CAPITOLO I
RUDBECKIA
- Se c’era un posto in cui Clint Rose si sentiva al sicuro e privo di preoccupazioni, era la sua serra, che si ergeva a poche decine di metri dalla sfarzosa villa di sua proprietà, posizionata su una piccola collinetta non troppo distante da Buttercup City.
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Clint, distinto signore calvo afroamericano, era vestito, come di consuetudine, con uno dei suoi costosissimi abiti eleganti, e guardava la pioggia battere insistente sulle vetrate della struttura. Amava stare lì con le sue piante, sentirsi parte di una natura così pura e innocente, e poter guardare il mondo attraverso le pareti trasparenti tenute insieme da uno scheletro in ferro battuto. Con il dovuto distacco.
Inebriato dalle fragranze più disparate, poteva vedere, in lontananza, la silhouette della città nella quale era nato, quella Buttercup City dal fascino malinconico, in cui i giorni annuali senza pioggia si potevano contare sulle dita di una mano.
Fissava i grattacieli che si ergevano nel centro della città, come se in quei primi anni Settanta la modernità fosse fiorita come un germoglio su una strada asfaltata, dal momento che intorno c’erano solo piccole case e ruderi, carcasse di un passato ormai lontano e decadente. Nelle zone periferiche della città, invece, fabbriche sbuffavano fumi che percorrevanotutte le gradazioni di colore, dal nero al grigio, e campi inquinati, nelle migliori delle ipotesi, davano frutti velenosi. Il tutto, cosa ancor meno accettabile per Clint, era aggregato senza il minimo senso estetico.
Il signor Rose aveva sempre visto quella città per quello che era: un cadavere in putrefazione sulle rive del Mississippi. Immaginava i suoi abitanti come piccoli vermi che scavavano nelle cavità del suddetto corpo, cercando di masticare fino all’ultimo millimetro di pelle commestibile rimasta, ma che, inevitabilmente, si sarebbero estinti quando fossero rimaste solo le ossa.
Le gocce di pioggia, che formavano qualcosa di simile alle macchie di Rorschach sulle vetrate della serra, riportarono Clint al presente. Uno sguardo al fiume, che procedeva la sua corsa noncurante delle sorti degli umani, per poi voltarsi verso il tubo di gomma arrotolato in modo ordinato al centro della serra. Si tolse la giacca del completo elegante e la poggiò sulla spalliera di una sedia, anch’essa in ferro battuto come il telaio della serra, posta lì vicino. Si arrotolò lentamente le maniche della camicia, coperta da un panciotto, con lo zelo di chi prende un semplice gesto come un rituale da completare alla perfezione.
Quando le maniche giunsero alla metà dell’avambraccio, estrasse la pistola che teneva infilata nella parte posteriore dei pantaloni e la posò sul tavolino vicino alla sedia, poi prese con la mano sinistra l’estremità del tubo di gomma e con l’altra ruotò la manopola del rubinetto.
Cominciò allora a dare acqua alle sue amate piante e ai suoi amati fiori.
Defio (proprietario verificato)
Ottimo romanzo. Vi consiglio di fare tutti un giro per Buttercup City!
elena tacca (proprietario verificato)
Piacevolmente stupita da un genere letterario che di solito non preferisco! È proprio vero che allargare il proprio orizzonte e punto di vista non fa che arricchirci! Ecco perché consiglio questa lettura travolgente a chiunque desideri “semplicemente” un bel libro! I personaggi e, insieme i dettagli che li caratterizzano, non li scorderete facilmente!
Francesca (proprietario verificato)
Storia avvincente e ben scritta. Molto scorrevole, un racconto che ti proietta all’interno della vicenda…una storia diversa da tante altre! Intrecci e intrighi che tengono sulle spine il lettore.
Personalmente, ha stimolato diversi spunti di riflessione su un argomento che molti tendono ad esorcizzare, particolare e azzeccato il simbolismo legato ai fiori. Lo consiglio!