A Padova ci sono trenta gradi, seppur percepiti più o meno il doppio. La classica sensazione collosa, insomma. Prendo il PC, lo appoggio alle gambe. Al solo tatto inizio a grondare. Piccola postilla: sono libero da qualsiasi indumento, con il condizionatore acceso e il ventilatore sparato addosso. Appurato il mio astio, dunque, verso qualsiasi oggetto o essere vivente che mi possa toccare, appoggio il PC sul letto. Per osmosi penso che pure il computer ora non voglia più essere toccato dal lenzuolo.
Inizio a scrivere un racconto, prendendo spunto da un viaggio che ho compiuto un anno fa sulla Costa dei Trabocchi. Per poter essere il più realistico ed esaustivo possibile nelle informazioni, e per trovare dettagli utili sull’alloggio, spulcio dentro l’app Airbnb. Cerco i giorni trascorsi sulla costa abruzzese, il luogo preciso dove ho soggiornato, il nome dei proprietari e così via. Insomma, faccio ricerca.
Aprire nuovamente l’app è stato un tuffo al cuore. Quante emozioni con Airbnb. Grazie a quest’app, ho vissuto i migliori viaggi in solitaria, gli incontri più bizzarri e le più assurde situazioni. Come quella volta al Bar7, un lounge bar sotterraneo nel cuore di Copenaghen, dove da uno shot di sambuca al bancone mi sono ritrovato a improvvisare balli e karaoke con il proprietario e la moglie, in una sala non accessibile ai clienti. Ricordo il primo shottino, i loro volti divertiti mentre ballavamo in cerchio. Poi il vuoto. Non è certo, ma ipotizzo che in mezzo ci siano stati diversi altri drink.
Oppure quella volta a Ibiza. La magica Ibiza. Sono arrivato all’ostello alle 22.35 con il cuscino già in mano e una vagonata di turpiloqui in bocca alla vista della serranda abbassata. Solo alle sette della mattina successiva, e dopo svariati eventi bizzarri, ho scoperto che avevo un codice per le chiavi scritto nel footer di un’e-mail pubblicitaria di Booking. Eventi bizzarri: un signore, poco dopo il mio arrivo, ha aperto la serranda dell’ostello. Oh! Finalmente il receptionist, ho pensato. E invece no, era un cliente (non parlava inglese e io non capivo il suo spagnolo stretto). Poi, alcune ragazze ospiti dell’ostello mi hanno preso per il Jeffrey Dahmer padano e si sono rinchiuse in appartamento, ho fatto serata con un colombiano e uno spagnolo strafatti di acidi che mi hanno presentato ai loro amici, glorificandomi con “He’s italian!” e una trentina di persone in coro che urlavano “Viva Italia!”. Tutto ciò in un parcheggio dove (presumo anche qui, però ero sobrio a ’sto giro) sembrava stessero preparando gare clandestine stile Fast and Furious. Quante emozioni con Airbnb. Se ve lo state chiedendo, no: l’azienda statunitense non mi dà un euro per questa promozione.
Le immagini di Casa Maddestra rispecchiano perfettamente la memoria fotografica che ho conservato. Ogni particolare della casa è ben impresso nella mia mente. Sono curioso di buttare un occhio sulle recensioni, per vedere se le sensazioni degli altri ospiti combacino con le mie. Ed effettivamente è così, per oltre trenta commenti ovviamente più che positivi: “La casa è pulita”, “I proprietari sono accoglienti”, “È comoda, ci si sente a casa”, “È spaziosa” e così via. Solo uno va controcorrente: “Non ci sono tante stoviglie”.
L’appartamento, è specificato, ospita un massimo di otto persone. Non ho contato, una per una, tutte le stoviglie durante la mia permanenza, dunque non mi esprimo circa la veridicità di quanto contestato. Può essere che fossero contate. Non lo confermo e non lo nego. Ma il focus è un altro. Con tutta la premura che queste due anime pie ci hanno riservato – perché sono sicuro che, come a me, hanno riservato la miglior ospitalità del globo terracqueo pure a te, caro hater –, davvero sprechi tempo prezioso e connessione Internet per produrre una critica distruttiva circa una presunta mancanza di stoviglie? Può essere, se sei Csaba sotto mentite spoglie. Sennò, come si suol dire dalle mie parti: “Fa un ben: tasi”.
È da un po’ che non apro Airbnb. Lo capisco soprattutto dal fatto che tra le chat c’è un messaggio non visualizzato. È proprio di Francesco, il proprietario della bifamiliare a Severini II, ossia il mio alloggio nei pressi della Costa dei Trabocchi. Il messaggio è delle 11.48 del 30 giugno 2023. Deduco che, quel giorno, ero già partito. Francesco si scusa per non essere riuscito a salutarmi e a consegnarmi la vaschetta delle polpette che ho portato come ringraziamento per l’ospitalità. Gli rispondo senza pretese, ma con il sorriso, al dolce ricordo della loro genuina cordialità.
Lo rassicuro, con una certa ironia, di non preoccuparsi: l’avrei usato come pretesto per venirli a salutare. Tra me e loro ci separano più di cinquecento chilometri, lui lo sa bene, ma un fondo di verità c’è nella mia risposta: in una lista tra le migliori persone che mi hanno ospitato, a memoria d’uomo, loro sicuramente entrano nel podio. Non mi sono mai sentito estraneo, e non solo nei rapporti interpersonali, ma proprio in casa. Della bifamiliare mi hanno lasciato un intero piano, fornito di qualsiasi necessità e senza la minima presenza estranea. Non ho visto né sentito la famiglia se non quando ho deciso io di approcciarmi a loro. Se non avessi conosciuto più di qualche angolo di mondo, direi che il problema è che sono veneto.
Francesco mi risponde quasi subito.
Ciao, quando vuoi a disposizione.
Ciao. Quando vuoi. A disposizione.
È come se per Francesco, quest’ultimo anno, si fosse compresso in un wormhole. Avrebbe senso se avessi scritto il messaggio qualche luna dopo la mia partenza, invece è passato più di un anno.
Un anno è un’infinità di tempo. In particolare, per la mia personale percezione, quello appena trascorso: ho cambiato casa, ho trovato un nuovo lavoro, ho fatto nuove amicizie. Ma anche se non fosse successo nulla di tutto ciò, e fosse stato un anno vuoto, privo di qualsivoglia esperienza, a essere pignoli si tratta comunque di più di dodici mesi, quasi quattrocento giorni, più di novemila ore e oltre cinquecentoquarantamila minuti.
Eppure, mi risponde “Ciao, quando vuoi a disposizione”.
Disposizione di cosa? Per la vaschetta? Dopo un anno, e mezza Italia a dividerci, anche chissenefrega. Secondo me, per quello che ho potuto constatare tra le pieghe della gentilezza della loro famiglia, è un modo per essere presenti, senza troppe riverenze virtuali. Lui c’è: non si chiede quanto tempo è passato o se è strano che io gli abbia risposto dopo un anno.
Senza contare il fatto veramente più bizzarro: quella vaschetta c’è ancora e sa esattamente dove si trova.
A parti invertite, cioè se avessi io accolto loro e si fossero dimenticati un qualsiasi oggetto, per prima cosa anch’io li avrei sicuramente contattati per comunicarglielo. Ma, in assenza di una risposta, l’avrei già perso, o buttato, in men che non si dica. A questo punto, non mi sorprenderei se la vaschetta fosse ancora lì sul tavolo, dove ho mangiato quei deliziosi cookies al cioccolato fatti in casa con Anita e mamma Rita prima di caricare le valigie.
Per loro il tempo è diverso. Ed è il risultato di quello che ho scoperto lì, in quella gemma rivestita di polvere e ulivi, incastonata tra la Majella e l’Adriatico, dove Dio ha deciso di preservare il tempo presente dall’ineluttabile avanzare della Storia.
Alessandra Carraro (proprietario verificato)
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Enrico Oriella (proprietario verificato)
Come la sabbia ti entra dappertutto ma, a differenza, non dà fastidio, non devi spogliarti. Entra e rimane con te VaEnrico
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