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Rosso Carminio

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Artista “maudit”, genio incompreso e tormentato, spirito bohémien: Amedeo Modigliani è stato tutto questo e molto di più. E chi meglio delle donne che lo hanno amato può restituirci un ritratto inedito, sincero, talvolta spietato? Tra le pagine di questo romanzo scopriamo un nuovo volto di “Dedo”: non solo l’artista d’avanguardia, ma anche l’uomo, con tutte le sue fragilità messe a nudo. Nella Ville Lumière di inizio Novecento, tra i bistrot e il fermento della Belle Époque, seguiamo le vicende di Modigliani, narrate in parallelo a quelle della sua amata musa Jeanne Hébuterne e di Alice, cantante di cabaret e testimone privilegiata di un’epoca irripetibile.

1. A proposito
di mia madre

Parigi, 11 marzo 1909

Cara Nicole,

pare che la dea bendata si sia finalmente accorta di quanto fosse in debito nei tuoi confronti. Così, per farsi perdonare, ti ha concesso una di quelle opportunità che molto raramente capitano una seconda volta nella vita. Non lo dico tanto per dire; se mio marito, attraverso il suo studio legale, non avesse tolto al proprietario alcune castagne dal fuoco, non avrei certo saputo che la legatoria Moreau cercava una praticante. Perciò, convincere Monsieur Gaston a prenderti in prova è stato un gioco da ragazzi.

Ora, conoscendoti, immagino che ti saresti aspettata ben altro. Fare l’apprendista in una legatoria potrà sembrarti svilente, ma converrai che rilegare libri rappresenti pur sempre qualcosa di più dignitoso che abbassarti a servire gente ipocrita e irriconoscente. Del resto, tu stessa mi hai assicurato che saresti disposta a fare qualunque cosa, persino la prostituta – sono parole tue –, pur di concederti una seconda possibilità. Ebbene, il destino te ne offre una su un piatto d’argento.

Che altro dirti? Giunti a questo punto non ti resta che fare la valigia. Presto ti farò avere il denaro per il viaggio. In quanto all’alloggio, mio marito è impaziente di cederti la stanza degli ospiti. D’altronde, non poteva fare diversamente: gli ho parlato così tanto di te, di quanto ti sia debitrice, che ora non sta più nella pelle.

Lo so, me lo hai ripetuto più volte: se a cadere in acqua fossi stata io, tu stessa non avresti esitato a buttarti. Ritengo che sia così. E tuttavia non posso dimenticare lo sforzo che hai dovuto sopportare per impedire alla corrente di trascinarmi via. Quel tuo gesto così generoso e pieno di coraggio non l’ho mai dimenticato. Perciò poterti aiutare a costruire un futuro migliore mi offre finalmente l’occasione per potermi sdebitare. Lo faccio con gioia ma, ahimè, anche con profonda amarezza.

Come posso spiegarti? Ogni rosa reca le sue spine, io stessa ne so qualcosa. Ricordi quando la mia famiglia decise di trasferirsi a Parigi? I giorni che precedettero la partenza non feci altro che piangere; non volevo proprio saperne di lasciarti. Pensavo che non avrei potuto vivere senza la tua amicizia. Per questo ho trascorso molto tempo a odiare mio padre. Ma oggi, a distanza di anni, sento di poterlo ringraziare. Proprio così: infliggendomi una sofferenza mi ha regalato opportunità che, se fossi rimasta in Borgogna, non avrei potuto cogliere. Certo, non ti nascondo che a volte, ripensando ai vecchi tempi, provo una certa nostalgia per il nostro piccolo borgo, ma non tornerei mai a Châtillon-sur-Seine se non per trascorrervi qualche giorno di vacanza.

Oh, Nicole, perdonami se ci sto girando intorno, ma come faccio a dirti che dovrai separarti da tua figlia? Hai capito perfettamente! Purtroppo non si potrà fare altrimenti. Credimi, non essendo madre non posso neppure immaginare quanta pena ti dovrà costare il doverti separare da lei ma, ahimè, per ragioni del tutto personali, e che di certo non condivido, mio marito non si rende disponibile ad accogliere entrambe. E questo nonostante gli abbia assicurato, più e più volte, quanto Alice sia una bambina fin troppo quieta e silenziosa… ma tant’è, Pierre non ha voluto sentire ragioni. Ora spero solo che tutto ciò non rappresenti per te un motivo di rinuncia; ti prometto, in nome della nostra vecchia amicizia, che non appena mi sarà possibile provvederò io stessa a farla venire.

Ma, in fondo, a pensarci bene, converrai che è meglio così. Non lo dico per consolarti. In fin dei conti, occuparti di Alice in una città come Parigi rappresenterebbe per te solo un impiccio. Se vuoi veramente rifarti una verginità, come hai più volte asserito, almeno per il momento dovrai pensare solo a te stessa. Credimi, non è una forma di egoismo questa! Ti dirò di più, sono convinta che col tempo Alice capirà che sua mamma non l’ha abbandonata invano e che, se l’ha fatto, è stato solo per il suo bene.

Te l’assicuro, meglio di così non si poteva chiedere. Protetta dall’amore di sua nonna, tua figlia potrà crescere al sicuro, lontana da tutte quelle insidie e tentazioni che per i suoi undici anni le risulterebbero troppo pericolose.

Ti aspetto con ansia.

Tua Isabelle

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Nello scrivere quella lettera, dubito che Isabelle avesse idea di quale posto occupassi, all’epoca, nell’animo cupo e tormentato di mia madre; altrimenti perché preoccuparsi così tanto del dolore che riteneva di doverle infliggere? In effetti, quando salì sul treno, non vidi traccia di quel sentimento. Piuttosto, ebbi la sensazione che agisse con disinvoltura, come se lasciare una figlia di undici anni fosse la cosa più semplice e naturale di questo mondo.

Del resto maman era fatta così, e siccome in qualche modo dovevo pur sopravvivere, col tempo mi convinsi che il suo non era egoismo – come invece pensava nonna – quanto, piuttosto, una grandiosa dimostrazione d’affetto. E al diavolo se nel congedarsi da me non si era lasciata andare a tutte quelle smancerie, che so, una carezza, un bacio, una lacrima di cui, evidentemente, potevo fare a meno. Ciò che contava, e che faceva di lei una vera madre, era il fatto che prima o poi sarebbe tornata a prendermi.

Già, ma per quale strana alchimia, dentro di me, un semplice desiderio o, se preferite, una speranza si era trasformata di colpo in un’incrollabile certezza? Dopotutto maman aveva solo detto che sarebbe partita, che la sua vecchia amica le aveva trovato un lavoro e che, almeno per il momento, sarei rimasta a casa con la nonna. Come mi avrebbe spiegato, anni dopo, il mio analista, stavo semplicemente ingannando me stessa. In effetti, maman non mi aveva promesso nulla. Ma quella sua espressione, “almeno per il momento”, proprio perché così indeterminata, mi aveva spalancato una porta, e in una porta aperta ci si infila di tutto, persino l’improbabile.

In compenso, mettendo pesanti zavorre alla mia fantasia, nonna mi impediva di volare. Ogni volta che fantasticavo su Parigi scuoteva la testa ripetendomi di non farmi strane idee. In effetti, non aveva tutti i torti: fin dalla sua prima lettera, di tornare a prendermi maman sembrava persino escluderlo. In un passaggio scriveva che Parigi “è una città troppo grande, dove ci si perde facilmente” e che, proprio per questo, era contenta di sapermi “al sicuro tra le galline”. In quella successiva dichiarava che il lavoro la impegnava tutto il “santo giorno” ma che, per fortuna, non avendo “altri pensieri per la testa”, riusciva comunque a fare “tutte le sue cose”. Insomma, né in quella, né nelle lettere seguenti, vi erano accenni, allusioni, indizi che avrebbero potuto legittimare, nel mio animo, una qualche forma di ottimismo. Al contrario, più passava il tempo, più si faceva largo, dentro di me, il sospetto che in realtà maman non mi volesse tra i piedi. Ma, come al solito, non riuscivo a fargliene una colpa. L’idea che, andandosene, si fosse sbarazzata di sua figlia mi sarebbe risultata ancor più insopportabile che il dover rinunciare per sempre ai miei desideri. Per questo, mentendo a me stessa, mi convincevo sempre di più che avesse cose ben più importanti da fare che pensare alle sciocche fantasie di una ragazzina. Dopotutto sembrava proprio che i fatti le dessero ragione. Si era ambientata, lavorava sodo e non chiedeva di meglio. Si concedeva anche il lusso di guardare le vetrine lungo i boulevard con la sua amica del cuore. In una di queste passeggiate aveva persino acquistato un cappello alla moda, lei che non ne aveva mai posseduti. Scrive:

Ho acquistato persino un cappello. È molto elegante. Troppo per me. Io, infatti, non lo volevo proprio prendere, ma Isabelle non ha voluto sentire ragioni. Ti dona, mi dice, esalta il tuo ovale, e stupidaggini di questo genere. Alla fine, sono uscita dal negozio con molto imbarazzo.

Conservo ancora quel cappello; insieme a un rosario è tutto ciò che rimane di mia madre. Si tratta di un modello cloche di lana cotta, color tabacco, acquistato, a giudicare dall’etichetta, presso il prestigioso atelier di Caroline Reboux. Se è così, dev’essere costato una fortuna. Proprio per questo, è probabile che in realtà le sia stato regalato da Isabelle. Mia madre non avrebbe potuto permetterselo. Ma il punto è un altro. In quella lettera, pur ribadendo il suo imbarazzo, maman ci tenne a farci sapere che, tutto sommato, persino una come lei poteva indossare un cappello elegante e alla moda. Perciò, per quale motivo avrei dovuto rovinarle, con la mia sola presenza, un momento così spensierato, se non addirittura felice? Non ne avevo certo il diritto! Pertanto, era giusto che rimanessi con la nonna; maman aveva già sofferto abbastanza.

Così, ogni volta che pensavo a Parigi e alla vita che pulsava frenetica lungo i boulevard, mi capitava di trascorrere il tempo a fissare le colline che, in lontananza, si allineavano immobili davanti ai miei occhi. Un giorno che ero apparsa più triste del solito, per consolarmi la nonna mi comprò un abitino rosso, stretto in vita e con un grazioso colletto bianco, troppo pretenzioso, a dire il vero, per la nostra modesta condizione. Ero contenta, certo, ma mi chiedevo in quale occasione avrei potuto indossarlo. Non sospettavo, neppure lontanamente, che di lì a breve lo avrei messo per salire sul treno, quello stesso che finalmente mi avrebbe portata a Parigi.

«Ti sta proprio a pennello!» aveva esclamato la nonna mentre lo rimirava tutta raggiante.

Ricordo che l’avevo guardata perplessa. Abituata a vestire come una stracciona, dentro quell’abito fiammeggiante non mi ci vedevo proprio.

«Non ti piace?» aveva chiesto allora la nonna, delusa.

«Sì, nonna, è bellissimo.»

«Ma…?»

«Non mi ci vedo, ecco!»

«Che sciocca che sei! Questo vestitino è solo per le grandi occasioni, quelle veramente speciali!»

«Come quando andrò a Parigi!» esclamai entusiasta.

Ricordo che la nonna mi guardò con un’espressione seria. Troppo seria per non denotare qualcosa di definitivo.

«Non penso che tua madre voglia questo» disse infatti. «Tu la conosci, sai com’è fatta… Parigi è una città troppo grande per te,» soggiunse «troppo pericolosa. Vedrai, un giorno la ringrazierai per averti fatto rimanere.»

«Non credo che lo farò!» risposi decisa e con le lacrime agli occhi.

2024-08-26

Aggiornamento

Ringrazio Tutti coloro che, con il loro sostegno, hanno permesso a Rosso Carminio di centrare l'obiettivo che lo porterà alla pubblicazione e alla sua distribuzione in libreria. Senza il vostro aiuto non ce l'avrei mai fatta.

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Massimiliano Cappelletti
Massimiliano Cappelletti è nato e cresciuto a Perugia, dove vive e lavora come psicoterapeuta. Si è laureato a Roma dove, successivamente, vi ha conseguito la specializzazione. Oltre che a scrivere ama leggere, viaggiare e collezionare miniature. Coltiva vari interessi culturali tra cui l’arte, la storia e la mitologia. “Rosso carminio” è il suo romanzo d’esordio.
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