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Consegna prevista Maggio 2025
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In ogni famiglia il legame è quello del sangue e il suo valore è ambivalente; il sangue può essere simbolo sia della vita che della morte.
In ogni famiglia si raccontano aneddoti di un qualche parente molto speciale. Più si risale a ritroso nel tempo più quelle storie s’ammantano di mistero, tanto da diventare leggende di famiglia. Col tempo si aggiungono o si tolgono particolari alla vicenda, tanto da non saper più distinguere tra verità e finzione.
Ho voluto raccontare le storie del “mio sangue” e laddove terminava la realtà conosciuta ho iniziato a crearla, forse a scoprirla.
Alla storia di ogni mio avo ho associato un libro che è stato importante nella mia esistenza e che diventa cornice, ambientazione, oppure soltanto atmosfera del mio racconto. In fondo, tutti i libri che hanno lasciato traccia nella mia vita sono anch’essi “sangue”; i loro autori a me parenti, e rimangono ancora nel mio sistema cardiocircolatorio…

Perché ho scritto questo libro?

Per far riflettere sul concetto di “rapporto di sangue”. Ciò che siamo non è casuale; oltre che dalla genetica siamo plasmati dagli esempi di vita di chi ci ha preceduto, anche se lontani nel tempo. La famiglia è un valore ambivalente che può diventare una “sanguinosa trappola” se esclude il resto dell’umanità e delle culture. Diventa invece un valore se concettualmente si allarga; se si traduce in affinità elettive.

ANTEPRIMA NON EDITATA

L’ILLEGITTIMO POTENZIALE

La luce al neon è orribile. Chissà perché si ostinano a metterla negli ambulatori.

Andrebbero eliminati anche i camici bianchi e sostituiti con dei completini verde-chiaro. Dicono che il verde chiaro rilassi.

Con quei camici bianchi, soprattutto se un po’ logori, sembrano dei macellai.

-Signora abbiamo finito. Adesso stia stesa ancora per un po’ e si rilassi.

Disse il medico, premendo talmente forte che le sue dita parvero penetrarle il costato. Forse l’avrebbero trapassato davvero e poi, con tutta la mano, le avrebbe afferrato il cuore. Una stretta micidiale.

-Che possibilità ci sono che sia maligno?

-Diciamo al cinquanta per cento.

-Parli chiaro, Dottore. Non ho paura, voglio sapere tutto.

-In caso dovesse essere maligno non le asporteremo tutta la mammella, basterà recidere il tumore e una parte intorno di tessuto sano. Rimarrà una conca che potrà, eventualmente, far ricostruire con un intervento plastico. Dovremo anche asportare i linfonodi dall’ascella sinistra. Questo le procurerà qualche fastidio al braccio… parecchi fastidi al braccio… forse per un certo periodo sarà meglio che disdica tutti i concerti.

-Tornerà a posto il braccio?

-Normalmente, sì.

-Altro?

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-Dopo l’operazione dovrà sottoporsi alle radiazioni al cobalto. Non so ancora dirLe per quanto tempo, dipende dalla tipologia del tumore e per quale terapia decideremo.

-Ha dimenticato niente?

-Se fosse maligno dovremo provocarle una menopausa forzata. Nel peggiore dei casi le asporteremo anche le ovaie e l’utero.

-Insomma, mi svuoterete di tutto ciò che fa di me una femmina! Lo sa che gli animali rimangono fertili fino all’ultimo istante della loro vita? Solamente gli umani vanno in menopausa.

-Beh, allora una ragione ci sarà, forse per gli umani la procreazione non è l’unica forma di fertilità. Lo dovrebbe sapere bene Lei col mestiere che fa; forse lo studio e l’esecuzione di un brano musicale sono qualcosa di simile alla gestazione e alla nascita di un bambino, e sicuramente meno violenti e dolorosi! Il mio primo incarico dopo la laurea fu nel reparto maternità, ho una certa esperienza nel settore…Dal nostro primo vagito in questo mondo siamo confrontati con la violenza, sembra essere alla base di tutto il nostro esistere. In un certo senso potremmo dire che tutto ciò che è compassionevole e misericordioso l’ha inventato l’uomo, non di certo la natura….Quanto a Dio rimanderei la questione…

Ad ogni modo fino a quando non sapremo i risultati della biopsia, la invito a prendere precauzioni per i rapporti sessuali; in nessun caso possiamo correre il rischio che Lei rimanga incinta! Venga, adesso l’aiuto ad alzarsi.

Il Dottore era abbronzato; a giugno era abbastanza normale. Portava un taglio a spazzola che metteva ancora più in evidenza la sua calvizie incipiente.

Le dette la mano destra e lei accolse l’offerta.

La mano del dottore era forte ma non rude. Era una mano piena. Piena di un sacco di cose, che non si vedono ma si sentono. Tenerezza e protezione, tanto per cominciare.

-Lasci la fasciatura orizzontale per una settimana e non bagni la ferita. Sotto ci troverà delle fascette a croce, queste invece le deve tenere per un’altra settimana e ci può anche fare la doccia. Eviti il bagno caldo.

-Io odio la doccia ed amo il bagno caldo!

Continuava a tenerle la mano. Lei sedeva sul lettino con i capelli ramati che le cadevano disordinati sulle spalle.

-Questa della trappola per topi la racconterò ai miei colleghi, si faranno quattro risate!

-Strano che Lei non ci avesse mai pensato. Quell’aggeggio…come si chiama?

-Il mammotome.

-Sì, quello…che nome insulso, sembra il nome di un orco delle favole!

-In effetti, dopo che me l’ha detto, realmente, ad ogni taglio della pinza, sembra che scatti una trappola per topi!

-Ma cos’è che La fa tanto ridere, Dottore? Mi ha appena bucato e affettato la parte più bella del mio corpo e adesso ride???

-Non so se il seno sia la parte più bella del Suo corpo, purtroppo non ho visto il resto, ma sicuramente il Suo umorismo è la parte più bella del Suo spirito.

-Charmeur!

Le lasciò andare la mano. Macellaio!, Pensò lei.

-Perché non parte per un po’? Tanto, prima di quindici o venti giorni non avremo i risultati dal laboratorio.

-Che bellezza andarsene in giro con una spada di Damocle sulla testa!

-Qual è la differenza? È forse sicura che domani sarà ancora viva? Ci rifletta; in fondo non c’è alcuna differenza, non è cambiato nulla nella Sua vita, a parte forse qualche seccatura come il mammotome- trappola per topi.

-Lei sì, Dottore, che sa come consolare le Sue pazienti!

-Statisticamente è più facile che Lei muoia in un incidente stradale che di cancro.

-Mi sta dicendo che dovrei riprendere a fumare?

-Non ho detto questo. Il cancro alla mammella è il più curabile, e poi ce ne siamo accorti in tempo; sembra che non ci siano metastasi.

-Ma come? Mi spacco le palle da quando avevo quattordici anni con Yoga, Qui Gong, meditazione, alimentazione sana biologica rigorosamente vegetariana, tè verde e vitamine, camminate all’aria aperta, movimento giornaliero, penso pure positivo e poi mi deve venire il cancro per qualche sigaretta al giorno?!

-Non ha sentito dolore durante la biopsia, vero?

-Non cambi discorso, Dottore! No, non ho sentito dolore con tutta quella roba che mi ha iniettato! Ho provato solo schifo: uno schifo tremendo.

-Beh, fa bene ad essere vegetariana, però non è che le piante siano meno inquinate della carne, e poi soffrono anche loro…

-Ecco, come pocanzi dicevo, Lei ha sempre la parola giusta al momento giusto! Cos’è questa storia adesso delle piante che soffrono?

-Personalmente non ho mai creduto che un’insalata o una patata fatta a pezzi soffrissero meno di un maiale sgozzato. Il fatto che le piante non abbiano gli occhietti non significa che non soffrano, a modo loro, certo, ma non soffrono meno di noi o degli animali. Facciamo sempre l’errore di giudicare a nostra immagine e somiglianza, pensiamo di essere noi la misura di tutta la vita su questo pianeta.

-E allora cosa faccio? Muoio di fame? Qualcosa dovrò pur mangiare!  E mi dispiace tanto per le patate ma…

-Le patate tagliate gridano.

-Cosa fanno le patate?!

-Sì, le assicurano che le patate gridano. Ma le piante sanno essere anche manipolatrici, alcune sono dei veri e propri killer, insomma in fondo ci assomigliano più di quanto pensiamo.

-Una patata serial killer?

-No, le patate no, quelle sono bonaccione.

-Ah, ecco, mi dica, Dottore, non potrebbe farmi la lista delle stronzette del mondo vegetale? Potrei mangiare solo quelle!

-Questa vita è concepita così, potremmo dire male o forse semplicemente secondo un criterio a noi sconosciuto; una logica sua forse ce l’ha e se una logica invece non ce n’è, beh… a tutti modi questa vita, così com’è, è fondata sulla violenza e sulla morte del prossimo. Ogni essere umano deve uccidere per sopravvivere. È la struttura portante della vita.

-Cosa?

-L’assassinio degli altri e di noi stessi. La morte.

-Benissimo! Guardi, Dottore, torno a casa di ottimo umore! Volendo concludere con un po’ di ottimismo: e se il mio cancro dovesse essere benigno?

-Comunque dovrà operarsi. In questo caso Le verrà asportato solo il nodulo, rimarrà una cicatrice minuscola, non si vedrà nulla, potrà continuare a prendere il sole in topless.

-Non ho mai preso il sole in topless e non inizierò dopo l’intervento. Cosa Le fa pensare che io abbia la consuetudine di prendere il sole in topless?

-Appena passa l’effetto dell’anestesia, possono insorgere dei dolori e la mammella si gonfierà. Porti un reggiseno spesso ma senza supporti di plastica o metallo.

-Insomma niente push up!

-A quanto vedo non ne ha ancora bisogno. Indossi un reggiseno che tenga la mammella un po’ stretta e ci metta del ghiaccio sopra se dovesse gonfiare troppo. Intanto che si riveste, vado a prenderLe degli antidolorifici; se ne avesse bisogno stanotte.

-Meglio il treno o la macchina? Per il viaggio, intendo…

-Meglio il treno, tenga a riposo il braccio sinistro per qualche giorno.

-E io che pensavo di andare a casa a studiare il Concerto per pianoforte ed orchestra di Ravel in Re maggiore!

-La cintura di sicurezza della macchina può darLe dei fastidi. Non porti valigie pesanti, mi raccomando. Cos’ha di speciale quel Concerto di Ravel?

-È scritto per la sola mano sinistra.

-Ravel voleva ingraziarsi i pianisti mancini?

-No, lo scrisse per un pianista che aveva perso il braccio destro nella prima guerra mondiale…

Le dette ancora la mano. Questa volta era vuota, pronta a lasciar andare tutto, anche lei.

-In fondo la vita è dispersione…

Continuò il medico mettendo a posto i ferri, lentamente e con accuratezza.

ogni giorno viene meno qualcosa; gradualmente dobbiamo rinunciare a qualcosa o qualcuno fino a quando non resterà più granché. È una stupidata cercare durante l’esistenza di conservare, bisognerebbe invece disperdere il più possibile.

I capelli rossi furono presto arrotolati in una crocchia. Adesso sembravano più scuri.

Lei lo guardò incredula. Il dottore continuava a filosofeggiare.

-Nemmeno il corpo rimane su questa terra.

-Non mi dirà che crede nella resurrezione della carne!?”

Lo disse con un tono più canzonatorio che scherzoso, ma il medico sorrise e non parve per nulla offeso.

-Beh, in un certo senso si disperde anche quello, da qualche parte nell’universo finirà; consideri che il nostro corpo è in media -a seconda dell’età-  costituito per il settanta per cento di acqua, e cosa succede quando moriamo? Evapora! E l’elettromagnetismo del cervello? Si disperde. Credo che nella bara non rimanga più del venti per cento del nostro corpo.

-Dottore, Lei ha delle idee veramente bizzarre!

-Arrivederci. Mi mandi una cartolina.

Il dottore la guardò e sorrise. Aveva dei bei denti. Troppo bianchi e troppo regolari. Forse erano finti.

-Arrivederci, Dottore, mi chiami appena arrivano i risultati della biopsia.

Uscì scortata dai sorrisi cementati delle infermiere. Quelli sembravano sorrisi di denti veri. Se avesse avuto un martello, glieli avrebbe fatti saltare in mille pezzi.

Il giorno dopo andò a piedi alla stazione ferroviaria e comprò un biglietto per Arezzo.

Mise poche cose in valigia. Nessun libro. Solo la partitura del concerto di Ravel in Re maggiore e una foto. Smontò la foto con cautela dalla cornice d’argento che la conteneva. L’estrasse con delicatezza e la mise in una busta che, a sua volta, infilò dentro un quaderno. Quindi nello zaino; per non sgualcirla.

Era una foto di un “Cabinet Portrait”, anno 1915. C’erano quattro uomini, il penultimo a destra con la sigaretta era suo nonno Giacobbe. Dava la mano destra al suo migliore amico, Giacomino. Chissà quante cose importanti, ma che non si vedevano, c’erano in quelle mani! Anche Giacomino teneva la sigaretta. Sicuramente i vestiti erano prestati dal cabinet, suo nonno non possedeva certo abiti così lussuosi! Lui e Giacomino si erano fatti fotografare prima di partire per la guerra. Si erano fatti immortalare insieme. Insieme erano partiti per il fronte e insieme avevano combattuto.

La mano destra che il nonno dà a Giacomino l’avrebbe persa in guerra, era rimasta da qualche parte sull’Isonzo.Brandelli di carne di suo nonno si erano mischiati alla terra, il suo sangue era fluito nelle acque. Allora pensò alla mano destra che il Dottore le aveva dato per alzarsi dal lettino. Se suo nonno Giacobbe era sopravvissuto senza un braccio, allora ce l’avrebbe fatta anche lei senza un seno!

Il nonno non lo aveva mai conosciuto. Morì prima della sua nascita. Eppure, in quel momento, sentì che nessuno le era più vicino del nonno. Gli accarezzò la faccia col dito. Tutta la grandezza di un volto ridotta a qualche centimetro di carta…

E il suo minuscolo dito si era allora dilatato all’immensità di una carezza rimasta nel limbo dei desideri sospesi.

Questo solo, a volte, rimaneva degli esseri umani. Una foto.

Le cose inanimate perdurano di là dei loro creatori o soggetti animati. Queste due parole: Animato, Inanimato, presupponevano che chi avesse un’anima fosse in grado di muoversi.

Scrutò il nonno. Sangue del suo sangue. Gli occhi un po’ spiritati. Il labbro arricciato come una conchiglia e la narice lunga. Le spalle spioventi.

Decise di partire dopo qualche giorno.

Il giorno della partenza per Arezzo Sophia Gubaidúlina, la gatta siamese, si parò davanti alla porta. La guardò con disprezzo. Cercò di rassicurarla sulla puntualità della vicina che sarebbe venuta a portarle il tonnetto. Gli occhi azzurri la fissavano appena socchiusi, superbi e beffardi al contempo. Si leccò una zampa con noncuranza e poi lentamente se ne andò con passo felpato nella stanza da letto, ignorando gli squittii adulatori e i ghirigori vezzeggianti che uscivano, invano, dalla sua bocca umana.

Afferrò la valigia e, piena di sensi di colpa, uscì.

Durante il viaggio in treno non riuscì a leggere. Tanto meno la partitura di Ravel le destava il benché minimo interesse.

Aveva fatto una breve ricerca circa la presenza di ordini di clausura nelle prossimità di Arezzo; a quanto pareva le uniche monache di clausura, ancora presenti, erano le Carmelitane Scalze. Accese l’I Pad ed andò in internet; cercò un’immagine di Santa Teresa a cui s’ispirava l’ordine delle Carmelitane Scalze. Immediatamente le apparve la transverberazione di Santa Teresa del Bernini. La guardò a lungo quella monaca.

Bell’esempio lasciava il Bernini di quello sconquasso del corpo chiamato estasi! Pareva orgasmo. E meno male che la chiamano “Arte Sacra”! Il sorrisetto dell’angelo è da sporcaccioncello; come quei monelli -cresciuti troppo in fretta- che abbordano le turiste per strada. In una mano tiene la freccia mentre l’altra solleva un lembo della veste della Vergine in preda a evidente “Falloforia”. Lo spudorato è pronto a colpire nuovamente, ma dove? Seguendo la traiettoria del dardo, ci si rende conto che non colpirà all’altezza del cuore bensì al ventre della donna. Oppure sotto la sottana?Bernini, che di solito tendeva le sue creature marmoree verso il cielo, invece di approfittare del miracolo della levitazione di Teresa, la fa sprofondare ed avvolgere nella propria veste, come chi sta annegando nel mare. Le labbra socchiuse sono di una donna che si offre, non certo di una Santa che si nega. E non c’è dubbio che queste labbra socchiuse sembrino quelle del busto di Costanza Bonarelli; l’adultera doppiamente fedifraga; del marito e del primo amante! E chissà che, in quella freccia che sta per colpire, Bernini non pensasse al rasoio di cui fu mandante e che massacrò la faccia della bella Costanza. Forse quella Santa Teresa fu un gesto simbolico per chiedere perdono di quell’ atrox et grave delictum che punì -come sempre in una società maschilista-  soprattutto Costanza. Le Carmelitane Scalze non ci pensano quando pregano davanti alla loro icona capostipite? La traiettoria del dardo all’altezza del ventre; lì si era concentrato il dolore di Santa Teresa. E il suo, invece, dove si era concentrato? Il suo dolore, forse, era imploso in quel pallino nero conficcato nel seno sinistro; un chiodo proprio all’altezza del cuore. Forse sarebbe bastato estirparlo affinché tutto il suo dolore cessasse.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Raffaella Passiatore
Raffaella Passiatore, scrittrice e drammaturga è nata in Lombardia.
Studi musicali e umanistici a Bari, Vienna e Salisburgo. Si è trasferita in Austria nel 1987.
A Salisburgo ha insegnato Italiano, Pianoforte e Musiktheater. Numerose produzioni teatrali in Germania, Austria e Italia. Vincitrice di vari concorsi internazionali, è l’unica italiana ad aver ottenuto il primo premio al concorso Schreiben zwischen den Kulturen di Vienna nel 2004. Ha pubblicato per: Exil Verlag, Tandem Edition, Florestano Edizioni, Orto della Cultura. Dal 2020 vive a Padova.
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