Nonostante i dati dimostrino che una buona informazione e
l’educazione sessuale sono fondamentali per
abbassare il numero di nuovi contagi ogni anno, sembra
che nessuno voglia affrontare questi argomenti, lasciando a
ognuno il compito di gestire la propria vita nascondendo l
a testa nella sabbia, come se si trattasse solo di
fortuna. Non si capisce come, ma è ancora diffusa l’idea
che questa sindrome sia una punizione, e sia meglio non
saperne niente e incrociare le dita. Attraverso Emma
possiamo conoscere le storie di uomini e donne che
convivono con una malattia cronica come molte altre,
che per fortuna oggi può essere trattata garantendo una
qualità buona di vita, ma che allo stesso tempo è percepita
in modo molto diverso. Il fantasma delle analisi
regolari, l’assunzione quotidiana della terapia, la paura
di affrontare di nuovo l’amore e di essere giudicati
possono trasformarsi in presenze quotidiane faticosissime.
Leggere le storie degli altri è da sempre un modo per
vivere tante altre vite, ma leggere e far leggere questa
storia è un modo per prepararsi a una vita che potrebbe
proprio essere la nostra o quella di una persona a noi
cara. Nelle vicende di sieropositività ho sempre visto un
paradosso: chi ne è colpito spesso sente la morte alitare
sul suo collo, anche se le analisi vanno bene, mentre il
resto del mondo continua a far finta che il morire non lo
riguardi, come se il suo tempo su questa terra non avesse
una scadenza. Oggi, per un sieropositivo, è più facile
morire per altre cause, esattamente come per chi non lo è,
la differenza deriva dalla presa di coscienza di utilizzare
al meglio il tempo che abbiamo. Leggete e fate leggere
questa storia che mi ha fatto pensare a quanto si possa
rimuginare sul passato o paralizzarsi per la paura del
futuro, mentre lo scarto vero è sempre e solo l’adesso.
È adesso che possiamo andare a farci le analisi, magari
con il nostro partner; è adesso che possiamo decidere che
l’HIV non decreterà quello che siamo; è adesso
che possiamo superare l’imbarazzo e parlare ad amici,
figli, nipoti di comportamenti sessuali a rischio.
È adesso che possiamo avere cura di noi e di chi ci sta vicino.
E non conosco forma migliore d’amore.
Diego Passoni
A Luca Canigiula,
per quando un giorno
ci ritroveremo.
A Federica Conti,
perché questo libro
è nato ad Alghero.
Ispirato a storie
realmente accadute.
PROLOGO
22 settembre
Forse è così che accadono le cose. Sbattono tra loro,
restano distanti. E dopo arriva il niente. Un suono
continuo, tondo, anche un po’ lineare.
Sono qui? Non sono qui. Dove sono?
Non sento niente.
Come si accende la luce qui dentro? Accendete la
luce! Accendetela ADESSO. Perché restate fermi? Siete
ancora lì. Qui. Perché siete ancora qui? Tutine verdi,
rosse, viola, toglietevi di mezzo! Toglietevi da lui! Cosa
gli avete fatto? Aiutatelo.
Dov’è mio fratello? Dietro queste… Come si chiamano,
dannazione, queste cose di plastica? Veneziane,
perché le chiamate veneziane?
Mio fratello dov’è? Mio fratello è a casa. E io sono
nell’altra stanza, nella MIA stanza. Se chiudo gli occhi
non sono qui. Se chiudo gli occhi torno a ieri, all’altro
ieri, a un mese fa. È facile, no? Tornare indietro è facile.
Se chiudo gli occhi, tu resti un fermo immagine che
se ne sbatte dei miei video e dei miei post. Che vie-
ne a disturbarmi mentre creo. Sì, perché io sto creando
mentre faccio “quelle robe” – come le chiami tu – sui
social. E tu non capisci niente del mio mondo e del mio
pubblico. DEVO farlo. È importante per il mio vlog!
Tipo quel video, ricordi? Era piaciuto anche a te.
Quello sui discorsi delle persone in metropolitana. Ha preso
dodicimila like. Era uno spaccato della società, non puoi
negarlo. E poi che problemi hai se parlo anche di come
mi trucco? O cosa mi metto? Guarda che racconto anche
i fatti tuoi, lo sai. Anche se ultimamente non
ci incrociamo praticamente più. Va bene, hai iniziato l’università,
ma guarda che io sono alla tua altezza. Ieri,
ieri mi hanno detto che per la maturità dovrò ottenere dei crediti
formativi e io pensavo…
Perché un campanello? Perché sta suonando?
Le tutine hanno fatto cadere i tuoi supereroi dal comodino.
Tu e la tua passione per quelle storie a fumetti…
Dai, se vuoi ti lascio un po’ di spazio per parlarne
al mio pubblico… Diresti che non puoi, certo. E mi
guarderesti in silenzio senza dire niente, con
quell’espressione abbattuta. Non capisci niente come sempre.
Non capisci niente, se chiudo gli occhi e torniamo a un
mese fa.
Aprili, tu aprili, però.
Apri gli occhi, no?
Perché non lo stai facendo adesso?
Vuoi che te lo dica? Vuoi che te lo dica davvero,
quello che penso? Quando mi guardi con quelle pupille
sgranate modello giradischi? Mi giudichi, lo so che mi
stai giudicando. Pensi che dovrei andare più a fondo in
ciò che dico, inquadro, scrivo. Lo faccio, che ti credi? E
poi ho tutta una vita per essere come te.
Ti va di alzarti e prendere un volo adesso, magari?
Andiamo in aeroporto e prenotiamo il primo volo che
c’è, oppure l’ultimo. Dovremmo andare a Salonicco, ho
sentito che è la nuova Mykonos.
Ah, giusto, adesso ti piace dipingere, hai una nuova
passione. Quindi ciao viaggi assieme?! Adesso adori pure
i graffiti. L’altro giorno ho visto i bozzetti a carboncino.
Erano sulla tua scrivania, vicino alla tua solita fascetta
reggi-capelli, infeltrita e multicolor. Volevi fare i tag? Serve
talento, oh, mica ti metti a scarabocchiare e basta. Illuso.
Ma perché ti sei firmato con quel nome che finiva con la
X? O iniziava, boh. Era tutto scolorito. Ok, forse ci ho
versato sopra dell’acqua per sbaglio, mentre giravo il video.
Per sbaglio, eh. Resti un illuso, sì, se chiudo gli occhi.
Perché ti hanno messo in TIG, Terapia Intensiva Generale?
Potevano chiamarla terapia intensa, avrebbero
risposto subito a tutto. Non farmi riaprire gli occhi,
Nicola, non farmeli riaprire adesso, ho bisogno di parlarti
ancora un po’ qui dentro, tra le palpebre, protetta.
Lasciami indietro, lasciami a ieri. Lasciami nelle mie scarpe,
nel mio vlog. Lasciami essere quella che sono, altro
non posso. Quell’altro sei tu. Sei tu che ci riesci. Hai
quella strana capacità di saper cogliere i muri oscuri, le
zone d’ombra di ognuno di noi. Forse è per questo che
hai così tante amiche femmine. È a loro che ora racconti
la tua vita? È con loro che ti confidi? Nel mio silenzio,
per te ci sono sempre stata, nel mio silenzio.
Cosa ci fai qui? Cosa ci fai in un letto d’ospedale,
pieno di tutine che ti mettono gli aghi sottopelle?
E perché suona di nuovo questo campanello? Smettila,
Nicola, smettila di volermi far riaprire gli occhi!
Me li hai fatti riaprire, hai visto? E allora sorridimi,
sorridimi, dannazione, da quel letto.
Ti sto salutando, rispondimi. Rispondimi!
Perché gli mettete una mascherina? Così lo soffocate.
Così lo soffocate, fatemi entrare!
Ridatemi il mio…
Perché ve ne state andando, tutine? Perché venite
incontro a me, dietro queste veneziane opache che ora
mi nascondono?
Non vi è bastato quello che mi avete detto prima?
Non era abbastanza quello che mi avete detto oggi?
Cosa volete ancora da me?
talksina
ciao Nadia, ho letto il tuo libro – e grazie per averlo messo anche in formato elettronico, perché in questo modo, è fruibile anche dalle persone con disabilità visiva, come la sottoscritta. Ho fatto un sorriso grandioso, quando hai raccontato la storia del palazzo al buio, meravigliata da come FINALMENTE si parlasse di questi temi, sia l’HIV sia la cecità in background, senza ricorrere a pietismo e stereotipi come purtroppo in tante opere letterarie, musicali e cinematografiche si fa. Io ho entrambe le esperienze vicine perché io non vedo, il mio ragazzo non vede, ed è HIV positivo. Uno di quelli che a differenza del Matteo personaggio del racconto, non è riuscito a salvarsi la vista dagli effetti della neurotoxoplasmosi. Gli occhi, del libro, no, non sono solo quelli fisici. Gli occhi sono una finestra sul mondo sommerso di chi ha l’HIV e non ne è a conoscenza, una finestra sul contatto, la situazione della cena al buio che costringe le persone presenti a usare mezzi di comunicazione alternativi. Per fortuna il mio ragazzo con me non ha mai avuto questo problema della paura di toccare, ANZI; ma molte persone con HIV ce l’hanno, invece. La cultura deve cambiare, bisogna smetterla con lo stigma e la colpa, perché se te lo pigli, anche col sesso, l’accaivvù è solo sfortuna, non è mai una colpa. elena brescacin
Lorenzo (proprietario verificato)
Uno sguardo che è un gesto. Grandi aspettative per un libro che racconta con occhi puliti un’esperienza ancora spesso nascosta.
Rosalba Rombolà (proprietario verificato)
Gli occhi non tradiscono mai, uno sguardo ci può salvare per sempre. Gli occhi rivelano, ci parlano nel silenzio più assoluto. È cosi che comunicano i protagonisti e danno voce ad una malattia che è ancora pericolosamente presente. Il libro è da leggere, divulgare. È necessario conoscere per tenere sempre i riflettori accesi e gli occhi ben spalancati. Nessuno escluso. La penna di Nadia sa raccontare in modo magistrale e le conoscenze scientifiche fanno diventare il racconto ancora più minuzioso. Leggetelo! Divulgatelo!
Riccardo Crs (proprietario verificato)
Libro da leggere e da far leggere! Il racconto, ispirato a fatti realmente accaduti, è stupendo e terrificante per la realtà che svela in maniera inoppugnabile. L’autrice Nadia Galliano, giovane specializzanda in psichiatria, ha saputo combinare in questo libro le sue conoscenze medico-scientifiche con le abilità letterarie per documentare una storia che non sarebbe mai stata resa nota in maniera così minuziosamente documentata.
Lara Cordiano (proprietario verificato)
Seguimi con gli occhi…una lettura silenziosa, ma urlante…che riaccende i riflettori, da tempo spenti, su una malattia ancora presente!
Forza nadia! Ti seguiamo con gli occhi e urliamo tutti insieme!
Armando (proprietario verificato)
La verità, negli occhi. La paura, negli occhi. Le speranze, l’attesa, i sogni, le sconfitte, la fatica. Gli errori si riflettono negli occhi. Due fratelli si guardano negli occhi e si riconoscono. Gli sconosciuti che diventano amici, i nemici che si rivelano alleati: ci fanno aprire gli occhi. Questa storia ha la verità di uno sguardo su una malattia che sembra scomparire e invece è qui, più pericolosa perché taciuta. Questa storia può restituirci uno sguardo sincero (o almeno, non rassegnato) su un mondo che abbiamo smesso di guardare. Ma anche fosse solo una lettura da treno, divano, tram o spiaggia, potrebbe bastare. Buon libro Nadia.