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Racconti di estrema quotidianità

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Otto protagonisti, otto storie che insegnano come vicende così personali possano essere allo stesso tempo universali. Se solitamente i romanzi ci proiettano in mondi di fantasia, questi personaggi non sono lontani e immaginari, ma si muovono tra di noi, persone comuni alle prese con lutti, disturbi, ossessioni, gelosie e problemi economici. Ci possiamo rispecchiare in loro, capire quelle debolezze, assottigliando fino ad annullare il confine tra fiction e realtà. Come noi, sì, ma anche modelli positivi e negativi da osservare a distanza: è il modo in cui decidiamo di affrontare e risolvere le avversità che ci rende unici e distinguibili.

PARLARE DA SOLO

«Ma sono le otto di mattina! Perché non mi hai svegliato, Luisa?» chiese Mattia alla moglie dopo aver visto l’orario dalla sveglia sul comodino accanto a lui.
Si alzò subito dal letto e si recò in bagno. Appena entrato, si lavò il viso e si guardò allo specchio. Aveva i capelli e gli occhi neri; era abbastanza alto e magro, tanto da vedere le ossa sporgenti, in particolare la clavicola. Quella era spaventosa.
Questo breve momento fu interrotto da un suo colpo fortissimo di tosse dovuto all’aria lì dentro. La stanza puzzava di fumo in una maniera impressionante, perché la scorsa notte ci era andato giù pesante con le sigarette. Mattia aveva iniziato a fumare da ragazzo, quando aveva più o meno sedici anni, per una scommessa andata male con gli amici. Da sempre si faceva una quarantina di sigarette, quasi due pacchetti a settimana, ma in questo periodo le cose andavano diversamente ed era passato a due pacchetti al giorno.

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Intanto nel bagno l’odore era lo stesso. Decise perciò di aprire la finestra per far cambiare aria e vide il cielo che si presentava con enormi nuvole pronte a piangere a dirotto, mentre un leggero vento agitava le piante sul suo balcone. Erano delle primule che avevano ormai perso il loro intenso profumo e il colore violetto, dei gelsomini e una menta piperita. Tutte si trovavano in condizioni pessime. L’amore per le piante era più di Luisa, non di Mattia. Se lei non le curava, lui non alzava nemmeno un dito per loro.
Dopo essersi lavato, uscì dal bagno e aprì l’armadio per scegliere i vestiti da indossare. Una montagna.
Era ciò che vide appena aprì il guardaroba. Gli abiti erano riusciti a formare una struttura anomala, con alcuni che penzolavano verso il basso in equilibrio precario, altri che non aspettavano che questo momento per uscire da lì dentro, e altri ancora che rimasero fermi immobili. Nella confusione intravide un pantalone blu e una t-shirt verde, che invece si trovava a terra.
“Papà, ricordati di vestirti bene. Lo so che non ti va molto, ma fallo per noi” gli aveva chiesto il figlio Luca, l’ultimo giorno che si erano visti. Per questo aveva deciso di cercare il completo elegante che spesso indossava per eventi importanti.
Mancava quasi un’ora e Mattia doveva ancora finire la colazione. Mentre scendeva le scale per arrivare in cucina, al piano inferiore, inciampò in una bottiglia sulle scale. Per poco non rotolava come nei film d’animazione che aveva spesso visto con i suoi figli! La bottiglia che per poco non lo mandava all’ospedale era un buon liquore Tinture Imperiali (quasi vuota). La prese e, mentre continuava a scendere gli scalini, si bevve tutto quello che c’era dentro.
La casa era tutta disordinata, un totale disastro: abiti da ogni parte, scatoloni di pizza e lattine di birra sul tavolo o sul pavimento, sigarette per terra, la televisione accesa. Il frigorifero, invece, offriva qualcosa.
«Menomale! Almeno ho fatto qualcosa di buono questi giorni!» esultò, provando un senso di soddisfazione.
Prese il cartone del latte e lo versò nella tazza. Ma come il liquido colava, si diffondeva nell’aria una puzza incredibile. Era il latte, ormai avariato. Stesso discorso con i biscotti trovati nell’altro scaffale: c’erano un sacco di buste finite o con solo briciole.
«Amore… niente colazione! Abbiamo finito sia il latte che i biscotti. Al massimo ci fermiamo da qualche parte durante il viaggio!» urlò Mattia alla moglie, mentre raccoglieva dei tovaglioli sporchi da terra.
E io ora cosa mangio? si domandava tra sé l’uomo. Girava lo sguardo alla ricerca di qualcosa da mettere dentro lo stomaco.
E se mi facessi una birra? Così… giusto per non stare a stomaco vuoto? pensò dopo aver visto una bottiglia di birra dentro il frigo rimasto aperto. «Ma sì, tanto…» disse a voce bassa mentre toglieva il tappo. «Amore, io accendo la macchina. Muoviti, così poi partiamo, visto che è già abbastanza tardi. Ti lascio la porta aperta!» urlò nuovamente Mattia verso il piano superiore, dove c’era la loro stanza.

                                                                                                                         

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Giacomo Rinaldi
È nato nel 2002 a Frosinone. Dopo aver frequentato il Liceo classico, è ora studente alla Sapienza Università di Roma. Nel tempo libero, si dedica alla scrittura e alla realizzazione di articoli per giornali di critica cinematografica.
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