Qual è il percorso migliore da intraprendere per educare il proprio gusto ad apprezzare i distillati alimentari del vitto? Quale la via da percorrere per combattere l'insipienza e raggiungere la sapienza? Seguiteci e lo scopriremo insieme!
Tre i pasti della giornata: colazione, pranzo e cena. La prima di per sé è una sicurezza: biscotti imbustati, marmellatine confezionate, cereali monodose, latte caldo… niente di imprevedibile o degno di recensione. Sono il pranzo e la cena che possono causare fluttuazioni nello spettrogramma dei sapori e regalare esperienze inattese. Sarà lì, quindi, il nostro focus, su questi due pasti. Documenteremo da vicino le sensazioni del concorrente, le sue valutazioni e, per quanto possibile, le sue riflessioni. Bando alle ciance, si comincia!
*Musica epica incalzante, SDENG! *
Dopo 26 ore di pronto soccorso, “il Mansi” come lo chiamano i dottori, viene ricoverato per un'anemia anomala al reparto Paggi Mangioni alle 16 circa di giovedì 2 febbraio. *Il Mansi viene spinto su un lettino, un drone lo inquadra dall’alto e lo segue per tutto il tragitto che va dal pronto soccorso al Paggi Mangioni* Maschio, 14/12/85 Lakewood – New Jersey, residente a Firenze, animatore digitale: sintomi confusi di un'anemia anomala. Voci del suo arrivo si rincorrevano per le corsie del reparto da almeno un giorno ma nessuno sapeva quando precisamente si sarebbe palesato a bordo del suo fido destriero, il lettino. Tutto dipendeva dagli esiti delle valutazioni fatte al pronto soccorso. Per questo motivo era stato impossibile chiedergli cosa avrebbe gradito sul suo vassoio: queste preferenze solitamente vengono registrate dagli ambasciatori del vitto il giorno prima per il giorno dopo per i pazienti già ricoverati. In casi come questi, dove il degente non può essere interrogato sui suoi desideri, il vitto si muove secondo le casistiche ritenute più opportune: e tuttavia, come possa azzeccare l'ordine per ogni degente rimane un mistero; tant'è che ognuno riceve per il suo primo giorno un menù adatto alla sua situazione psico-fisica. Il Mansi, appena sbarcato al reparto Poggio Magnoni, riceve la dicitura alfanumerica 0B225_001 in modo da facilitare il recapito dei pasti a lui assegnati. Per i pasti di oggi bisogna rassegnarsi: sarà una giornata all'insegna della sorpresa.
Il carrellino, carico di vassoi pronti ad essere ripuliti, segnala il suo arrivo sussultando e vibrando sul pavimento irregolare. Al passare della processione di OSS e infermieri che spingono il carico di alimenti, i degenti girano il capo verso l'entrata della loro camera. Ecco che si fermano davanti alla stanza 0B225. Al Mansi viene consegnato per la prima volta il suo pranzo: sul vassoio un tagliando che reca stampato il suo nome, il suo codice alfanumerico ma soprattutto il menù che lo aspetta. Il comodino diventa tavolo e scorrendo sulle ruote viene avvicinato al lettino. Il bicchiere viene riempito d’acqua dagli OSS. Il Mansi istintivamente si siede sul bordo del lettino e ne aggiusta l’altezza con il telecomando in modo tale da raggiungere agevolmente il cibo. L'organizzazione di tutta l'operazione lo colpisce. Il vassoio ai suoi occhi è una ricca guantiera rococò, carica di cibi prelibati. Si convince che ogni pasto d'ora in avanti meriterà dignità di critica gastronomica: tutti quei reality show ambientati nei ristoranti e nelle cucine di ogni dove devono avergli insegnato qualcosa. Si fa una promessa: “Il cibo d'ospedale non avrà più segreti per nessuno. Darò un voto insindacabile ad ogni piatto, ad ogni piatto stilerò un commento”. Noi cercheremo di riportarvelo così come il Mansi ce lo riferisce.
Primo: trattasi di una semplice PASTA AL POMODORO CON OLIVE E CAPPERI. Il condimento non è niente male, l'acidità del pomodoro è ben bilanciata, i capperi e le olive sono intense pennellate nere su un aromatico telo rosso. Il timore di un pomodoro acido o industriale è scongiurato. Ma la pasta… i sedanini presentano una consistenza che la sua dentatura non aveva mai provato. O forse sì? Riaffiorano infatti vaghi ricordi di sigarette di gomma, marcate Asterix, risalenti alla metà degli anni 90. D'altronde si sa: la pasta può presentare lo spinoso problema della scottura. Ahimé, questo piatto ne è la massima manifestazione. Però, nascosto tra i piatti, un faro di speranza: un piccolo contenitore traslucido contenente del formaggio grattugiato. Un insperato gesto di premura da parte del vitto! Il bric di parmigiano risolleva di mezzo punto un 4.5 scarso e porta il voto a 5.
Secondo: Sotto il coperchio si nasconde una generosa fetta di POLPETTONE condito con il pomodoro. Il polpettone è di pregevole fattura, gustoso, saporito, nulla da invidiare a “quello della nonna”. Compatto ma soffice. Granuloso ma saldo. L'aroma di carne si sprigiona con convinzione, riaffiorano confortanti ricordi di case con arredamento anni '60 e ninnoli provenienti da San Martino di Castrozza e Livigno. Ogni morso rassicura e culla. Promosso a pieni voti, 8.
Contorno: Accanto al polpettone, languono ZUCCHINE E PATATE. Alla vista, è difficile distinguere le une dalle altre, la cottura le ha rese molto simili. Al sapore, si mostrano compatibili e… gustose, dopotutto. Solo le consistenze le rendono diverse: le zucchine, più cedevoli e soffici; le patate, più sode e resistenti. Accompagnate dal pane, rappresentano un più che degno contorno, grazie anche all’ingente quantità di olio. Voto 7.
Frutta: “Una mela al giorno leva il medico di torno”, dicono là fuori. Ma così non è al Paggi Mangioni, dove i medici sono più dei pazienti. Non saranno le mele a salvarti dalle loro spaventose diagnosi, o Mansi. Nella fattispecie, si tratta di una MELA Golden Delicious, ma questa volta il voto è: not so delicious. Va consumata a morsi, perché il coltello che il vitto fornisce ai degenti non è che un coltello da burro, atto a spalmare più che a tagliare. E quindi il Mansi deve addentarla. Purtroppo i morsi sono vuoti, i succhi sono acquosi, la buccia è dura e s’incastra fra i denti. Lo vediamo che fa facce buffe mentre cerca di levarli con la lingua. Un epilogo tutt'altro che entusiasmante. Voto 4.
Il pranzo è terminato, il Mansi riflette su questo primo pasto. “Sarà così, dunque, che mi nutrirò in questi giorni: seduto sul lettino, scarterò le mie posate, solleverò i coperchi dai piatti e mangerò quel che ci trovo sotto, annoterò le mie considerazioni in merito. Durante i pasti, avrò il piacere di gustare ma il dovere di commentare; il dovere di nutrirmi ma il piacere di argomentare. Forse potrò valicare i confini del pregiudizio che tanto affossa il cibo d'ospedale. Forse potrò sfondare i muri del pregiudizio, e nel farlo valicare i confini di me stesso…” Ma non fa in tempo a mettere a fuoco quest'ultimo pensiero, che un evento sconquassa le poche certezze del Mansi. Una ragazza dai capelli con le punte blu spunta nella stanza, inaspettatamente. *Suono magico di arpa, slow motion del Mansi che gira la testa verso l’entrata della stanza e sbatte le palpebre incredulo per ben due volte*. La ragazza non è un parte del personale ospedaliero, non ne porta il proverbiale camice, né i classici zoccoli. Il Mansi è incredulo: “…E lei cosa vorrà?”
“Ave! Sono venuta a prendere l'ordine per i pasti di domani.”
“E io che pensavo che in ospedale il cibo non si potesse scegliere!” pensa fra sé e sé 0B225_001.
L'ambasciatrice del vitto prende fiato: ecco che parte un elenco che pare interminabile. I giorni della fame passati in pronto soccorso sono ormai lontani. “Lucullo e Trimalcione vivono e mangiano forse al Paggi Mangioni?” scherzosamente pensa il Mansi, memore dei suoi studi classici.
Il sorriso sardonico però scompare dalle labbra del Mansi quando si rende conto di essere in seria difficoltà nel seguire le parole della ragazza dalle punte blu. Ella salta da un primo all'altro con disinvoltura, i secondi sono tantissimi, i contorni sono ancora di più. Va così veloce che il paziente non riesce a maturare le scelte necessarie al prossimo pasto. “Ragazza…! Aspetta…! Sono confuso… cosa devo ordinare?!”. E lei “Se vuoi posso ripetere…” . “No, va bene…” ed ecco che il Mansi balbetta qualcosa, ripete a pappagallo il nome di alcune pietanze sentite nominare durante il rosario, è affaticato. La ragazza annota, i suoi occhi brillano di una luce insolita, come se sapesse qualcosa che noi non sappiamo. Ma l'ordalia non è ancora finita: è il momento di prendere l'ordine per la cena. E ci risiamo: la ragazza riprende fiato e riparte una cantilena fatta di primi, secondi e contorni, tale da frastornare completamente il degente. Il Mansi pur di mettere un punto a quest'agone, fa il nome di alcune pietanze sentite nel rosario, ma senza ragionarci tanto sopra. È fatta. Dopo aver annotato anche i piatti per la cena, la ragazza porge i suoi saluti e se ne va. Al termine di ciò che nel tempo diverrà un rito quotidiano, il Mansi è immemore di ciò che ha ordinato. Ricorda solo di aver mormorato a un certo punto le parole “MERLUZZO AL POMODORO”, “COSCIA DI POLLO”, “MELA COTTA”, ma non ricorda se per pranzo o a cena. Di una cosa è certo: le parole “mela cotta” avevano esercitato su di lui un certo fascino: a casa le ha gustate molte volte, con la cannella e lo zucchero grezzo di canna. Non si aspettava di trovarle lì, all'ospedale.
Terminato il pranzo e compiuta l'ardua fatica dell'ascolto del rosario e conseguente scelta dei piatti, il Mansi gira lo sguardo verso il suo compagno di stanza: Gerardo, un uomo pensionato, mite, empatico e simpatico, ottimista e ghiotto di gelato, che crede genuinamente nel potere curativo della parola e della socialità. Il giorno prima, Gerardo gli aveva dato il benvenuto al suo arrivo dal pronto soccorso. Dopo qualche convenevole lo aveva aiutato ad ambientarsi in quella che sarebbe diventata la sua casa per i giorni a venire. Sebbene il corpo di Gerardo sia ancorato al lettino, la sua mente vola e tocca vette che nessuno in corsia ha mai sognato di scalare: da lì si fa giudice impietoso della gastronomia nosocomiale, e spera di sentire citato nel suo rosario il desiderato “gelato”. I due avevano iniziato già dal giorno prima ad entrare in risonanza. Lavoro, famiglia, amici e passatempi: gli argomenti che da sempre s'intavolano nelle stanze dei reparti di ogni ospedale del mondo. Ma poi i grandi temi: i due discutono delle norme che regolano i pasti in ospedale, delle pietanze che saranno costretti a sorbirsi e di quelle che “non sono poi così male”, della scelta migliore da compiere quando ci si trova di fronte al bivio di un riso in brodo o una pasta al pomodoro. E poi il vitto e i cosiddetti ambasciatori del vitto.
“Chi era quella ragazza, Gerardo?” chiede il Mansi.
“Non conosco il suo nome” risponde lui “Ogni giorno c'è una persona diversa a prendere gli ordini. Lei non l'avevo mai vista…”.
“Aveva l'aspetto di una che si chiama Ofelia” azzarda il Mansi.
“Ofelia? E perché?”
“Non lo so, ancora… ma sento che c'è del vero in quel che dico…”
A interrompere le loro dissertazioni, un annuncio inderogabile: le autorità hanno disposto un cambio di lettino. Gerardo dovrà lasciare il posto a un altro paziente, il giovane Mirko. Il Mansi e Gerardo sono visibilmente scioccati. Il perché di questo scambio rimane ignoto, gli infermieri alzano le spalle e fanno gesti che alludono a insondabili voleri superiori. E così il Mansi si trova già a dover salutare quello che era diventato in poco tempo un punto di riferimento nella bufera di alimenti che stava per abbattersi su di lui. In cambio di un navigato capitano di vascello, però, il Mansi acquistava un mozzo di tutto rispetto, dal fulgido futuro. Trascinandosi dietro un'asta da flebo con le ruote e accompagnato da alcuni ministri del benessere, Mirko irrompe nella scena, con i suoi riccioli biondi e il suo perenne sorriso. Gli infermieri sono già pronti a spingere il lettino di Gerardo fuori dalla stanza.
“0B225_01, ti devo confessare che mi dispiace separarci, stavo così bene in tua compagnia…”
“Anche a me dispiace Gerardo, ma verrò a trovarti ore pasti, per commentare insieme ciò che hai ordinato” risponde con fiducia il Mansi dal suo lettino. I due si salutano mentre osserva il lettino di Gerardo scomparire dietro la porta.
Nella stanza con il Mansi rimane Mirko. I due si parlano, si conoscono fino al punto che i loro stomaci brontolano all'unisono: è solo tardo pomeriggio ma sappiamo tutti che in ospedale le ore dei pasti possono essere anticipate di molto rispetto a quelle del mondo secolare. Infatti la cena sta per palesarsi di fronte ai due. Come il pranzo, anch'essa è una irrifiutabile proposta del vitto, dato che il Mansi non l'aveva potuta ordinare. Vediamola insieme…
Serena Scipioni (proprietario verificato)
Del cibo d’ospedale abbiamo sicuramente sentito parlare tutti, solitamente non con parole di encomio.
Nell’opera del Mansi il cibo d’ospedale verrà descritto in modo che “voi umani non potete nemmeno immaginare”, accompagnandovi in un viaggio fuori e dentro il Mansi che irrevocabilmente diventerà un viaggio fuori e dentro di voi.
Mi spinge a dire che, dopo aver letto questa esperienza del Mansi, avrei quasi voglia di farmi ricoverare per fare un viaggio tra i sapori nosocomiali anche io, ma visto che proprio il Mansi ci insegna che la salute è importante, mi limiterò a rileggere il suo bellissimo e divertente libro.
Donna Lynne Mansi (proprietario verificato)
“Semolino, purè, mela cotta” è il titolo del primo libro di Antonio Mansi. Senza dubbio questi ingredienti così elencati non fanno assolutamente presagire pasti “pantagruelici”. Questo è ciò che ho subito pensato. E siccome sono anziano e goloso, ho storto il naso. Dopotutto il titolo è privo di presunzione, privo di allettamento, privo di seduzione. E allora perché al Mansi, mi sono domandato, è venuto in mente di scrivere un libro su questi tre perdenti gastronomici? Dopo aver subìto un leggero turbamento, ho ripensato a quell’aggettivo “pantagruelici” e mi è venuto in aiuto il celebre romanzo di Rabelais. A questo punto, con l’occhio della mente ho trasformato, senza una particolare logica, i tre ingredienti del titolo in “tre cavalieri”. Sì, in cavalieri con l’arduo compito di distruggere i denti del protagonista per impedirgli la masticazione. A questo punto, tutta l’impalcatura ha iniziato ad intrigarmi. L’ho preordinato, e dopo aver letto le bozze, ho pensato di nuovo a Rabelais, ed ho capito che il Mansi, come l’autore francese (nel quarto libro di Gargantua e Pantagruel) condanna “gli agelasti”, ossia coloro che non sanno ridere: d’altronde, nelle parole di Fryderyk F. Chopin, “chi non ride mai, non è una persona seria”; e se voi, aggiungo io, siete persone serie, vi invito a leggere “Semolino, Purè, Mela cotta.” Commento di Francesco Mansi
Donna Lynne Mansi (proprietario verificato)
Un episodio per “True Story Magazine” … Because truth is stranger than fiction!
Ognuno di noi affronta la vita a modo suo…Antonio lo fa con autoironia e attingendo a tutto quello che la vita gli ha insegnato finora, ma sempre con uno sguardo all’orizzonte e a quello che deve ancora avvenire. “Semolino, Purè, Mela Cotta” ne è la prova!
Vita Laterza (proprietario verificato)
Chi più o chi meno nella vita avrà consumato dei pasti a mensa, associandone un giudizio negativo. Ecco, questo libro è in grado di farci ricredere su tutto quello che abbiamo pensato fino ad ora; anche i pasti della mensa hanno del potenziale, bisogna solo saperlo cogliere!