È accettazione – lunga, travagliata, piena di interrogativi
e di autopunizioni – quando a undici anni
scopri davvero come funzionano il mondo e la natura
e inizi a sentirti diverso, peculiare. Te ne stai lì,
accovacciato su di un masso ai piedi di un’ombrosa quercia,
sul terreno in pendenza della tua casa in campagna,
perché in fondo è così che, ancora bambino, immagini
la vita d’ora in avanti: una pendenza erta da scalare, di
fronte alla quale le tue gambe tremano come se doves-
sero affrontare i maestosi duemila metri del monte Sirino.
Ti poni domande e ti fornisci da solo improbabili
risposte, conscio del fatto che su certi temi non hai e
non avrai nessuno con cui confrontarti.
La pazienza, poi, è tolleranza. Quella di cui ti
servi a diciassette anni quando in giro ti si fa
simpaticamente notare che esci sempre con le femmine
e, soprattutto, che fai discorsi da femmina. Quando
provi l’emozione di ricevere in dono un mazzo di fiori
mentre sei sulla panchina in villa a chiacchierare con
le amiche e, per un attimo, quasi rimani estraneo alle
sghignazzate dei ragazzetti scemi che te l’hanno consegnato.
Sorridi, poi, sognando in cuor tuo, per l’anno
venturo, un bouquet profumato di fiori di campo da
parte del tuo futuro sposo.
È condiscendenza, quando durante tutta l’adolescenza donne
adulte ti domandano – chi ingenuamente perché
tardiva o col sesto senso in ferie, chi
con la malizia della bigotta abbonata alla prima fila in
chiesa – quando porterai a far conoscere alla mamma
e al papà la ragazza che ti ha rubato il cuore. Vorresti
rispondere: Qui invece siamo tutti in attesa di sapere
chi ha rubato il cervello a te. Ma si sa, ti hanno istruito
alla pazienza. E taci.
È, ancora, attitudine al subire, quando a vent’anni
durante una festa in discoteca la tua amica del cuore
è costretta a intervenire con un perentorio “Andate
via!” per salvarti dalla mortificazione, dagli scherni
e dalle minacce di un piccolo branco che si prende
gioco di te. La stessa attitudine che hai fedelmente
conservato fino ai ventisette anni, quando due slavi
in metropolitana, dai modi augh augh, ti deridono per
via dei tuoi jeans attillati e ti propongono di scendere
alla fermata Jonio della B1 per dirti o farti non si sa
bene cosa. Consideri svariate ipotesi, che vanno dallo
sfilarti i jeans per regalarli alle rispettive fidanzate, al
portarti in processione fino a Cracovia per chiederti
di esibirti in un night. Tu, ovviamente, stai lì immobile
sul tuo sedile e un Datevi fuoco lo pensi pure, ma
non arrivi a dirlo.
Sì, è dura ammetterlo, ma spesso la pazienza assume i
contorni della codardia, quella che si nutre e
pasce lieta nei verdi prati della paura. Paura di reagire,
difendersi, rivendicare. La stessa di cui dai prova
la sera della suddetta festa in discoteca – da cui sei
uscito indenne solo per il pronto interessamento della
tua amica – quando raggiungi la tua macchina per
tornare a casa e la trovi tutta raschiata su un lato. Un
gesto vile, di cui però ti attribuisci la colpa con i tuoi,
sostenendo sia stata una tua disattenzione.
È remissività, quando senti usare la parola “frocio” come
se l’essere omosessuale fosse un’offesa,
ma ti ci abitui, lo accetti, come fa una moglie con un
marito che la tradisce e che non è abbastanza forte da
fare le valigie e lasciarlo. Si indigna, lo guarda con
occhio bieco, ma non urla. La pazienza, poi, è passività
mista a rassegnazione quando ti toccano le orecchie
per ricordarti chi sei.
È sublime indifferenza, quando una volta cresciuto
riesci ad avvalerti degli strumenti intellettivi che ti
consentono di leggere il mondo con la giusta ironia. E l’ironia,
si sa, è un airbag senza il quale non avresti salva la vita.
Tutto fila liscio, finché un bel giorno ti svegli e
decidi di mettere insieme tutti i tasselli della tua vita
per tirare un bilancio. Per vedere se i pezzi del puzzle
combaciano. Questo, di solito, accade intorno ai
venticinque anni, quando finalmente hai l’obiettività
giusta che ti consente di osservare le cose dall’alto, di
non essere più così crudele con te stesso e accettarti
nel profondo, così come sei, senza maschere. E se proprio non
ci riesci, ad accettarti, quantomeno decidi di
rassegnarti.
Perciò, un bel dì, incastrando e cercando di far
quadrare tutti i pezzi di un’esistenza, abbracci lo
stoicismo arrendendoti una volta per tutte a una sola
unica evidenza, che ciò che ti ha sempre tormentato non è
l’essere omosessuale. C’è altro, dietro, qualcosa che va
oltre la sfera del pratico, del naturale, del meccanico.
C’è che quel bambino di sette anni, quell’adolescente di
quindici e quell’adulto di venticinque, in fondo,
hanno sempre percepito il mondo diversamente dalla
maggior parte dei maschi. Succede, insomma, che ti
ritrovi con un cuore bifronte, che oggi sente da uomo
e domani da donna, in una specie di torre di Babele
delle emozioni per cui tu non sai mai quale parte far
prevalere, quale comportamento adottare, quale schema
applicare, quale vibrazione assecondare e quale
invece reprimere perché socialmente inappropriata.
Ci sono momenti, magari, in cui senti di appartenere
al genere maschile quanto l’acqua cristallina al mare
di Ostia, quei momenti in cui senti tuoi gli atteggiamenti
di un maschio come uno di Belluno nord sente
propria e autoctona una sagra della sardella piccante,
ma nonostante tutto è costretto a dire: «Ma che scherzi?
Pensavi fossi cresciuto a pane e formaggio Piave,
a birra e arrosto di capriolo? Balle! Io mi ci identifico
nella sardella, la spalmo sul pane a colazione e la uso
pure come bagnoschiuma!».
A tutte queste considerazioni non sai mai se allegare un
“purtroppo” o un “per fortuna sono così”. Propendi per
il purtroppo quando ripensi con un pizzico
di malinconia a tutte quelle volte in cui hai condiviso
tutto – giornate, cene, notti, viaggi, segreti e speranze
– con quello che tecnicamente era un tuo amico, ma
che si è sempre concesso il lusso impunito di essere
ambiguo e ti ha portato a fantasticare, lasciandoti poi
tramortito e agonizzante a terra quando la realtà ha
imposto altro e hai dovuto accettare di vederlo sottobraccio
a una ragazza.
Lui, come un altro, un altro ancora, in una serie infinita
di intrecci in cui hai creduto dialoghi quelli che
erano semplici monologhi che ti cantavi e ti suonavi.
Allo stesso modo è frustrante il momento in cui riconosci
che ad altri, siano essi finti etero o bisex confusi,
hai permesso di approfittarsi di te. Hai scelto di
tua sponte di farti del male, spianando loro la strada.
Sei stato un diversivo, un passatempo qualunque di un
marito divorziato o di un convivente dalla compagna
distratta o che semplicemente si fidava del suo uomo.
Son conoscenze, queste, da cui pensi esca amplificato
il tuo ego e alimentato il tuo narcisismo. Iniezioni di
autostima nella vana e superficiale illusione che quella
parte femminile, che hai sempre sentito prevalere dentro
di te, abbia avuto in questo modo uno sfogo, abbia
trovato uno sbocco. Un errore che ripeti meccanicamente,
quasi fosse uno schema comportamentale insito nel
DNA da replicare ciclicamente.
Peccato che dopo, quando il sabato sera ti ritrovi
a dormire da solo nel tuo letto poiché lui, per il
week-end, è salito al lago di Nemi con la moglie,
vorresti sbattere la testa contro il muro. E non solo perché
stai guardando C’è Posta per te, ma perché dalle
lezioni non impari. Perché l’amaro che quei baci infedeli,
frettolosi e volubili ti lasciano ogni volta sulla bocca
non è stato ancora tanto velenoso da farti desistere
dal riprovarci.
Ma c’è qualcosa per cui nonostante tutto finisci
per definirla “fortunata” la tua anima elastica, dai
contorni indefiniti. Sai, infatti, che è proprio in
virtù di questo tuo privilegio accordato da madre natura
che riesci a entrare subito in sintonia con le donne, ad
afferrarne al volo i bisogni, i desideri, le errate
aspettative, quelle che puntualmente e sistematicamente
vengono deluse dagli uomini che entrambi vi
ritrovate ad amare. E riuscire a mettersi nei panni di una
donna, per stare bene al mondo, è un valore aggiunto.
Malgrado i vari impedimenti del caso, dunque, ti
ritieni uno a cui arride la buona sorte, la cui esistenza
non è poi così infausta come sembrava anni addietro
su quel pendio di campagna. Dopo un rapido check up,
ti concedi addirittura una prognosi che lascia spazio
a delle speranze. Quella principe, che da anni covi in
fondo al tuo cuore e ti rende vivo, ha il coraggio di
nutrirsi di fantasie e di romanticismi, fottendosene del
giudizio degli altri. Sai bene che prenderà forma il
giorno in cui riuscirai finalmente a concedere al tuo
cuore una tregua.
Il giorno, forse, in cui incontrerai un uomo che
delle stranezze del tuo animo non vorrà più solamente
approfittarsene, ma ci si accamperà accanto, piantandosi
saldo per custodirle e preservarle. Deciso, robusto
di mente e dal cuore fermo, come un legionario
lungo il limes del Reno. Fregandosene dei giudizi,
perché è così che si cambia il mondo.
Francesca Cerutti (proprietario verificato)
Romanzo molto simpatico! In certi punti mi ha proprio fatta ridere, e devo ammettere che non mi succedeva da un po’. Lo consiglio soprattutto a chi ama le commedie romantiche. Mi è anche piaciuta la capacità dell’autore di trattare tematiche serie, come l’omofobia, con leggerezza. Che, per citare Calvino, non è sinonimo di superficialità. Promosso!
marco (proprietario verificato)
Libro davvero avvincente , simpatico e ricco di contenuti e riflessioni che fanno riflettere e anche sorridere , fluido e piacevole . Complimenti a questo ragazzo e alla sua capacità di esporre situazioni attuali con tanta bravura
Claudio D’Amico
Grazie Maria Francesca, sei gentile!
Maria Francesca (proprietario verificato)
Mentre leggevo l’estratto già immaginavo il film che potrebbero trarne… un “Il diario di Bridget Jones” in cui finalmente l’amico di Bridget, smette di fare solo la fata madrina, e acquisisce il ruolo del protagonista, una vera caratterizzazione e personalità. Stile molto coinvolgente, ho apprezzato tantissimo i riferimenti alla Basilicata, e quelli colti a Dante, al medioevo, alla Grecia antica. Davvero complimenti. Ve lo consiglio!
Claudio D’Amico
Che onore, grazie 🙂 un bacio
Giovanna Di Verniere (proprietario verificato)
Sono una grande fan di Claudio e del suo modo profondo ma allo stesso tempo brillante e simpatico di scrivere e descrivere….quindi non vedo l’ora di leggere l’intero romanzo.
Forza Claudio!