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SHOT

La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Agosto 2024

Shot parla essenzialmente della vita che si svolge attorno al protagonista, Gregorio Tindari.
Il libro si apre con una scena che si ripete spesso nella vita del protagonista: un risveglio in una casa apparentemente sconosciuta. Questo a causa della tendenza di Gregorio a fare tardi nei locali e spesso ad ubriacarsi. Subito dopo essersi reso conto della situazione Gregorio scappa dalla casa della semi sconosciuta e torna verso casa. Giornalista freelance con una situazione finanziaria ballerina ma amici sinceri con cui dividere la vita. Una sera in un locale per pura coincidenza una ragazza gli muore praticamente tra le braccia. Impressionato Gregorio prova a capire cosa sia successo alla ragazza e si ritrova in mezzo alla piccola criminalità che prospera in città. I panni dell’investigatore però non sono fatti per lui ed infatti arriva a mettersi seriamente nei casini.
Sullo sfondo di tutto si vede Roma con le sue infinite bellezze e le sue altrettante brutture.

Perché ho scritto questo libro?

Guardando indietro ai miei anni mi rendo conto che avrei voluto fare un sacco di cose: fare uno sport sul serio, imparare a suonare uno strumento, imparare altre lingue. Un sacco di cose che alla fine non ho fatto. Solo una cosa ho sempre fatto nonostante la pigrizia: scrivere. Questo e far finta di suonare la batteria su qualsiasi materiale e con qualsiasi bacchetta improvvisata. Da lettore accanito e compulsivo mi sono sempre chiesto come fosse poter scrivere qualcosa di proprio. Eccomi qua.

ANTEPRIMA NON EDITATA

SHOT

Capo A

Sono stato tante cose nella vita, come tutti. Sono stato uno scolaro piagnone, sono stato un alcolizzato, sono stato uno che usa i sentimenti degli altri per sentirsi meglio, sono stato sul punto di guardare un treno dalle rotaie perché il cuore faceva troppo male. Sono stato onesto, sono stato disonesto, sono stato carnefice, sono stato gli occhi che non era giusto soffrissero, sono stato violento, sono stato picchiato. Ho rubato anni a qualcuno, sono stato il più carino della scuola, sono stato il più cesso della vita, sono stato innamorato nel momento sbagliato, sono stato graziato tante volte. Sono stato elegante, sono andato in prigione per sbaglio, cioé non in prigione, in cella di rigore tipo, per una rissa amichevole. Sono stato un turista e sono stato un nativo, sono stato un maestro nel perdere tempo, sono stato un amante di merda, sono stato una perdita di tempo. Sono stato un principe delle favole per qualcuno che però alle favole non credeva. Sono stato cattivo, sono stato un pessimo esempio. Sono stato un drogato, sono stato un fottuto sessuomane, sono stato uno che leggeva anziché guardare i cartoni animati, sono stato il più imbecille e sono stato il più sveglio. Sono stato fortunato, ho salvato dodici piccole anatre dal barbecue e sono inciampato sull’unica cacca di cane di tutta Singapore. Se non è sfortuna è un incaponirsi del caso.

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Sono persino stato fidanzato, fidanzato davvero, con la mamma che ti conosce e tutto il resto. Non che sia merito mio intendiamoci, le persone sono collage, pezzi di quello che hanno vissuto. Se fossi cresciuto a Dublino sarei una persona completamente diversa, cui certamente piacerebbe la Guinness. Ed a me fa cacare la Guinness.

Ad esempio potrei esser stato il classico tipo da censimento Istat: macchina nella media, abbigliamento nella media, ignoranza nella media. Non c’è nulla che possa scalfirlo, le sue certezze lo dominano e gli velano lo sguardo. Arriverà a negare che “u pani câ meusa” debba essere patrimonio Unesco semplicemente perché non lo ha mai mangiato, quindi non esiste. Il mondo intero ne è composto, piccoli stronzi arroganti che pisciano fuori il loro dissenso ubriachi nel cesso di un locale. Inutili, prodotti alla stessa velocità con cui vengono prodotte le macchine. Il bambino più odioso delle elementari, il collega più imbecille che hai avuto; se tutto questo potesse avere un nome e quel nome fosse “Tipo x” e questi fosse nato e cresciuto da un’altra parte ora potrebbe essere il nuovo Zichichi o il nuovo, finalmente compreso, Tesla.

Se questo compendio sia da imputare alle suore o a variegati alcaloidi di dubbia fattura non sono mai riuscito a stabilirlo. Tuttavia con gli anni ho iniziato a riconoscere affinità ed elementi di contatto tra psichedelia e rigida disciplina monastica; l’efedrina ed i pizzichi di Suor Evelina portano entrambi a simili stati di cieca follia.

Sono il prodotto di tutto ciò che ho visto e sentito e letto e discusso sino a questo giorno. Domani potrei essere diverso, certamente tre anni fa non ero così.

Ed in questo momento sono le due, il sole affetta tutto ciò che le persiane non proteggono. Una natura morta di vestiti informi mi presenta il giorno e mi dice che lo è da un pezzo. Che giorno è oggi? Quando sei sveglio da un secondo hai quella manciata di attimi in cui non hai alcuna idea di dove sei, del quando, del perché.

Questo se la sera prima hai vinto una sfida uno contro due con un paio di bottiglie di rosso. Ma credo capiti a tutti una volta nella vita, svegliarsi e per un briciolo di secondi non sapere cosa sia il mondo né dove si sia nell’universo creato. Meraviglioso, come nascere una seconda volta. A me capitava spesso di rinascere durante la settimana.

Primo impatto: riconosco il mio alluce, non riconosco le pareti intorno a me. Greche in polistirolo mal pitturato, in alto, non è roba mia. Quadro brutto, con colori brutti, soggetto brutto e cornice brutta, non è roba mia. Catasta di Vogue, le più banali pubblicazioni Getty Images, Panorama, sincero imbarazzo, non è roba mia. Accattivante reggiseno in pizzo nero, decisamente non è roba mia.

Secondo impatto, sguardo a sinistra: sono sicuro ci conosciamo, il fatto di dormire assieme dovrebbe confermarlo, non sono sicuro di ricordare chi tu sia e potrei dire lo stesso di me. Ricerca i dettagli vecio: borsa di pelle, drink offerti perché borsa di pelle, in realtà drink offerti perché occhi azzurri, in realtà realtà drink offerti perché ha una terza incredibile.

Ora ricordo: ma davvero sei un giornalista?? No guarda in effetti no. Ma lei non ascolta la risposta. Pazzesco!! Anche io sono una giornalista, cioè faccio foto agli eventi nei locali con i vocalist ma praticamente è uguale!! Vecio, sei un deficiente. Alzati, se hai un briciolo d’amor proprio alzati. Hai ancora l’eco del volume delle sue distinzioni tra vip generico e star della tv. Questa volta non puoi dare la colpa all’alcool, questa volta è colpa tua.

Ipocrita con un calzino in mano ed una camicia in bocca che scivoli via da una stanza che non conosci. Silenzioso come il gelido giudizio di un gatto riesco ad aprire la porta, mi esercito con la porta di casa dei miei da quando ho 14 anni, sono un super pro. Ho un piede senza calzino, una camicia aperta che sa di alcool e rimorso, gli occhi chiusi come quando passi due giorni a casa con Jack Daniels, Jhonnie Walker e Lemon Haze. Potrei in effetti aver fatto un po’ di casino nel chiudere la porta; sono super pro nell’entrare di soppiatto a casa mia, non nell’evaderne, c’è una sostanziale differenza.

L’ascensore pare faccia più fermate di un provinciale e l’ansia la porta si riapra alle mie spalle è più angosciosa di una minaccia di morte. Scale allora, fortissimamente scale. In due piani riesco ad unirmi al piacere tutto occidentale di avere entrambi i piedi fasciati da calzini, in tre ad avere una camicia che mi riunisca al convivio dei cittadini più o meno rispettabili di questa città. L’ultimo livello del gioco per uscire dal palazzo: il portinaio.

Conosco il modo di fare dei portieri, il loro primario bisogno di controllo, il loro genuino trasporto nel non farsi i cazzi propri, è una vocazione e credo sia anche uno dei meriti per cui si riceve questa qualifica ed occupazione. Credo ci siano gerarchie tra di loro, nomi più rispettati di altri, un gotha delle personalità portinaie italiane o tutt’al più cittadine; gerarchie basate su quanto si riesca a farsi i fatti degli altri ed a quante più persone si riesca a comunicare queste preziose, scabrose informazioni.

Cosciente ed intriso sin dall’infanzia di questa weltanschauung dei custodi mi preparo al confronto con il milite-civile preposto alla salvaguardia del condominio. Non sono pronto a questo scontro, lui sarà in forma e preparato alla pugna, io sono sveglio da 11 minuti ed ho mangiato solo due unghie e dei pelucchi di camicia. Sento già il suo sguardo ferino poggiarsi su un viso che non riconosce tra gli abitanti del suo feudo, consapevole questo lo autorizzi a chieder tutto ciò che desideri sul mio conto, dal mio nome sino ai voti in trigonometria delle medie. Sono finito, fottuto, presagisco la sua panza d’ordinanza da portiere fermarmi con imperio da lontano, sento Cosa che si sveglia e corre giù in portineria a chiedere notizie ed io braccato e sconfitto risalire per fare colazione parlando dell’incredibile cast di Amici di quest’anno e del fatto, preoccupante senza meno, che le stories pubblicate dalla Ferragni siano diminuite paurosamente, certamente qualcosa non va, cosa può essere? Ed ora? Cioè perché è sparita così? Non si può! Cioè se hai così tanti follower non è che puoi sparire così eh!! Ma ti pare!! No?!?

Mi vedo sostenere le inalienabili libertà dell’Uomo, segnarne il percorso che dalle poleis antiche, tramite le battaglie del piccolo, gigante uomo di Corsica ed attraverso il sacrificio di tanti uomini e molti briganti con giubbe rosse che han fatto l’Italia sono arrivate sino a noi. Mi vedo argomentare quali divine ed autonome libertà essenziali alberghino nel cuore di ognuno di noi, persino degli/delle influencer per arrivare a dimostrare che sì, anche se hai milioni di follower sì, hai ancora diritto di passare una giornata in tuta a farti venire le piaghe da decubito sulla schiena senza fare stories perchè hai le mani sporche di unto e di cioccolata per tutto il giorno. Inutile.

Vedo ormai il futuro prossimo come fosse scritto e vedo Cosa dirmi che no, la celebrità ti impone di pulirti l’unto dalle mani, truccarti alle 7:32 di qualsiasigiornocheesista e postare roba per chi ti segue. Vedo ancora oltre e mi scopro troppo debole per convincerla, troppo infastidito dalla sua voce per dissentire, sono fiacco, ho solo due unghie e dei pelucchi nello stomaco per poter combattere.

Sono rassegnato ma devo incontrare il portiere per giungere al mio destino intravisto nel futuro. Sistemo la camicia cui mancano due bottoni, Cosa deve essere una passionale oppure è la mia solita roulette russa nel trovare una camicia con tutti i bottoni o con almeno la maggior parte nel mio armadio. Affronterò il portiere senza colazione, con due bottoni in meno e la sconfitta nel cuore. Con quella sottomissione tipica dei vinti che accettano la propria sorte imbocco il corridoio che porta alla guardiola e, più in fondo, alla libertà. Sto venendo da te portinaio, sto venendo a subire la mia giusta sorte. Avviato al mio personale macello tengo lo sguardo basso in un estremo tentativo di fuga: se io non ti guardo negli occhi forse nemmeno tu mi guarderai.

Ma culo!! Dev’esser stato sabato sera ieri, nessun portinaio in vista, la fortuna che libera gli oppressi!! Fuga verso la libertà, a volte, può voler dire uscire da un palazzo senza dover parlare con nessuno.

Condominio borghese, di quel borghese nuovo ed appariscente, non il borghese antico ormai dinastico di Piazza Bologna, di Corso Trieste, quel borghese che sa di un’Italia che scompare ma che ha ancora il viso austero dei suoi abitanti, dei palazzi in cui non si può infilare pubblicità e dove i testimoni di Geova non sono autorizzati a rompere le palle. Assaporo l’aria come tornassi a respirare dopo giorni, mesi, mi sento leggero come dopo un compito in classe, come dopo gli esami. Mi sento sempre così quando riesco a scampare da una qualsiasi responsabilità, è il mio yoga personale, mi rimette al mondo come appena generato, pulito, rinato vergine dai miei doveri.

Esco dal portone e mi affaccio su una strada sconosciuta, non mi ricordo come sono arrivato e certo non posso ricordarmi dove io sia. Sarebbe facile aprire Maps per vedere dove mi trovo ma sarebbe appunto troppo facile. è pur sempre la mia città, quanto mai ci metterò ad orientarmi? E poi sono libero, Cosa non sa dove sono ed io sono libero, ancora una volta.

Giro un po’ di vie, respiro l’aria della domenica, quella stessa aria che respirano le mamme che preparano la pasta del pranzo, la stessa che sentono i panettieri sonnolenti che stanotte prepareranno la pizza bianca di domani, la stessa ancora che tirano su i commessi in pausa, gli eroi silenziosi e maltrattati delle nostre domeniche di shopping neo liberista/capitalista.

Molti dicono che Roma sia una delle poche città in cui i quartieri ti dicono chi sono, ti dicono dove sei, diversi stili architettonici, diversi modi di costruire le strade, diversi profumi persino.

E credo abbiano ragione, credo questa città ti ricordi ad ogni angolo dove ti trovi, quanti sono passati prima di te e quanti l’abbiano fatta così diversa da tutte, così diversa perfino da sé stessa. Ho visto cambiare la sua unicità, i suoi quartieri, il suo volto antico e perfetto, anche nella manciata di anni da che esisto, eppure Roma ti parla sempre, ti guida con disinteresse.

Direi che ad occhio e croce dovrei trovarmi vicino Ostiense, come ci sono finito?? Possibile non mi ricordi mai niente le mattine tra il beverdì, il barsabato e la sborniadomenica?? Possibile, evidente in effetti.

Comincio il rituale di ogni maledetta mattina in cui mi sveglio ubriaco, cerco indizi. Tasche salvatemi, ditemi dove sono stato. Spicci, cartine strappate, chiavi del motorino, altri spicci, biglietti da visita con evidenti parti mancanti, fiammiferi. Fiammiferi?!?

Oh mio benedetto e santo Bacco, fiammiferi!! Ecco dove sono stato!! Certo, dalla Casilina a Ostiense senza averne memoria dev’esser stato un bel viaggio.

Improvviso, doloroso come una stilettata, un fulmine mi illumina: il motorino. Non dirmi che sei stato così deficiente da venirci fino a qui Gregò, sei stupido e va bene, ma così tanto?!

Sudo freddo, mi blocco come un manichino, un manichino stupido. Possibile l’abbia fatto di nuovo? Un individuo dall’apparenza rispettabile che, ubriaco come Elvis va in giro su due ruote e che sbiascica non solo mentre parla, ma anche quando pensa?

L’ho fatto senza averne cognizione talvolta, non che sia una scusa ma almeno una scusante sommata all’imbecillità.

Ecco appunto, imbecille, pensa. Non c’era nessun casco a casa di Cosa e di certo non ti saresti fatto la mezza maratona di Roma ubriaco con un passeggero, no? No, stavolta credo di no.

Un tremolio nei pantaloni mi ferma dal continuare ad insultarmi. Chi mi scrive di domenica? Nessuno scrive la domenica, la domenica il cellulare è acceso solo per riprendersi anche lui dall’alcool che bene o male gli cade sopra le sere prima.

Nessuno scrive la domenica, neanche i genitori, tutti sanno che non si scrive nel giorno in cui anche il creatore forse non avrebbe risposto al telefono. Riprendo al volo ad insultarmi: sei stato così stupido da darle il tuo numero di telefono? Sei stato così stupido.

-Ehi ma dove sei finito? Sei scappato prima che mi svegliassi?-

-Ciao, scusa ci conosciamo?-

-Gregorio mi stai prendendo in giro?!?!? Sei uscito da casa mia come un ladro ed ora mi prendi anche per il culo???-

 -Mi spiace, credo ti abbiano dato un numero sbagliato, non mi chiamo Gregorio. Però possiamo conoscerci comunque. Quanti anni hai? Sei di Roma? Ti mando una foto? Eh?-
-……..-

Gregò, sei veramente una merda. Una mia amica, una veramente amica amica, mi definì un giorno Muzio Scivola a causa di una sorprendente per quanto involontaria abilità. Mi scivolano addosso, mi sfuggono come ombre sentimenti, affetti, insulti, ambizioni, rimproveri, complimenti. è una dote innata dicono molti, non sono il solo Muzio Scivola al mondo, ma devo invece replicare a costoro che è un dono costruito e smussato, ci vogliono anni per arrivare a padroneggiarlo e proteggerlo.

Arrivo ciondolante alla stazione della metro, compagna discreta di tanti giorni persi a cercare di capire se davvero vale la pena fare la distanza che separa Milano da Torino ogni santissimo giorno per andare a lavoro. E per spostarsi di quattro cinque quartieri poi, manco fossimo a Mumbai. No, non ne vale la pena se hai delle altre opzioni.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Gabriele Tarquini
Sono Gabriele, nato, svezzato, cresciuto a Roma e forse, come tutti in questa città, da Roma. Inizio a lavorare nel meraviglioso mondo della partita iva, nel campo della pubblicità. Account per un’agenzia pubblicitaria, poi per una radio, poi per un portale immobiliare, poi di nuovo in radio, poi per una società di servizi, poi ancora in radio. Sono sempre stato affascinato da come tutte le più disparate possibili debolezze e virtù dell’umanità si possano trovare in qualsiasi posto abbia qualcosa da bere. Pertanto da appassionato vi ho iniziato a lavorare come barman o direttore di sala o ancora responsabile, soprattutto per risparmiare perché se lavori in un locale tendenzialmente bevi gratis. Dopo dieci anni ho realizzato che stare seduto in ufficio mi provocava male alla schiena ed alla fantasia ed ho lasciato per lavorare solo nei locali e non star mai seduto.
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