Il signor García è un uomo dalla pelle olivastra e il flamenco nel sangue. Quando Lola mi presenta, lui allunga le braccia in avanti e mi stritola in quello che vuole essere un abbraccio caloroso.
Quando mi lascia andare si rivolge direttamente a Lola che, appoggiata al bancone, fruga nella borsa: «Come stanno i tuoi, Lola?».
«Eh? Oh… Alla grande signor García!» indaffarata, scarta una gomma alla cannella e si fa auto-canestro in bocca, dimenandosi esultante in una sorta di ballo della vittoria.
Questo pomeriggio il locale non è esageratamente affollato e, verso il tardi, la clientela inizia a scemare.
Fra una mancia e l’altra Lola viene a sedersi al mio tavolino, nell’angolo in fondo.
«Questo posto è perfetto: nessuno ti importuna ed è abbastanza buio, perciò tu vedi loro, ma loro, dopo la terza birra, non vedono più te» ripete puntando il dito verso un gruppo di uomini di mezza età abbastanza sbronzi da potersi squadrare le scarpe per ore.
«Vado un attimo in bagno» la avviso.
«Ok, prima porta a destra, ma tanto lo sai già. Ci sarai andata almeno dieci volte da quando siamo qui!»
«Ehi!»
Per tutta risposta, lei continua a ridacchiare alle mie spalle.
Il bagno ha una scarsa illuminazione e, di certo, i pannelli scuri non sono stati la mossa vincente.
Mi sciacquo i polsi sotto il getto di acqua fredda e mi pizzico le guance, pentendomi di essere uscita di casa senza nemmeno un filo di blush o del correttore.
Lancio un’ultima occhiata allo specchio: cavolo, la mia carnagione è davvero chiara. Lola, invece, ha la pelle ambrata ma, dopotutto, non c’è che da aspettarselo. É come un milkshake crema e cioccolato: padre inglese e madre dominicana.
Quando torno al tavolo la ritrovo lì seduta, con le gambe incrociate a piegarsi in due dalle risate con alcuni ragazzi. Non appena Lola mi vede, un po’ titubante si alza di tutta fretta e mi viene incontro. Mi si piazza dietro la schiena, mi appoggia le mani sui fianchi e, spingendomi in avanti, mi introduce ai suoi amici: «Lei è Zoe».
«Ciao, sono Mitch» mi saluta un ragazzo dai capelli verdi e la pettinatura stravagante. Porta un piercing al sopracciglio e abbonda di tatuaggi.
«Ehi, piacere. Nate»
Nate è un biondino dagli occhi limpidi quanto il mare ghiacciato dell’Alaska. Indossa una camicia bianca sbottonata sul petto e una felpa grigia.
Il terzo ragazzo opta per un secco «Jake», ma lo addolcisce subito con l’accenno di un sorriso. È un tipo particolare e i suoi occhi neri lo rendono ancora più indecifrabile.
«Allora… Come vi conoscete?»
Inizia il terzo grado, penso.
Lola prende a raccontare il nostro incontro, o meglio “scontro”; dipende dal punto di vista. Dopodiché, gli altri iniziano a parlare dei fatti propri, includendomi nella conversazione come se ci conoscessimo da tempo.
Nate prova a razzolare qualche spunto dai gossip di sua sorella e dalle voci che girano su alcuni suoi amici ma, come un disco rotto, continua a tirar fuori la rissa di un certo Ian a casa di Jake.
«E, poi, quello si è girato e gli ha tirato un cazzotto e…»
«Sta’ zitto Nate. Non è andata così» protesta Jake, contrariato.
Mitch si lascia sfuggire un gemito dalle labbra e subito un ghigno divertito gli fa capolino sul viso: «Amico, eri ubriaco marcio! È tanto se ricordavi il tuo nome».
«Voi due non eravate da meno!»
«Effettivamente…» Mitch sferra una gomitata amichevole a Jake, che ricambia con più foga.
«Per non parlare di Lola…» aggiunge Nate, scoccandole un’occhiata.
«Ehi, non è vero!» sussulta lei, con voce stridula.
Si leva un boato di disapprovazione generale e Lola è obbligata a confessare: «Ok, ok… Forse ho bevuto qualche bicchiere di troppo ma, ehi, chi siete voi per giudicare?».
Nate la spintona leggermente e poi riprende: «Comunque, stavo dicendo che…».
Si blocca.
Tutti seguiamo con lo sguardo il punto in cui si è imbambolato: un ragazzo è appena entrato nel locale, lasciando sbattere la porta dietro di lui. Un po’ mi intimidisce da quanto è alto.
Ha i capelli bruni e le labbra serrate, a forma di cuore.
Ora sta puntando dritto verso di noi.
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