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Prima del Giro

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Consegna prevista Luglio 2025

E poi arriva il momento (perché arriva sempre e quando meno te lo aspetti) in cui ti sembra davvero di non farcela più. Perché sei al trecentesimo metro di salita e hai il corpo indolenzito da settimane di pedalata e rivoletti di sudore scorrono sulla schiena, in mezzo al reggiseno e sulla faccia, bruciandoti gli occhi. Allora ti ricordi del tuo bisnonno che ha pedalato sulle stesse strade 116 anni prima che lo facessi tu, senza marce o abbigliamento tecnico, e pensi alle ragazze che riceveranno una bici grazie ai donatori che ti stanno seguendo. E alla relazione da cui sei scappata prima che fosse troppo tardi. Allora ti accorgi che l’acqua negli occhi non è più così salata, perché le lacrime hanno diluito il sudore feroce della strada con la dolce consapevolezza che nella vita potrai fare qualsiasi cosa vorrai.

Perché ho scritto questo libro?

Quando ho scoperto la storia del mio bisnonno Daniele, che nel 1905 pedalò da Roma a Marsiglia e ritorno, ho avuto l’impressione di aver trovato finalmente le mie radici. Daniele era un pioniere, che incurante delle convenzioni sociali, fece qualcosa di rivoluzionario. Dopo il 2020, ho sentito l’urgenza di ripercorrere i suoi passi per ritrovare quello slancio vitale, mettendomi io stessa in bicicletta per oltre 1000 chilometri. Questo libro nasce per raccontare e celebrare la nostra storia.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Giorno 2

20 agosto 1905 (Grosseto – Viareggio)

26 agosto 2021 (Civitavecchia – Orbetello) | 102 km, 740 m dislivello

Quando suona la sveglia alle sei penso subito due cose. Uno: non mi fanno male le gambe. Due: è impossibile. La sera prima dopo aver incontrato Bernardo, il gentilissimo couchsurfer che mi ha ospitato e offerto la cena, ho stabilito una serie di rituali che spero mi porteranno fino alla fine senza intoppi.

Arrivata a destinazione, nell’ordine, devo: lavare la maglietta e il pantaloncino usato quel giorno, mettere in carica cuffiette, telefono, GoPro e batteria portatile, fare la doccia, fare una mezz’ora buona di stretching se no l’indomani non mi muovo, guardare le foto e i video della giornata e cancellarne metà, scrivere un post per i social che abbia un vago senso. Mangiare, preferibilmente tanto. Dopo di che posso morire a letto fino alle sei della mattina successiva.

Eppure mi sveglio nella stupefacente casa di Bernardo, piena delle opere d’arte di sua moglie che lui ha conservato con amore, e non vedo l’ora di rimettermi in sella. In cucina Bernardo ha lasciato il quaderno che mi sto portando dietro per farlo firmare a tutti quelli che mi ospiteranno o incontrerò. Ha scritto un bel messaggio che, purtroppo, rimarrà l’unico, perché mi scorderò puntualmente ogni giorno di far firmare il quaderno a tutti gli altri. Insomma, la perfezione non è di questo mondo si dice.

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Dopo la colazione con doppio cornetto all’unico bar di zona aperto, dove desto l’interesse di due poliziotti in servizio, l’uscita da Civitavecchia è tanto facile quanto bella, cioè per niente, a dir la verità. Un susseguirsi di aree industriali, campagna arida e strade fiancheggiate da alti canneti mi portano oltre Tarquinia e, per ingannare il tempo, mi sparo tutto Californication dei RHCP nelle orecchie e decido di sperimentare con la GoPro. Risultato, mi riprendo il petto per qualche minuto prima di aggiustare l’angolazione e passare a una deliziosa inquadratura del mio naso che, come quello di Vitangelo Moscarda, pende leggermente da una parte. Lo vedo nel piccolo schermo della telecamera e mi vengono in mente Pirandello e il mio professore di italiano del liceo, che non sono riuscita ad incontrare prima di partire per questo viaggio, ma con cui sono rimasta in contatto negli anni successivi alla maturità.

Lui è una di quelle persone la cui influenza nella tua vita appare evidente solo anni dopo, quando la loro presenza non è più scontata. Nel corso degli anni mi ha detto tante cose intelligenti che mi hanno fatto molto pensare, ma una me la ricordo perché era stato uno delle poche figure adulte attorno a me ad accogliere con entusiasmo la mia decisione di lasciare il lavoro a Londra e trasferirmi in Malawi per fare volontariato e poi viaggiare. “Ma magari tu sei una persona che ogni quattro o cinque anni ha bisogno di cambiare aria e fare qualcosa di diverso,” mi aveva detto davanti a uno Spritz seduti sulla spiaggia di Boccadasse a Genova. “Magari è per questo che hai preso questa decisione, e in fondo che male c’è?”

E in effetti non c’era niente di male. Anzi, c’era tutto di bene, e andarmene da Londra dopo otto anni di studio e lavoro rimane una delle decisioni migliori che abbia mai preso. E mentre le frasche smettono di danzare nel vento che di colpo sparisce e comincio a sudare nella bonaccia dell’entroterra laziale, mi dico che davvero tutte le decisioni che ho preso finora, grandi e piccole, giuste o sbagliate, mi hanno portato a essere questa persona in questo preciso istante a pedalare su questa statale per inseguire il fantasma di un avo mai conosciuto. O l’ombra di me futura?

Siccome di filosofia alla fine non mi ricordo niente, ci pensa la sfiga a riportarmi saldamente con i piedi per terra, anzi sui pedali, quando mi rendo conto che il navigatore mi ha portato dritto dritto a uno degli imbocchi dell’Aurelia. Guardo i cartelli, la mappa, Komoot e mi rendo conto che non avevo pianificato bene il percorso. Voglio passare da Montalto di Castro, dove anche il bisnonno Daniele si era fermato il primo giorno al municipio per certificare il suo progresso. Ma l’unica opzione per arrivarci è fare circa 700 metri di Aurelia a doppia carreggiata, uscire immediatamente e deviare di 13 chilometri su una strada secondaria fino a Montalto.

In cima alla rampa di accesso all’Aurelia penso che effettivamente stava andando tutto egregiamente, e quindi giustamente ci voleva un buffetto da parte del Karma, perché il mio ego cominciava a crescere in maniera smisurata. Tra il panico di immettersi sull’Aurelia per 700 metri e la grata rassegnazione per la lezione di vita che mi è stata impartita, scelgo la seconda. Stringo i lacci delle borse spasmodicamente intorno al telaio, al reggisella e alle gabbiette sulla ruota frontale, e controllo che non ci sia nulla di sciolto che potrebbe impigliarsi in qualcosa, per esempio in un tir che mi supera a novanta all’ora. Mi stringo il caschetto quasi al soffocamento, spingo gli occhiali sul naso e premo play al mio album preferito dei The Cat Empire, così almeno se muoio adesso muoio ascoltando musica che mi rende felice.

Scendo la rampa lentamente e aspetto un tempo infinito che non arrivi nessuno, mi immetto sulla carreggiata vuota per qualche secondo e pedalo come una forsennata pericolosamente vicino al ciglio della strada che finisce in un canaletto di scolo. Quanto sono lunghi 700 metri quando senti il sibilo delle macchine e il cigolio dei tir che in un attimo si avvicinano, ti affiancano e sono già spariti? Passano in un istante che si estende a dismisura, mentre a denti stretti respiro piccoli singhiozzi d’aria e di smog. Sento il cuore battermi in petto al ritmo della mia pedalata e poi a quello della musica ska che ho scelto per la mia morte imminente e poi ancora più veloce di quanto credessi possibile.

Esco a destra sulla prima stradina sterrata che trovo senza sapere se sia quella giusta, non fosse altro per riprendere fiato, e ringrazio mentalmente la mia Liv Devote Advanced con le sue gomme da gravel che mi permetteranno di navigare anche questi terreni accidentati. Faccio pochi metri per levarmi dall’imbocco della strada e metto giù i piedi che mi sembrano di gelatina, mentre il bruciore dello sprint invade quadricipiti e polpacci e il battito comincia a rallentare. Davanti a me, 13 chilometri di sterrato inaspettato al quale non ero preparata, che mi riportano ancora più vicino a lui, a Daniele, la cui strada fu probabilmente tutta così.

Sono chilometri di saliscendi che sollevano una polvere fine e bianca, così tipica delle strade toscane alle quali mi sto avvicinando, mentre miracolosamente il navigatore mi rassicura di essere sulla retta via. All’arrivo a Montalto come minimo mi aspetto una placca e un nastro tricolore fuori dal Municipio. Ma sono le dieci e mezza di mattina di giovedì 26 agosto e il Municipio di Montalto di Castro, naturalmente, è chiuso. Perché si sa che in Italia, arrivati al trentuno luglio, se ne riparla a settembre.

Mi rifugio al Wine Bar Garibaldi, non per farmi un goccetto (anche se la tentazione c’è) ma perché è la prima cosa aperta che trovo. Con lo spiccato accento laziale che è già un po’ toscano, tre signori cominciano la serie di domande alle quali avrei risposto più volte nelle successive settimane.

Da dove vieni?

Dove vai?

A Marsiglia?

Ma da sola?

Ma perché?

Ma non ci credo!

E via così con accompagnamento di spremuta d’arancia e pizzetta offerta perché in fondo il Karma ci vede benissimo, sia nel male che nel bene. Uno di loro mi segue immediatamente su Facebook e metterà mi piace a ogni singolo post che farò nelle settimane successive, facendomi sorridere pensando al rapporto tra la tecnologia e la grande maggioranza degli over sessanta.

Senza tappeto rosso e con al massimo la foto della bici davanti al Municipio dove anche il mio bisnonno si era fermato, riparto inconsapevole di quello che mi aspetta. Gli aggiuntivi 40 km di deviazione che devo fare per evitare i 10 chilometri di Aurelia tra Montalto di Castro e Quattro Strade, la ridente frazione di Orbetello dove ho prenotato un alloggio per la notte, sono per metà buoni su strade bianche. Dopo il mio personale Everest di 110 metri raggiungo Vulci, dove secondo Komoot dovrei prendere un bivio per Pescia Fiorentina, proseguire per Capalbio e ricongiungermi alla SR74 in località Polverosa – un nome, un programma.

All’imbocco del bivio manca solo la scritta “Lasciate ogni speranza o voi che entrate” per presentarsi in tutto e per tutto come la bocca dell’inferno. Si è fatto mezzogiorno di giovedì 26 agosto e io sono in bicicletta nella più arida campagna toscana, quella terra di nessuno a metà tra il mare e le vere colline verdeggianti di cipressi e vigneti, dove i sogni vanno a morire. Nella fattispecie, il mio sogno di arrivare a Marsiglia in bicicletta.

Controllo di avere abbastanza acqua e poi, di nuovo, vado avanti. Comincio a capire che il ciclismo fondamentalmente si basa sulla caparbietà di chinare il capo, tacere, sudare e continuare a pedalare, perché se ti fermi e pensi a quello che stai facendo, alla fine non ci arriverai mai. Penso che il mio bisnonno aveva una bici che probabilmente pesava la metà di me, senza marce, senza pantaloncino tecnico imbottito, luci, casco e accessori vari. Senza musica. Senza mappe. Senza macchine e passanti che giravano la testa. Era solo lui, ventisettenne sarto di Itri adottato da Roma, che aveva deciso di inforcare la bici e fare una cosa inaudita per l’epoca. E ora ci sono io, ventinovenne di Genova adottata dal mondo, che non faccio proprio una cosa inaudita, ma un po’ particolare per lo meno sì.

Allora spingo. Su e giù per le eroiche strade bianche, lungo i campi arati, le balle di fieno fresche di mietitura e i resti di una macchia mediterranea che si aggrappa cocciutamente al verde della vita sotto al sole cocente di fine estate. Schivo le buche, rallento sui sassi, stringo forte il manubrio, le dita pronte sui freni quando affronto le discese. Guardo i girasoli rinsecchiti attorno a un casolare in pietra abbandonato, sovrastato da nubi grigie che promettono pioggia. Nelle orecchie, Brandon Flowers mi dice “Baby you’re not ready slow down”, e in effetti ha ragione. Cambio marcia veloce per uno strappo improvviso in salita ma non è abbastanza. Rallento, scendo, spingo la bici a mano e mi accorgo che, nonostante tutto, non mi sento sconfitta.

Una moderna Kerouac della bicicletta, mi rimetto in marcia coperta di polvere grigia della strada impastata al sudore dopo la sosta panino col prosciutto, un litro d’acqua, tè al limone, caffè e crostata. Comincio a capire cosa siano le salite quando raggiungo Capalbio, appena 200 metri sul livello del mare che a me sembrano un nostrano K2, e che si trasforma in una sfilza di insulti in molteplici lingue che registro inavvertitamente con la GoPro.

“Granbellaideadimmerda” la fa da sovrano però, e continua a dominare quando sbocco sulla SR74, che in teoria dovrebbe essere meglio dell’Aurelia, ma in pratica è più stretta, le macchine fanno i 100 chilometri orari lo stesso e mi interfaccio anche con i trattori e i falciatori che smontano dalla giornata nei campi, perché nel frattempo si sono fatte le quattro di pomeriggio. A fine giornata sono stata in sella nove ore e ne ho pedalate sei, e mentre aspetto il proprietario dell’alloggio che non arriva, con bici, borse e me stessa coperte di polvere, mi guardo lo sporco sotto le unghie e intravedo la linea dell’abbronzatura a mezzo dito dei guantini, dopo solo due giorni.

Ho superato lo scoglio dei 100 chilometri giornalieri e fatto 780 metri di dislivello totale. Sarà lunga, ma ce la posso fare.

Forse.

2024-10-10

Aggiornamento

Sono incredibilmente grata a tutto il supporto già ricevuto nei primi quattro giorni della campagna! Grazie a tutti coloro che hanno già scelto di supportare questo progetto - con il vostro contributo, la campagna ha raggiunto il 23% in meno di una settimana! 🤯🙏

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Lo zio Daniele è stato un personaggio mitico nei ricordi famigliari, non solo per la sua impresa ciclistica ma anche come romano di Trastevere che aveva tutta la semplicità e la dignità delle persone di questo popolo che è una città nella città. Arianna, genovese per ragioni anagrafiche ma cittadina del mondo, lo fa scoprire all’umanità curiosa di storie inimitabili (anche se lei ci prova a ricalcarne le tracce sull’asfalto verso Marsiglia!)

  2. (proprietario verificato)

    Conosco Arianna da molto tempo. Ormai è una giovane donna che ha una grande vivacità intellettuale. Quando scrive dei suoi viaggi e delle sue imprese nel sociale ti porta con sé. Sono impaziente di seguire il viaggio del suo bisnonno tramite la lettura di “Prima del Giro”

  3. (proprietario verificato)

    Ho seguito Arianna Meschia sin dai suoi primi allenamenti per affrontare e realizzare il sogno di seguire le orme del bisnonno.
    È stato appassionante vedere come la determinazione e la perseveranza siano state determinanti nella lunga pedalata.
    Sempre col sorriso, mi ha coinvolta emotivamente!
    Ho condiviso (virtualmente) ogni pedalata, ogni tappa, e ora l’idea di leggere tutta la storia nel suo libro rende tutto più emozionante!
    Quindi invito tutti a fare come me… preordinate il libro… fatevi coinvolgere dalla vulcanica Arianna!!!

  4. (proprietario verificato)

    Già una ragazza che s’ispira ad un bisnonno è meritevole di per sé. L’ Arianna Meschia lo fa pedalando da Roma a Marsiglia in solitudine, come fosse una Soldini della bicicletta e porta a compimento l’impresa nonostante fatica e difficoltà. In più con la finalità di poter far avere una bicicletta a ragazze in posti lontani che una bici, non un’auto, o uno scooter, ma una semplice bici non possono proprio permettersela… Ho detto tutto. Acquistate il libro! Subito, pedalate!

  5. (proprietario verificato)

    Seguo il progetto di Arianna da molto tempo e non vedo l’ora di leggere il suo libro per proiettarmi nelle motivazioni e scoprire la determinazione che la spinge a intraprendere iniziative tanto ambiziose. Grande Arianna!!!

  6. (proprietario verificato)

    Una grande giovane donna che merita di vedere la sua bellissima storia pubblicata!!!
    Never give up Ari!! 🦾🦾🦾

  7. (proprietario verificato)

    Ho letto l’anteprima tutto d’un fiato…pre ordine fatto e non vedo l’ora di poter leggere tutta l’avventura completa! Brava e coraggiosa Arianna!

  8. (proprietario verificato)

    Cos’è Prima del Giro? È un viaggio in bici da Roma a Marsiglia? È un progetto concepito durante un lockdown? È un atto di beneficenza a sostegno di 88 Bikes? È un libro sulla piattaforma Bookabook? E, se lo è, di cosa parla di preciso?
    Beh… io non so cosa è… nonostante io sia la sorella dell’autrice 🤪 per questo non vedo l’ora di fare chiarezza grazie alla lettura di questo libro che ho comprato in pre ordine e che spero, grazie al sostegno di tutti voi, di veder presto pubblicato ed esposto nelle librerie d’Italia 💪🏻💪🏻💪🏻

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Arianna Meschia
Avida viaggiatrice, produttrice di film, scrittrice e ciclista tuttalpiù amatoriale, Arianna lascia la natia Genova a diciott'anni per studiare Film & Scrittura Creativa a Londra, dove lavora nell'ambito della produzione cinematografica per cinque anni.

Stufa della routine e del freddo, si trasferisce in Malawi per un anno, e poi viaggia fino in Egitto in motocicletta raccontando le proprie avventure sul suo blog e collaborando con riviste di viaggio, prima di stabilirsi a Johannesburg, dove rimane bloccata nel 2020. Lí, concepisce il progetto Prima del Giro, un cicloviaggio sulle orme del suo bisnonno, per riscoprire radici sopite in anni di vagabondaggi e raccogliere fondi per donare bici a donne e ragazze in paesi in via di sviluppo.

Oggi vive alle Azzorre dove lavora nel turismo, continuando a pedalare per piacere e beneficienza e a viaggiare fuori stagione.
Arianna Meschia on FacebookArianna Meschia on InstagramArianna Meschia on Wordpress
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