempestiva, Alice. Deloris, come l’aveva chiamata lei, era nera con dettagli rosso fiammante, col manubrio da corsa e non aveva le marce. Amavo odiarla all’inizio perché mi faceva fare una fatica immensa sui finti piani londinesi, ma con lei andavo ovunque, fino in centro, sui canali, nei parchi. Avevo levato il cestino e barattato i libri dell’università con il portatile di lavoro, e nel frattempo era arrivato anche lo smartphone, così avevo smesso di usare le cartine ricopiate a mano su pezzetti di carta o le mappe locali alle fermate dei bus, che a tutto servono fuorché darti un’idea di dove sei.

Finché poco prima di lasciare Londra nel 2017 Deloris era finita preda dei ladri di biciclette dell’East London, che tanto terrore mietono a Hackney e dintorni tra ciclisti più e meno hip, con jeans arrotolato e cappellino di lana striminzito in testa. Con Alice, eravamo andate a cercarla a Brick Lane il giorno dopo, ma senza successo: in una notte l’avevano probabilmente smontata, ridipinta e rivenduto già le parti.

Vuoi perché non avevo più la bici, vuoi per gli anni di viaggio nel frattempo, del piacere di spingere i pedali, del vento che sibila tra il casco e i capelli e del lasciarsi il traffico alle spalle con una smorfia sorniona mi ero dimenticata quasi del tutto. Fino a quando un giorno di luglio 2019, in coma postpranzo siciliano di mia mamma, ho scoperto la storia di Daniele Tatta.

Daniele era nato nel 1878 a Itri, un piccolo paesino di montagna in provincia di Latina. Da bambino la sua famiglia era andata a Roma a cercar fortuna, e lì lui aveva imparato il mestiere del sarto. Daniele amava l’opera, tanto che chiamò le sue tre figlie con nomi presi dalle Valchirie di Wagner e dall’Amleto di Shakespeare: Brunilde, Siglinda e Ofelia. Anche se era un uomo d’altri tempi, non si era mai davvero conformato alle regole, e nel 1905, all’età di ventisette anni, invece di metter su famiglia, aveva deciso di stabilire un primato ciclistico, altra sua grande passione, tra Roma e Marsiglia: andata e ritorno per un totale di duemila chilometri in undici giorni, otto ore e venti minuti.

2025-01-02

Aggiornamento

Prima del Giro sarà pubblicato! Con l'acquisto delle ultime quattro copie durante le feste, siamo riusciti a raggiungere il goal di 200 copie preordinate che garantisce la pubblicazione del mio primo libro... Incredibile! Grazie infinite a tutti coloro che hanno partecipato e soprattutto a chi si è impegnato facendo passaparola. Dal 3 al 9 gennaio sarà inoltre attivo uno sconto del 30% con il codice GIRO30, per chi volesse supportare ancora il progetto e assicurarsi una copia. Grazie di cuore!
2024-12-07

Aggiornamento

A poco più di un mese dalla fine della campagna, abbiamo superato il 90% delle prevendite necessarie alla pubblicazione! Grazie, grazie e ancora grazie!
2024-11-25

Aggiornamento

Appena oltre la soglia di metà campagna, siamo già giunti al 67% delle copie preordinate! Grazie mille del supporto e dell'affetto dimostrato fin qui... Ancora un piccolo sforzo per coronare questo piccolo grande sogno!
2024-11-04

Aggiornamento

La campagna di preordine di Prima del Giro sfiora il mese di durata... E oltrepassa il 50% degli ordini necessari a garantire la pubblicazione! 👏🚴‍♀️🤯🤩🔝 Grazie mille a tutti voi che avete dimostrato il vostro supporto e affetto numerosissimi. Continuiamo a pedalare tutti insieme per realizzare questo piccolo grande sogno insieme 🙏
2024-10-10

Aggiornamento

Sono incredibilmente grata a tutto il supporto già ricevuto nei primi quattro giorni della campagna! Grazie a tutti coloro che hanno già scelto di supportare questo progetto - con il vostro contributo, la campagna ha raggiunto il 23% in meno di una settimana! 🤯🙏

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Un’impresa nata per caso, un diario, una bicicletta… Non vedo l’ora di leggere l’avventura di Arianna! Conoscendola, credo sarà una sorpresa ad ogni pagina.

  2. (proprietario verificato)

    Lo zio Daniele è stato un personaggio mitico nei ricordi famigliari, non solo per la sua impresa ciclistica ma anche come romano di Trastevere che aveva tutta la semplicità e la dignità delle persone di questo popolo che è una città nella città. Arianna, genovese per ragioni anagrafiche ma cittadina del mondo, lo fa scoprire all’umanità curiosa di storie inimitabili (anche se lei ci prova a ricalcarne le tracce sull’asfalto verso Marsiglia!)

  3. (proprietario verificato)

    Conosco Arianna da molto tempo. Ormai è una giovane donna che ha una grande vivacità intellettuale. Quando scrive dei suoi viaggi e delle sue imprese nel sociale ti porta con sé. Sono impaziente di seguire il viaggio del suo bisnonno tramite la lettura di “Prima del Giro”

  4. (proprietario verificato)

    Ho seguito Arianna Meschia sin dai suoi primi allenamenti per affrontare e realizzare il sogno di seguire le orme del bisnonno.
    È stato appassionante vedere come la determinazione e la perseveranza siano state determinanti nella lunga pedalata.
    Sempre col sorriso, mi ha coinvolta emotivamente!
    Ho condiviso (virtualmente) ogni pedalata, ogni tappa, e ora l’idea di leggere tutta la storia nel suo libro rende tutto più emozionante!
    Quindi invito tutti a fare come me… preordinate il libro… fatevi coinvolgere dalla vulcanica Arianna!!!

  5. (proprietario verificato)

    Già una ragazza che s’ispira ad un bisnonno è meritevole di per sé. L’ Arianna Meschia lo fa pedalando da Roma a Marsiglia in solitudine, come fosse una Soldini della bicicletta e porta a compimento l’impresa nonostante fatica e difficoltà. In più con la finalità di poter far avere una bicicletta a ragazze in posti lontani che una bici, non un’auto, o uno scooter, ma una semplice bici non possono proprio permettersela… Ho detto tutto. Acquistate il libro! Subito, pedalate!

  6. (proprietario verificato)

    Seguo il progetto di Arianna da molto tempo e non vedo l’ora di leggere il suo libro per proiettarmi nelle motivazioni e scoprire la determinazione che la spinge a intraprendere iniziative tanto ambiziose. Grande Arianna!!!

  7. (proprietario verificato)

    Una grande giovane donna che merita di vedere la sua bellissima storia pubblicata!!!
    Never give up Ari!! 🦾🦾🦾

  8. (proprietario verificato)

    Ho letto l’anteprima tutto d’un fiato…pre ordine fatto e non vedo l’ora di poter leggere tutta l’avventura completa! Brava e coraggiosa Arianna!

  9. (proprietario verificato)

    Cos’è Prima del Giro? È un viaggio in bici da Roma a Marsiglia? È un progetto concepito durante un lockdown? È un atto di beneficenza a sostegno di 88 Bikes? È un libro sulla piattaforma Bookabook? E, se lo è, di cosa parla di preciso?
    Beh… io non so cosa è… nonostante io sia la sorella dell’autrice 🤪 per questo non vedo l’ora di fare chiarezza grazie alla lettura di questo libro che ho comprato in pre ordine e che spero, grazie al sostegno di tutti voi, di veder presto pubblicato ed esposto nelle librerie d’Italia 💪🏻💪🏻💪🏻

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Arianna Meschia
Avida viaggiatrice, cinefila e ciclista tuttalpiù amatoriale, si laurea a Londra, dove lavora nella produzione di film. Poi, stanca della routine e del freddo, viaggia dal Malawi all’Egitto in moto scrivendo per riviste di viaggio, prima di stabilirsi a Johannesburg, dove concepisce il progetto “Prima del Giro”. Oggi vive e lavora come accompagnatrice turistica alle Azzorre.
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