Erano passate da poco le due. I rintocchi pieni e gravi del campanile della Basilica di Santa Maria della Salute le avevano ricordato perché si trovava su quel traghetto e cosa stava andando a fare. L’attracco all’imbarcadero era prossimo, lei sarebbe scesa e fuggita agli sguardi appiccicosi dei viaggiatori curiosi. Alessandra era perennemente avvolta da sguardi che da molti anni aveva imparato a ignorare, ma quel giorno si sentiva infastidita.
Il suo viso dai tratti marcati e i lunghi capelli neri, i suoi occhi verde violaceo, un colore raro come il suo fascino conturbante, il passo lungo, ma elegante, e le movenze sinuose, lasciavano tutti attoniti.
Scesa, cercò un posto da cui poter ammirare l’imponente Basilica. Intorno a lei la piazza era gremita di turisti di varie nazionalità con ombrelli colorati e bandierine da seguire e a cui affidarsi.
Ma le poche panchine, che fino alla settimana precedente, erano lì ad aspettarla, ora non c’erano più. Il Comune aveva deciso di ammodernare la piazza, così che le vecchie sedute erano state smantellate in attesa dei nuovi arrivi, più moderni, forse più comodi, ma certamente privi di quella vita vissuta da milioni di incontri, di baci, di litigi, di accordi…
Alessandra decise, quindi, di sedersi sulla scalinata, cercando un po’ di ombra, anche se l’idea non le piaceva affatto. Aveva sempre creduto che usare opere d’arte per uno scopo diverso da quello per cui erano state create era una cosa poco dignitosa.
A malincuore, visti caldo e stanchezza, decise comunque di farlo.
Lo sguardo si perse tra la il luccichio dell’acqua lagunare e la bellezza della chiesa che le dava riparo, e in quelle strane fotografie della mente che da reali si sfocano lentamente, facevano capolino ricordi di tempi passati.
Amori e delusioni, illusioni e certezze, pregiudizi e nuovi capisaldi, che si erano susseguiti nella sua vita, ora sembravano aver trovato un ordine, una pace.
Tra le centinaia di persone in fila per entrare nella Basilica, un uomo vestito con una tunica scura a metà coscia, stretta in vita da una cinta di pelle marrone, aveva colpito il suo interesse. Alto, regale e fiero come un cavaliere, una barba bionda con un marcato bianco centrale e uno sguardo triste, che le sembrò famigliare.
Forse quell’uomo aveva passato come lei momenti migliori e forse stava, come lei, solamente cercando un riparo dalle tante avversità del mondo. Lo accompagnò con gli occhi, a distanza, lungo la processione lenta di turisti e credenti, che incedeva sotto il sole, fino a quando lo sguardo dei due si incrociò.
Fu un attimo breve, fugace, ma la fece trasalire.
Le sembrò per un istante di averlo già conosciuto, di comprendere i suoi segreti, di averlo vissuto in un passato comune, che li aveva visti molto legati.
Si chiese dove lo avesse incontrato, in quale delle sue vite lontane, quell’uomo avesse occupato un posto così importante da ricordarlo a distanza di anni o di secoli, e in modo così intenso.
Persa nel vuoto di quei pensieri confusi, alla ricerca di dettagli, segnali, elementi che la riportassero a lui, Alessandra non si accorse che l’uomo si era avvicinato a lei.
Se lo ritrovava ora a pochi passi: gli occhi non dovevano più cercare tra i passanti, erano lì, tuffati gli uni negli altri, a sfiorarsi.
Le sembrò addirittura che le foglie sul selciato iniziassero a fremere della loro stessa energia, fino a quando vide una bacchetta spuntare da sotto il mantello.
Ma se, normalmente, Alessandra avrebbe cercato istintivamente la sua per difendersi, il frastuono che sentiva dentro la lasciò senza forze e inebetita.
Fu lui che pronunciò la formula “Immobilis!”, indirizzandole al viso la punta dello strumento magico.
In un istante, tutto ciò che li circondava, persone, imbarcazioni, l’acqua stessa del canale, l’aria densa di profumi estivi e gonfia di umidità, si fermarono.
Solamente Alessandra e quell’uomo rimasero liberi di muoversi.
“Cosa stai facendo?” chiese Alessandra, con un filo di voce.
“Le ho salvato la vita, signorina” rispose l’uomo.
Il suo tono tranquillo e la voce morbida e vellutata cancellarono ogni timore covato dalla giovane.
“Fluttuaris” pronunciò puntando nuovamente la bacchetta.
“Girati e guarda alle tue spalle” continuò l’uomo.
Dietro ad Alessandra, a mezz’aria e minacciosa come un corvo nero, fluttuava, priva di vitalità, una figura sinistra pronta a colpirla con la bacchetta che stringeva nella mano.
Un mago oscuro che lei, e tutti i Fulgor alle sue calcagna, conosceva bene.
“Puoi portarlo via con te e consegnarlo alla giustizia” disse l’uomo, guardandola dritta negli occhi.
“Portarlo via?” chiese confusa. “Ma chi sei? Non vuoi consegnarlo tu? È tutto merito tuo… Non sei un Fulgor?”
Alessandra si portò la bacchetta alla mano, la indirizzò verso il mago oscuro, lo fece spostare a destra e a sinistra a suo piacimento, e intanto provò a schiarirsi le idee sul cosa fare.
L’uomo misterioso si voltò per andarsene, quando lei tornò a fare domande, interrompendo il suo passo:
“Scusami, chi devo ringraziare per avermi protetto?”
“Il mio nome conta poco. L’importante è che tu stia bene.”
Alessandra, non soddisfatta, insistette.
“Vorrei sapere il tuo nome e, se questo non fosse possibile, vorrei almeno sdebitarmi.”
L’uomo si voltò, ripercorse i pochi passi che lo avevano diviso da lei, la guardò per un attimo ancora, e le rispose:
“Ti ringrazio, ma il mio viaggio è ancora molto lungo. Mi fermerò qui a Venezia solo il tempo necessario per recuperare le forze”.
Alessandra, ormai rapita dallo sconosciuto, lo incalzò:
“E dovei riposerai? Tu non sei di queste parti… Cosa ti porta fino a qui?”
“Vengo da un paese lontano da qui, a Nord, e sono in viaggio per… molti motivi”, tentennò. “Questa notte mi arrangerò da qualche parte, non ho grandi pretese”.
Alessandra si alzò di scatto e prese l’uomo per il braccio, senza neanche farlo fiatare.
“Non vorrei pensassi male, ma casa mia è grande e ho una stanza libera. La usa mio fratello quando viene a trovarmi, raramente a dire il vero.”
L’uomo abbozzò un cenno di sorriso. Il viso tenebroso era poco abituato a quell’espressione, tanto che risultò più imbarazzato che grato.
“Accetto, ti ringrazio. Immagino che discutere con te non sia facile e sono troppo stanco per contraddirti.”
“Prima però dobbiamo consegnare il mago oscuro alla giustizia”, disse Alessandra, guardando il malcapitato fluttuare in trance tra loro.
I tre procedettero verso l’imbarcadero e, appena arrivato il traghetto magico, salirono.
In quello stesso istante, tutti i non magici sulla terra ferma vennero liberati dal sortilegio e tornarono a muoversi, riprendendo le loro piccole attività, ignari di ciò che era accaduto.
Il mago oscuro, invece, appariva vigile e autonomo: l’incantesimo lo aveva reso innocuo, ma collaborativo.
L’uomo misterioso, finalmente rilassato, e stranamente in pace, al fianco di quella donna così dolce e intraprendente, scrutava con sguardo rapito le bellezze della laguna. I piccoli balzi che le increspature dell’acqua creavano sotto la chiglia, lo cullavano. Gli occhi stanchi, stretti dal sole, si appoggiavano alle cose per fotografarle e portarle con sé in quel momento di rara quiete.
Il traghetto attraccò e i due scesero.
Di fronte a loro, si ergeva nella sua imponenza il Ministero della Magia Italiano e al suo fianco le carceri, dove i due avrebbero portato il mago ricercato.
CAPITOLO I
PRIMO CONTATTO
Alessandra e il mago oscuro precedevano con passo spedito, una a fianco all’altro, quest’ultimo sempre a mezz’aria e controllato dalla bacchetta della donna, mentre l’uomo del mistero, subito dietro a loro, guadava compiaciuto il palazzo solenne e austero.
“Mi ricorda molto il Ministero del mio paese.”
“Di quale paese parli?” chiese Alessandra cercando di carpire qualche informazione importante per ricostruire quegli sprazzi di ricordi confusi che continuavano a girarle in testa.
“Del paese da cui provengo”, rispose lui, ammiccando ed eludendo con ironia la domanda.
“Avremo tempo per parlarne. Vuoi entrare con me o mi aspetti qui fuori?” chiese Alessandra, un poi scocciata dalla sua reticenza de, allo stesso tempo, intrigata dai segreti che l’uomo celava.
“Attenderò qui, grazie. Non vorrei che mi rivolgessero domande sull’accaduto. Meno appaio, meglio è. Meno la gente sa di me, più il mio viaggio avrà un senso.”
Le ragioni per le quali non desiderava apparire erano misteriose quanto lui. Magari non desiderava dare la sua versione dei fatti? Forse, non voleva meriti per l’operato, oppure ancora meglio, non voleva apparire immischiato nella scena di un crimine perpetrato da un mago oscuro a danno dell’intera comunità magica alla luce del sole e sotto gli occhi dei non magici…
Non poteva, certamente, limitarsi a questo.
Le ragioni dovevano essere diverse e ben più importanti.
I dubbi nelle mente di Alessandra si moltiplicarono. Se fino a quell’istante lo aveva creduto un mago in viaggio alla ricerca di un po’ di pace, ora lo vedeva sotto una luce diversa. Con un passato complesso, da dimenticare, da cui scappare. Vedeva le sue ferite, poteva scorgere un amore perduto o una guerra persa, il tradimento di un amico o la discesa di una guida…
Chissà se mai glielo avrebbe raccontato.
“Ricordati, per favore, che io non c’entro nulla con questa storia…” ribadì l’uomo, fissandola negli occhi per farle capire quanto fosse importante il suo anonimato.
“Ci metterò un po’,” tornò alla realtà, Alessandra, e continuò, “se vuoi di fronte fanno dei tramezzini ottimi. Di’ pure che sei mio ospite.”
L’uomo, più affamato che stanco, non si fece ripetere la cosa due volte. Si voltò e si diresse vero il bar.
Giunto lì, notò che i gestori non prestavano molta attenzione al suo vestiario e tantomeno alla bacchetta, che aveva mal riposto lasciandone fuori un pezzo.
“Desidera?” chiese la barista.
“Mi hanno suggerito di assaggiare i vostri tramezzini.”
“Le hanno suggerito bene… e come li preferisce?”
“Fate voi, non conosco le vostre specialità.”
“E da bere?”
“Del sidro, grazie.”
La barista sorrise. Era da molto tempo che nessuno chiedeva più del sidro di mele. Ma visto che suo padre era un amante della bevanda, ne aveva sempre una bottiglia in fresco.
“Si accomodi qui fuori. Le porto subito tutto.”
L’uomo si sedette e aspettò che arrivasse il suo ordine. Decine e decine di turisti gli passavano davanti. Molti, notandolo, sghignazzavano per il suo abbigliamento, ma lui era troppo stanco per ribattere e reagire.
“Ecco a lei” disse la cameriera, porgendo il vassoio.
Un bicchiere di sidro gelato, sei tramezzini appetitosi e una vista meravigliosa. Cosa poteva chiedere di più?
“A chi devo segnare queste cose?”
L’uomo già con il bicchiere alle labbra, sussurrò:
“Alessandra. È un Auror”.
“Un Fulgor., voleva dire! Qui da noi si chiamano Fulgor! Lei viene dalla Gran Bretagna, immagino. Comunque nessun problema, segno sul conto di Alessandra.”
L’uomo cominciò a mangiare un tramezzino alla volta, alterando sorsi brevi di quell’ottimo sidro. Mentre la tensione lasciava spazio al piacere del cibo, la testa vagava attorno a quello strano scambio di battute tra lui e la cameriera. La stanchezza era tanta da essersi fatto scappare informazioni importanti, come la sua provenienza.
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