E infatti Sandro sopravvisse a quell’inverno gelido e tremendo.
Sopravvisse alla fame di sua madre e di suo padre, in quella casa poverissima, insieme al suo gemello Giovanni e ai suoi fratelli e sorelle più grandi: Antonio, Antonia, Isabella, Francesca, Bruno e Lorenzo.
Cagionevole di salute lo fu sempre, ma riuscì a cavarsela.
Per esempio Giovanni lo salvò da annegamento certo, un pomeriggio d’estate durante i giochi al fiume insieme a tanti altri bambini.
E ancora, il gemello lo salvò da svariati tentativi di pestaggio.
Essendo debole e gracile, era stato un bersaglio facile da subito.
Era cresciuto a fatica: alto il giusto, ma magro all’inverosimile, con un corpo così indefinito che a volte, da lontano, lo si poteva prendere per una femmina.
Una femmina già.
Ancora adesso che aveva cinquant’anni, non si capiva mica se gli piacevano le donne.
C’erano dicerie in paese.
C’erano leggende.
Di lui che al militare era stato sorpreso con un giovane dietro ad un fienile abbandonato.
O in compagnia di uomini più grandi che gli regalavano vestiti, e bevute nei caffè di città e sigarette.
I suoi genitori però non gli avevano mai chiesto.
Quelle due anime pure erano morte dopo una vita passata a lavorare la terra e a badare agli animali nel timore di Dio, senza mai fare troppe domande.
Una vita di sofferenza spesa nell’amore.
Senza aspettarsi niente in cambio se non la vita stessa, per quello che era.
Che persone!
Che eroi!
Giovanni teneva una foto dei suoi genitori in mezzo a due giganti: Enrico Berlinguer e Leone Ginzburg.
Erano là, appesi sulla parete principale della Casa del Popolo.
E ne andava fiero.
Lui era quello che si dice l’opposto di Sandro: forte, ruvido come la carta vetrata, feroce all’occorrenza.
A cinquant’anni suonati aveva fatto cento lavori diversi. Aveva viaggiato in lungo e in largo, così, senza nulla: prendendo treni, dormendo in ripari di fortuna, lavorando a giornata in cambio di un pasto caldo e una doccia.
Aveva consumato scarpe a camminare su sentieri di montagna, battuti da pellegrini, eremiti, banditi.
Aveva conosciuto molte donne.
Perché che a lui le donne piacessero alla follia, lo sapevano tutti.
Poi era tornato: qualcuno l’aveva scambiato per un santone. O per Karl Marx, tanta era la barba che aveva rimediato.
Era andato nella sede del partito comunista e aveva chiesto di rilevare il bar della Casa del Popolo, che ormai lì non ci andava più nessuno ed era arrivato invece il momento che la gente ci tornasse.
Era così che aveva detto.
E quelli che avevano potere, non avevano fatto altro che dargli ragione.
Giovanni era uno che parlava poco, ma quando apriva la bocca, era come se la terra crepasse e venisse fuori qualcosa. A volte si trattava di un bel fiore, a volte poteva essere un sasso grosso come un pugno, altre una musica bellissima.
Non importava: finiva sempre che di lui ti dovevi fidare.
E allora si mise a lavorare e il bar della Casa del Popolo tornò a risplendere.
Appese le tre foto dopo averle strette al petto e lucidò per bene il bancone.
A volte qualche gruppo di paese veniva a suonare e si tenevano riunioni di partito.
C’erano serate di poesia e teatro.
E la Casa del Popolo ricominciò a splendere.
Per quanto riguardava il bar, da lui le cose funzionavano a dovere: avevi la tessera? Entravi.
Non ce l’avevi?
Fuori.
Non c’erano eccezioni.
Non c’erano vie di mezzo.
E alcuni amici se la presero.
Amici che votavano PD e che avevano anche provato a spiegare e argomentare le proprie scelte.
Alla Casa del Popolo potevano andare per una partita a carte, o a biliardo. Potevano assistere agli eventi.
Ma consumare no.
Mi spiace.
Se c’è una regola, bisogna che io la faccia rispettare.
Lo diceva a bassa voce, non per paura, ma semplicemente perché per lui era come se al posto del diaframma, parlasse direttamente il suo animo.
E anche con le donne, non cedeva.
Fuori dalla Casa del Popolo tutto era concesso, ma dentro, dentro no.
Con la famiglia i rapporti erano al minimo sindacale. Ognuno aveva la sua vita e fra fratelli e sorelle non ci si vedeva quasi mai.
Giovanni un po’ ne soffriva.
Non che avesse nostalgia della sua vita passata, perché aveva avuto fame e freddo nella sua casa d’infanzia. E perché la vita in tanti è tutta un compromesso, si sa.
Però c’era sempre confusione e nessuno era solo.
Poi c’era Sandro.
Chissà dov’era.
Chissà cosa faceva.
Non telefonava mai. Non scriveva.
E in paese non scendeva più.
(…)
Estratto da “La casa del popolo”
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.