Trentuno dicembre duemiladiciannove, ore ventiquattro.Una strisciata luminosa graffia il cielo stellato di Wuhan, confondendosi tra i botti del nuovo anno. Un piccolo meteorite alieno punta diretto al mercato del pesce lungo il fiume Azzurro, un luogo tutt’altro che ameno. A causa dell’intensa attività industriale, infatti, tutta la zona ha perso quella sua particolare atmosfera legata alla tonalità del candido color azzurro.
Si tratta di un semplice meteorite di piccole dimensioni, polverizzato sul suolo terrestre a causa della grande velocità acquisita nell’atmosfera. Un ulteriore contributo all’ampliamento del noto e conosciuto “buco”, così pare: questa è la risposta scientificamente certificata dagli astrologhi o, se non altro, la più logica.
Gli studiosi non avevano previsto nessun impatto per la notte di Capodanno nel quadrante cinese. Nella confusione del cenone e sotto l’effetto delle bollicine, avevano deciso di assegnare a quel banale meteorite di dimensioni irrisorie il nome “19HNY2020”. In apparenza un professionale codice scientifico ma, se decodificato, un puerile, per non dire assolutamente scontato, gioco di parole criptate: “Happy New Year”. Un banalissimo augurio travestito da una sequenza alfanumerica.
Il vecchio professore Mao, per la società civile uno svitato schizofrenico, da decenni rinchiuso nell’ospedale psichiatrico per presunti “disturbi della personalità, idee estremiste e gesti autolesionisti”, dalla sua finestra con le sbarre lo osserva arrivare. Lo segue attraverso un vecchio telescopio riflettore, l’unico suo oggetto personale, curato con attenzione maniacale e ricordo di quello che era stato il lavoro di un tempo ormai remoto. La visione dall’oculare lo turba profondamente e una sua rotella cerebrale inizia a girare all’impazzata. Euforico ed eccitato dalla paura, decide di lanciarsi sulletto. In posizione fetale, stringendo al petto il suo unico confidente, una micia nera di nome Micio, e nascondendo il volto sotto il cuscino, inizia a sbraitare come un pazzo indemoniato.
«Ci stanno attaccando, aiuto, un altro attacco!»
Sembra colto da un attacco epilettico, si morde la lingua fino a farla sanguinare e, tremando come una foglia, continua a sbraitare.
«Sostanze chimiche non conosciute, aiuto! Aiuto!»
Il professore riemerge dal cuscino con un fazzoletto sulla bocca, cercando di filtrare l’aria. È sporco di sangue e con terrore continua a ripetere come un disco rotto.
«Non respirate, chiudetevi in casa!»
Di corsa si avvicina alla stanza l’infermiere di turno. In questa notte di festa, come ormai da anni, c’è Donald, che con tatto si rivolge al professore.
«Professore, si calmi, è solo un brutto sogno! Respiri profondamente. Guardi che bella la stella polare. La luna è spendente. Si calmi e stia buono, ora arrivo con la medicina.»
Donald lo conosce bene: sa che ogni tanto si dissocia parlando di cose strane, complotti, virus provenienti dallo spazio, scene già viste. Oggi il professore, però, sembra molto più agitato del solito. Con fare amichevole ma deciso, continua a rivolgergli parole di serenità abbracciandolo al petto, perché stavolta l’attacco dissociativo è troppo forte e non bastano le sole parole per tranquillizzarlo.
Il professore appare scosso, continua a urlare rannicchiato in posizione fetale sul letto, stringendo al petto il compagno peloso a quattro zampe. La stanza è desolatamente spoglia: oltre al giaciglio, gli unici arredi sono un armadietto metallico a due ante scorrevoli, una sedia e un tavolino in formica bianca a un’unica gamba centrale di dubbia stabilità.
Il locale odora di ospedale e nell’aria c’è un pungente profumo di disinfettante a base alcolica. L’anonimo bianco ghiaccio delle pareti, segno di una recente tinteggiatura, evidenzia la presenza di un telescopio fissato a un cavalletto vicino alla finestra con le sbarre, sempre puntato verso il cielo. Sul muro, appesa con due strappi irregolari di scotch di carta, c’è una mappa delle costellazioni, un ricordo lontano, ormai quasi completamente sbiadita dal sole.
Donald è un omone di cento chili distribuiti su poco più di un metro e settanta, una figura imponente. Ha una piccola testa spigolosa agganciata a un busto enorme con due robuste braccia da contadino. A prima vista incute una forte soggezione, poi, conoscendolo, si rivela un’anima buona. All’apparenza sembra anche molto più anziano, almeno di un decennio rispetto alla sua età, a causa della fronte da sempre quasi completamente stempiata. La calvizie: suo cruccio e vergogna… non si è mai visto un cinese pelato! Un cinese fuori dai classici stereotipi asiatici.
Si trova ancora in corsia a lavorare in prima linea e le rughe sulla fronte svelano tutta la sua stanchezza dovuta alle notti passate in guardiola. Un solo pensiero lo fa andare avanti nonostante la fatica: tra qualche mese la pensione e la pesca, la sua grande passione.
È lunedì e la settimana inizia bene con un turno di notte a vigilare sui matti.
«Cazzo, mi scoppia la testa.»
Non era proprio giornata. Lo stipendio si era già volatilizzato a causa di suo figlio che li aveva bruciati in una sola notte di scommesse. Era un ragazzotto di trent’anni dai molti capelli ma dalla testa bacata, con una smisurata passione per il gioco d’azzardo, soprattutto quello illegale. Non si scherzava con i brutti ceffi, gentaglia dai denti d’oro e pugni d’acciaio.
La moglie era scappata tanto tempo prima e toccava a lui ripianare i debiti contratti da quel fannullone di suo figlio.
Donald non ha propria voglia di ascoltare quel vecchio visionario ottantenne. Questa non è la notte giusta per assecondare le sue sconclusionate idee su alieni che defecano virus patogeni sulla Terra. Aveva sentito più volte, forse anche troppe, le sue idee complottiste per dargli retta. Il professore sosteneva che fosse tutto vero, era già accaduto parecchie volte e l’ultima solamente cent’anni prima. Chiaramente si era documentato: la Spagnola non aveva origini terrestre, ma erano gli alieni che defecavano virus. Era certo fosse così, glielo avevano detto loro sull’astronave interstellare. Sì, proprio loro, due re alieni con le sembianze di calamari giganti.
Mah, è proprio matto. No, oggi proprio no!, pensa dentro di sé.
Mao è un vecchietto tanto simpatico quanto bizzarro e sebbene non lo meriti, non c’è altra soluzione: procedura d’urgenza. Con una siringa, Donald gli spara in vena otto milligrammi di Lorazepam, dose doppia, capace di stendere un cavallo. In soli due minuti il professore si accascia. È steso nel letto immerso in un profondo sonno chimico e l’uomo lo guarda dormire, adagiandogli sul corpo immobile una coperta marrone di lana dal retrogusto di naftalina. Stremato, si allontana con le palpebre appesantite dalla stanchezza ma, prima di tornare in guardiola, si gira verso di lui e gli sussurra: «Buonanotte MicioMao».
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