Capitolo 1
Little Italy, New York, 1973
La parola “notte” deriva dal sanscrito “nac”, che vuol dire “tempo nel quale sparisce la luce”.
E quella notte la luce era davvero un barlume lontano, irraggiungibile.
Esiste un orario, un momento, un minuto della notte in cui il cielo si fa più scuro, raggiunge la sfumatura più simile al nero, diventa una coperta di angosciosa pece fredda. Perché sì, è anche il punto in cui le temperature sono più basse e il silenzio si fa più assordante. La città dorme – o finge di dormire – e tutto è così tetro e soffocante che diventa quasi esaltante, eccitante.
O, almeno, per lui era così.
L’istante più buio, più freddo e più silenzioso della notte era il suo preferito, quello che gli faceva rizzare i peli sulle braccia e lo spronava a uscire di casa per svolgere il proprio lavoro. Era come se fosse l’unico essere vivente a respirare quell’aria scura, il re della città. E lui, effettivamente, il re lo era davvero. Apparteneva a New York e New York apparteneva a lui, era una relazione reciproca che favoriva entrambi. E a lui piaceva, piaceva davvero tanto.
New York, la Grande Mela, città piena di emozionanti attrazioni, osannata da poeti, scrittori e cantanti, la metropoli che fece parlare Fitzgerald di “iridescenza dell’inizio del mondo”, quella che chiunque avrebbe dovuto vedere almeno una volta nella vita, quella notte giaceva nel suo solito torpore. Un torpore rumoroso, comunque, perché, come disse Sinatra, era pur sempre la città che non dorme mai. Il silenzio era, e sarebbe sempre rimasto, un interrogativo sconosciuto per New York. Le sirene della polizia si fondevano col ticchettio della pioggia e le auto infernali stridevano sull’asfalto.
New York la notte se la godeva.
Chi erano quei poveri imbecilli che si sarebbero persi la possibilità di vivere New York di notte rimanendo stanchi nella loro casa, nel comodo letto della loro banale e tiepida camera, magari abbracciati alla moglie o a una fidanzata qualsiasi, annoiati dalla loro stessa vita?
Lui no, lui di certo non era così. Nella sua esistenza niente era mai stato noioso o tanto meno banale, e quella notte non avrebbe di certo fatto eccezione, perché lui, lui di notte viveva e non aveva di certo tempo da perdere.
E poi lo avevano appena fottuto.
Quando spense il motore della Cadillac Eldorado decappottabile – anche se per l’occasione si era deciso a chiudere la capote, visto come stava piovendo –, piombò proprio in quel suo momento preferito della notte. La strada era sgombra, le sirene giungevano lontane e l’unico rumore era quello delle gocce di pioggia sul parabrezza.
Sospirò. Si passò la mano destra tra i capelli umidicci e gli anelli lucidi si incastrarono in qualche ciocca scura. Prese il cappello nero dal sedile del passeggero, la Magnum dal cruscotto e aprì la portiera.
Il vento gli sferzò il volto e agitò il lembo della giacca che ancora non aveva chiuso.
Attraversò in pochi passi la strada e in meno di un secondo fu di fronte alla casa di Thomas Morelli.
Il caro buon vecchio Tom.
Ilaria Bulgarelli (proprietario verificato)
Libro che ho amato sin dalle prime righe, personaggi intriganti, misteriosi e una storia che ti prende e non ti lascia più!
Lo stile narrativo acuto, scorrevole e “ricco” ti accompagna in una lettura che ti trasporta e incolla fino all’ultima riga
Cecilia Vittorietti (proprietario verificato)
Miles è capace di uccidere ma anche di preoccuparsi per un amico. Conosce il potere ma anche la fragilità. L’autrice fa entrare il lettore nella storia di Miles in punta di piedi per poi coinvolgerlo nel ritmo appassionato delle sue vicende. Le preziose descrizioni della città di New York, di alcuni scorci e dei suoi locali fanno vivere al lettore la profonda suggestione della City that never Sleeps.