Ha ancora gli occhi fissi su di me. E si avvicina.
Mi rialzo e con le poche forze rimaste cerco di trascinarmi verso l’uscita. La sala è scura e immensa e il pavimento ondeggia in modo ritmico, come la schiena di un gigantesco drago assopito. Se non fosse per due grandi bracieri accesi ai lati di un altare, l’oscurità sarebbe totale.
Le pareti nere della stanza si muovono assieme al pavimento. Al mio passaggio, visi deformati e urlanti vi appaiono sopra come bassorilievi da un’altra sconvolgente dimensione. Mi chiamano. Chiedono aiuto. Le loro voci sono confuse e disperate.
Vorrei gridare loro che anch’io ho bisogno di aiuto. Che anch’io sto morendo. Come Kherrig e Nadreel, riversi a terra a pochi metri da me. Come loro, come tutti quelli prima di noi.
Qualcuno sembra gridare il mio nome, Jayrod di Windhold, un urlo che si trasforma in un suono lacerante e lontano. In un ultimo disperato sforzo cerco di correre, ma sono allo stremo e crollo sfinito sulle ginocchia. In pochi attimi lui è dietro di me.
«Preparati a morire» gorgoglia la voce alle mie spalle.
Mi volto. La sua sagoma è alta e scura, senza un viso. Solo due occhi raggelanti, due fessure che emanano una luce malata. Lo sguardo di chi è padrone del lato oscuro di ciò che lo circonda.
Mi concentro per cercare di colpirlo. Almeno una volta. Almeno per fargli male.
«Nessuno può uccidere Garius!» ringhia il Signore delle Ombre alzando al cielo dita lunghe come artigli.
Un’energia incomprensibile mi travolge, mentre la sua risata infernale copre il mio cadavere come un’orribile bestemmia.
Sono morto.
E ho bisogno di aiuto.
Il villaggio dei dannati
Alzo la persiana della mia camera. Il gatto sul davanzale di fronte solleva pigramente la testa, mi guarda senza curiosità e mi sbadiglia in faccia. Ricambio lo sbadiglio, ma lui non sembra apprezzare granché il mio senso dell’umorismo e con un agile balzo rientra in casa.
Il sole deve essere tramontato da poco, perché grandi striature rosso vermiglio si estendono nel cielo non ancora completamente buio. Sfilo il cellulare dalla tasca dei jeans e guardo l’ora. Le nove meno venti. Martina è tornata a Peschici per il ponte del Primo Maggio, per cui ho finalmente quattro giorni di pace.
Nel mio stereo sta passando What I Am di Edie Brickell & New Bohemians.
Mi infilo la prima maglietta che trovo e due scarpe dello stesso colore e scendo da Gianni. Una bella fortuna che stia proprio sotto casa mia; a Milano c’è gente che prende la macchina e fa chilometri apposta per venire al Circle.
Gianni è sempre aperto. Sempre.
Non lo so come faccia. Che io sappia chiude regolarmente solo il giorno di Natale, forse perché qualche legge lo impone ai commercianti, e lo scorso novembre ha chiuso due giorni per un’operazione di ernia inguinale. Poi è subito tornato e ha lavorato malconcio per le due settimane successive.
Davanti all’ingresso la solita orda di fumatori e agenti segreti alle prese con le loro conversazioni telefoniche misteriose. Sopra l’entrata l’insegna “Circle Club”.
Non so quante volte abbiamo fatto notare a Gianni che un nome del genere è terribile anche per un bordello di Soho, ma lui, che l’inglese ignora anche in che nazione si parli, ci ha sempre, invariabilmente, mandato affanculo.
«Ciao Gia’, è arrivato qualcuno?»
«Qualcuno… No, sei il primo. Vuoi un toast?»
«Sì, grazie. E un Cuba.»
«Un Cuba… Senti J, a me fa piacere che tu qui ti senta di casa, ma quando vieni almeno una pettinata potresti dartela.»
Mi guardo nella grande specchiera che corre dietro al bancone e scoppio a ridere. Il pomeriggio di oggi ha avuto effetti devastanti anche sui miei capelli, già lunghi oltre il livello di guardia. Sembro Bon Jovi appena uscito da una tromba d’aria.
«Sì, Gia’. Parli così solo perché non te lo puoi più permettere.»
«Permettere… Va’ a cagare, va’. E siediti lì, che altrimenti mi spaventi i clienti.»
Gianni è pelato. Non completamente, intendiamoci, e a cinquantacinque anni non è comunque un problema così imbarazzante. C’è da dire poi che il capello malcurato attorno alla piazza gli dà anche quell’aria da maschera tradizionale meneghina che piace tanto a chi frequenta il Circle.
Arriva Silvia, con un toast e un Cuba.
È molto carina. Ha poco più di vent’anni, un bel viso e lunghi capelli biondi che tiene raccolti in una coda. Innamorarmi puntualmente di ogni nuova cameriera del Circle è una delle tradizioni a cui tengo di più. Nemmeno nel suo caso me la sono sentita di fare un’eccezione, nonostante le dimensioni del suo fondoschiena non rispettino il mio personale concetto di perfezione. Forse per lei ho lasciato correre perché mi è anche simpatica. Peccato che poi non abbia lasciato correre lei quando mi ha sentito biascicare qualcosa riguardo al suo culo, le Alghe Guam e la liposuzione, dopo una serata passata a scolarmi Cuba e rum lisci.
Una volta mandato tutto a puttane – anche questo un mio grande classico – siamo diventati buoni amici.
«Ciao Sissi.»
«Ciao J!» mi saluta mentre sistema la mia cena sul tavolo, «Ma almeno a pranzo mangi qualcosa di normale?»
«Che domande! Lo sai che ci tengo a stare in forma. A pranzo invece del toast prendo una piadina, e al posto del Cuba un Long Island. Non preoccuparti.»
«Scemo… E col tuo gruppo? Avete finito di registrare?»
«Mmm, no, direi di no. Non abbiamo nemmeno iniziato, a dir la verità.»
«Dai J, che non vedo l’ora di sentire i tuoi pezzi! E chi viene stasera?»
«I soliti, Sissi» dico mentre apro svogliatamente la pagina degli spettacoli di un quotidiano di cui ignoro il nome.
«E che fate?»
All’ennesima domanda inutile non ce la faccio più. Non so perché le donne facciano sempre tante domande, non so perché abbiano questa smania di conoscere il futuro. Per quel che mi riguarda potrebbero disintegrare tutti gli orologi e i calendari del mondo e io danzerei euforico su quei miserabili resti come una strega a un sabba. Francamente non capisco perché quasi tutti si ostinino a programmare la propria vita, a cercare di pianificarla e controllarla senza accorgersi che la stanno trasformando in un film noioso.
«Sissi, guarda che Gianni ti sta chiamando.»
Gianni ha una mano infilata nei pantaloni per risolvere quello che sembra essere un impellente problema di prurito alle natiche. Con l’altra sta sfogliando un vecchio numero di Tex Willer sul bancone.
«Oh grazie,» replica lei cascandoci, «a dopo!»
Finisco d’un fiato il Cuba e mangio controvoglia mezzo toast.
«Gianni, scusa… Me ne porti un altro?» gli urlo agitando in aria il bicchiere.
«Un altro… Vuoi anche un altro mezzo toast?» replica ridacchiando.
Gianni ha l’abitudine di ripetere le ultime parole della frase del suo interlocutore. Non è una patologia così rara, ma Gianni l’ha elevata a rango di arte assoluta. Non sbaglia un colpo: è in grado di ripetere qualunque parola, in qualunque condizione ambientale e detta a qualunque velocità. Una sera, intrappolati al Circle perché fuori diluviava, ho convinto il Professore a fare un esperimento. Lui ha bombardato Gianni con una serie di frasi da mettere in difficoltà anche Umberto Eco.
«Ehi Gianni, dicono che l’effetto serra sia frutto dell’anisotropia circostanziale.»
«Dell’anisotropia circostanziale… Prof., l’effetto serra c’è perché la gente come te viene nel mio locale in macchina, invece che a piedi.»
«Sì, però non credi allora che la politica dovrebbe evitare il turpiloquio esiziale?»
«Turpiloquio esiziale… Sentite ragazzi, non buttiamola sulla politica che solo a pensarci mi girano i coglioni.»
«Dai Gianni, scusa, però almeno lo Stato dovrebbe regolare questo corruscato duopsonio!»
«Corruscato duopsonio… Dite un po’, ma mi state prendendo per il culo voi due?»
Siamo andati avanti così mezz’ora buona. Io ero incredulo, ma lui non è mai caduto e non ha mai dato un segno di cedimento. Grande Gianni, campione del mondo.
Mentre Silvia mi serve il secondo Cuba, entra Marvel.
Marvel ha il fisico di un nuotatore della nazionale tedesca e il perenne stato d’animo di un bambino delle elementari. È sempre sorridente, e il semplice fatto di vederlo trasmette un senso di serenità raggiungibile probabilmente solo ai livelli più alti dello yoga. Non saprei dire se è realmente questione di felicità contagiosa oppure l’effetto della cromoterapia che deriva dal suo modo di vestire. Stasera indossa una T-shirt rossa con raffigurato Telespalla Bob, jeans Guess gialli e All Star blu decorate a mano con l’effige del Dottor Destino. Ha raccolto l’indomabile capigliatura nera riccia con un elastico fosforescente verde. È praticamente Mazinga travestito da Sbirulino.
«Ciao Marvel.»
«Ciao vecchio!»
Ha venticinque anni e si sente sempre in dovere di ricordarmi che ne ho qualcuno più di lui. Ma gliela passo, anche solo per la faccenda delle All Star.
«Sei solo?»
«Sì, appena arrivato. Bella maglietta Marvel, l’ho regalata uguale al mio nipotino di sette anni. Due anni fa.»
«E non hai visto quella dell’Uomo Talpa e di Telespalla Mel!» risponde ridendo.
«Allora, che combini? Concedi un po’ di riposo alle mani in questi giorni o no?» gli chiedo mentre si siede.
«Eh, magari! Devo lavorare a un’illustrazione che, sa Dio perché, deve essere pronta entro lunedì. Quindi devo darci dentro. E tu?»
«Ah no, io fino a mercoledì prossimo non so cosa siano un lavoro, un ufficio e un capo.»
«Cosa sia un capo non l’hai mai saputo, visto che sei un IT Manager. Si dice così, no?»
«Sì, si dice così. Ma devi fare la faccia più seria quando lo dici. Comunque sei un ingenuo, Marvel: c’è sempre un capo, anche se non lo vedi.»
«Ah sì? E chi sarebbe il tuo?»
«Che domande, io prendo ordini direttamente da un’entità oscura di nome Caso, che governa invisibilmente la realtà di qualsiasi congegno elettronico. Chiamala pure “legge dell’infinitamente improbabile”, se preferisci.»
«Interessante… e se non sbaglio è l’effetto su cui si basa la propulsione della Cuore d’Oro.»
«Esattamente.»
«Ma se il Caso decidesse di farsi vivo proprio in questi giorni?»
«Gli risponderebbe un ragazzo molto giovane e molto sfortunato, uno come te per intenderci, che anziché fare il disegnatore freelance fa il mio vice» replico sorridendo.
«Bella! Allora sei a cavallo, vecchio.»
«Puoi dirlo forte…»
«Così puoi anche venire al concerto del Primo Maggio!»
«Già…» dico distrattamente.
«E con il tuo disco come va?»
«Bah… Non lo so. Male credo.»
Lo dico con un tono così seccato che persino Marvel capisce che è meglio cambiare discorso.
«Ehi, stasera viene anche Lisa. Partitone!» sbotta Marvel mimando il gesto di giocare a biliardino.
«Oh bene! Così vi do una bella lezione.»
Non è vero, non sono in forma per niente. Ho un dolore alla schiena preoccupante e mi fa male anche il polso sinistro, quello della mediana, ma fare lo sbruffone è d’obbligo.
«Stasera farei il culo anche a Skorpio, ragazzo» dico pentendomene immediatamente.
Come diavolo mi viene in mente di tirare fuori questa storia?
«Skorpio! Accidenti, lo avevo quasi rimosso.»
«Dai, non si può scordare un tipo del genere, Marvel…»
«Sì, davvero… Sempre con quel suo impeccabile completo nero e la testa rasata alla perfezione… Era la copia sputata dell’Agente 47!»
«Già. E a me ha sempre dato l’idea di essere uno altrettanto pericoloso. Uno con qualcosa di terribile da nascondere, qualcosa di veramente losco.»
«Be’, di sicuro Skorpio non aveva l’aria di uno che nella vita fa il fruttivendolo o il cassiere in banca» scherza lui.
«Io mi gioco tutto sulla criminalità organizzata e il traffico di droga dal Sudamerica. Forse anche la compravendita di organi umani sul mercato nero.»
«Ipotesi interessante… E come si spiega il fatto che venisse qui a giocare a calciobalilla?»
«Ma è chiaro, Marvel. Il Circle è la copertura perfetta. Chi mai cercherebbe un criminale qui? Anzi, chi mai cercherebbe chiunque qui?»
«In effetti… Comunque a biliardino pericoloso lo era di sicuro. Con lui in porta non c’era praticamente partita, faceva sempre il culo a tutti. Ma poi dov’è finito? Quanto sarà, un paio d’anni che non lo si vede?»
«Due anni e tre mesi. E se fa vedere ancora la sua testa pelata qui dentro, gli do una lezione che se la ricorda per un pezzo. Te lo garantisco.»
«J, guarda che quello ci fa ancora a pezzi, anche se fossero due anni che non vede un calciobalilla.»
«Non credo proprio.»
Comincio a innervosirmi.
«Ehi J, tranquillo… Ma che hai?»
«Marvel, Skorpio ha vinto il torneo di due anni fa e…» ma Marvel mi interrompe prima che riesca a terminare la frase.
«Vorrai dire stravinto! Lui e Iceman non hanno perso una partita quella volta» replica con una gran risata.
«Sì, Ok… stravinto…» dico con la stessa fatica con cui Fonzie riusciva ad ammettere di aver sbagliato.
«Comunque era il più spaccone di tutti e poi, dopo aver vinto quel cazzo di torneo e avermi dato otto-zero otto-zero in finale, puff… sparisce nel nulla.»
«J, ma…»
«La rivincita si concede sempre, lo sanno tutti qui dentro. Cambiamo discorso, Marvel» concludo tagliando corto.
Marvel mi guarda con aria confusa.
«Ma il Professore?» chiedo io ricominciando a scorrere la programmazione dei cinema, più che altro per ritrovare la calma.
«Arriva, arriva. Mi sa che sta cercando parcheggio.»
Manuale d’amore 2, Ho voglia di te, Voce del verbo amore.
L’amore in Italia vive un bel periodo ultimamente. L’amore sul grande schermo intendo, che poi è l’unico posto dove può vivere in pace. Per quanto sia tragico il finale di un film d’amore non è mai crudele quanto la lenta agonia a cui lo sottoponiamo nella vita reale. L’amore della vita reale sta a quello dei film come il triste fantoccio di Disneyland sta al Topolino dei fumetti: lo impersona, ma non è lui; è troppo brutto, troppo pesante e troppo stupido per esserlo. E soprattutto ha tre dimensioni. Una di troppo. I bambini se ne accorgono, e per istinto ne stanno alla larga. I grandi invece si fanno abbindolare, e spesso sono così ottusi da accettare persino le caramelle da quell’impostore.
«Allora Professore? Ha finito il suo romanzo?» sento chiedere da Gianni.
«Ci sto lavorando, ci sto lavorando. Sono al capitolo otto» risponde il Professore appena arrivato e già con in mano il suo bicchiere di Nero d’Avola.
«Capitolo otto… Ma non era al capitolo nove a gennaio?»
«Ehi Gia’, stai facendo la cura del fosforo? Di solito non ti ricordi nemmeno come si fa un Gin Tonic» intervengo io.
«Gin Tonic… Be’, sai, mi piacerebbe un giorno poter dire che il romanzo del secolo è stato partorito qui al Circle.»
«Stai tranquillo, Gianni. Entro quest’anno lo finisco, giuro.»
«Giuro… Ma non ha detto la stessa cosa l’anno scorso, Prof.?» lo incalza nuovamente Gianni.
«No, no, è questo l’anno buono. È garantito, morisse J in questo istante se non è vero.»
Mi tocco per scaramanzia e replico: «Dai Gia’, non essere così pressante, dagli tempo. Tanto anche se lo finisse tra vent’anni tu saresti ancora qui a servire i soliti aperitivi e i soliti toast».
Il Professore. Stessa giacca e stessa camicia in qualsiasi stagione. Un vezzo dylandoghiano d’altri tempi. Bassino, con una barbetta ben curata, occhiali da intellettuale e un po’ di pancetta, da qualche parte ha anche buoni muscoli, che però nasconde bene per tenere fede al personaggio. Di fianco a Marvel sembra inevitabilmente la comparsa di un film di De Crescenzo.
Ci raggiunge al tavolo con il suo bicchiere già praticamente vuoto.
«Buonasera Professore» facciamo in coro Marvel e io come Qui e Quo.
«Comodi, comodi ragazzi.»
Anche il Professore ha circa dieci anni in meno di me, ma gli diamo del lei quasi sempre, non per cortesia ma perché viene naturale quanto sorridere a Marvel.
«Allora J, come va con il tuo disco?» chiede mentre ordina un altro bicchiere di Nero d’Avola.
«Oh, ma che cazzo è? L’argomento del giorno?» borbotto io.
«Suvvia, il tuo disco è in gestazione da quando esiste la scala diatonica, cioè più o meno dall’era in cui io ho cominciato a scrivere il mio romanzo. Martina è dispersa chissà dove, immagino che tu ci stia lavorando alacremente.»
«Martina torna fra tre giorni, e il mio disco ha dei problemi tecnici. Tutto qui.»
Faccio una pausa di riflessione. Marvel ride.
«E comunque devo trovare l’ispirazione.»
«Capisco» risponde serio il Professore.
Alza il suo bicchiere di vino verso il mio e brindiamo silenziosamente come due vecchi generali prima dell’ultima battaglia.
«Tra poco arriva Lisa. Mi prudono già le mani» interviene Marvel.
«Bene, bene. Vi meritate proprio due schiaffoni, pivelli» replica il Professore sorridente.
Guardiamo tutti automaticamente il biliardino. Tristemente deserto, tristemente relegato in un angolo. C’è stato un tempo in cui si doveva fare la fila per giocare, ma allora il Circle era piuttosto diverso da oggi. Adesso, con la scusa degli aperitivi a buon mercato, gran parte della gente è qui solo per bere qualcosa prima di spostarsi in un altro locale. Ora per essere in quattro e fare una partita decente bisogna organizzarsi già dal pomeriggio. È per questo che siamo in trepida attesa di Lisa.
Mi arriva un messaggio sul cellulare.
Lo leggo tranquillamente solo perché non ho ancora imparato che anche i più grandi disastri possono essere originati da cause microscopiche. La mia serata è rovinata, ma non lo so ancora.
Stefano Guglielmo (proprietario verificato)
Un libro alla Nick Hornby. Un romanzo d’esordio senza facilonerie né cadute di stile persino quando presenta delle scene che potrebbero essere già viste dal lettore. Al termine della lettura i personaggi ti mancheranno perché sarai entrato in un mondo che sentirai tuo. Tutti i personaggi sentono il bisogno di evadere, persino chi vive una vita di evasione. Ben scritto, bella trama…alcune scene indimenticabili. Dico solo che l’ho comprato in ebook ed ora l’ho voluto cartaceo
Fabio Guarneri (proprietario verificato)
Replay ci porta nella vita di J – solo J, un soprannome, come tutti gli uomini di questa storia nella quale sono solo le donne ad avere un nome – un adultescente che riempie le giornate di cose da fare pur di non doversi impegnare nel lavoro, nelle amicizie, nei rapporti sentimentali e soprattutto pur di non affrontare i fantasmi del passato, fino al 28 aprile di qualche annetto fa, quando ancora si mandavano gli sms.
Nei quattro giorni a seguire J affronterà tutto ciò che ha sempre rimandato ad un ipotetico domani. Lo farà a modo suo, con poca voglia e ancora meno convinzione, perennemente in bilico tra realtà ed immaginazione, ma alla fine, inspiegabilmente, ogni casella troverà il suo posto.
Replay è una lettura veloce e piacevole, ricca di citazioni e riferimenti alla cultura più o meno pop degli anni 90, quando J – e non solo – ha iniziato ad essere giovane. Scorrendo le pagine è facile immergersi con J nelle sue avventure e provare una punta di sana nostalgia per nostri vent’anni, così come è impossibile non sentire una musica in testa, la colonna sonora che accompagna tutto il racconto.
Andrea Minetti (proprietario verificato)
Replay è un urlo ribelle contro una vita tanto piena di traguardi inutili da apparire drammaticamente vuota. Replay è una storia d’amore pazzesca, un rock frenetico e insofferente, il racconto commovente di un’esistenza nichilista e inquieta.
Gelmetti ha saputo cogliere con ironia l’essenza di una generazione. J è il Siddharta del nuovo millennio.
Filippo Brianti (proprietario verificato)
Ci sono libri che alla seconda pagina speri finiscano presto e ci sono libri che alla seconda pagina speri di finire presto. Replay rientra indubbiamente nella seconda categoria.
Leggerlo vuol dire rivivere un periodo della nostra vita, pervaso da incubi ludici e amorosi, caratterizzato dal distacco della realtà e dalla contemporanea e continua fuga da essa.
I personaggi sono tratteggiati in modo tale che spesso, dopo poche parole, sembra di conoscerli da una vita. Forse perchè tutti li abbiamo realmente conosciuti. E questo è fondamentale per far sì che il protagonista non sia più J. ma sia il lettore.
Lo stile è pulito, la lettura scorre veloce, la storia coinvolgente. Difficile chiedere di più.
Federica Tardani (proprietario verificato)
Un romanzo che ti gira in testa come il pezzo giusto al momento giusto.
Quelle svelate da “Replay”sono storie di fantasmi e grandi passioni.
In ordine sparso e casuale:
li racconta, li svela e sembra che riesca a risolverli tutti i “suoi” fantasmi.
Replay si snoda in un tempo ben scandito, che è il metronomo della sua storia.
Riesce a portare il lettore su un’altalena di dettagli e tempi sfocati.
Suona sagace e rocknroll, ma sopratutto suona rock quando è sagace.
Ti trattiene e ti incastra.
E quindi, nella scansione del tempo che sceglie di raccontare, Replay è un romanzo che suona estremamente bene la sua rete di intenzionalità.
Apparentemente lineare, perché l’autore sa dove vuole arrivare con la sua chitarra.
Ti incastra anche in trame di capitoli pop e geek.
Per essere riletto e riascoltato va quindi pubblicato di un bel colore e su una bella carta. E fatto suonare ancora. E ancora.
Mara Mignani (proprietario verificato)
Le storie ce le abbiamo tutti, ma alcuni le sanno anche raccontare.
E alcuni le raccontano meglio, in un modo che appassiona, diverte, coinvolge, che ti tiene incollato allo schermo finché non scopri come andranno a finire.
La quotidianità di J, eterno adolescente che si nutre di canzoni, videogiochi, Cuba Libre e partite a calcio balilla al bar sotto casa, si trasforma man mano in una missione, in ricordi deformati del passato che si ripresentano come fantasmi da affrontare per poter passare al livello successivo.
E Replay questa storia la racconta davvero bene, fondendo realtà e surreale in un convincente crescendo di tensione, come una serie tv di cui non riesci a non guardare anche la prossima puntata, ma in cui hai quasi paura di arrivare alla fine perché dopo come si fa?
Matteo Mignani (proprietario verificato)
È una Storia. Un romanzo con personaggi vivi, un protagonista e comprimari credibili e ben disegnati.
Probabilmente perché sono scritti pensando a reali persone.
E Gelmetti li dirige bene, come una sceneggiatura di un film con copione all’holliwoodiana: antagonisti, tempismo, evoluzione.
A tre quarti di libro non riuscivo a smettere! Corri J!
Leggetelo.
Fine.