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Sir Football

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Tracy McDonnel è una promessa non mantenuta del calcio scozzese: ritiratosi dopo un infortunio, passa ora le sue giornate a mangiare cibo scadente e bere birra a fiumi. Una proposta irrinunciabile fatta dalla più dolce delle vecchiette, sua maestà la regina Elisabetta II, convince però il nostro protagonista ad allenarsi per rimettersi in forma e a partire per una missione segreta verso un paese lontano. Tracy dovrà solo fare ciò per cui è nato: giocare e vincere una partita di calcio per riportare a casa i suoi compatrioti e per ricevere dalla regina un milione di sterline e il titolo onorifico di Sir. Tracy McDonnel era un bambino prodigio costretto a diventare uomo comune, uno che dal calcio poteva avere tutto e che invece, anche e sopratutto per paura, non ha avuto niente. Ma il destino prima toglie e poi restituisce, spesso in modi che non ci saremmo mai aspettati.

Sono quattro anni che vengo in questo posto e non
ho ancora capito perché la TV è posizionata così in
alto. Non l’ho mai chiesto a Jeff, anche perché ci avrò
scambiato solo otto parole da quando lavora qui. Il
nostro è un rapporto riservato, fatto di gesti e sguardi
d’intesa. Quando voglio una birra lui me la prepara.
Semplice ma efficace.
L’anno scorso hanno cambiato il monitor, ne hanno preso
uno nuovo, di quelli con lo schermo sottile,
ma l’hanno messo esattamente dov’era piazzato l’altro,
attaccato al soffitto con un braccio metallico,
appena sopra il bancone, a nove piedi d’altezza. È
probabile che lo tengano lì per scoraggiare quelli che
vengono qui solo per scroccare le partite. Il torcicollo
è così immediato e forte, che ti viene voglia di cambiare aria.
Io me ne frego del dolore e anche stasera sono
venuto per scolarmi una birra e per guardare la partita insieme
a quattro ubriaconi giunti a fare il pieno
dopo una dura giornata di lavoro, o dopo una giornata passata a
non fare un cazzo. L’esito è comunque lo
stesso per tutti.Continua a leggere
Continua a leggere


Il bancone è di legno scuro, pieno di macchie e
aloni su tutta la superficie. Se ci poggi la mano ti rimane
appiccicata al legno in alcuni punti che non
sono stati puliti a dovere. Anche le piastrelle del pavimento
sono ricoperte da piccole chiazze di vari colori,
residui di chissà quali liquidi. Sul muro, accanto alla
porta del cesso, ci sono delle vecchie sciarpe impolverate
delle migliori squadre del mondo. Alcune sono
talmente scolorite che si fa fatica a capirne le scritte.
Dovrebbero dare una bella rinfrescata a questo posto
ma, per il momento, mi accontento della nuova TV.
«Se continua a giocare così, anche quest’anno non
vince una merda di nulla!» dice il tizio seduto al tavolino
dietro me. Non l’ho mai visto prima d’ora.
«Cazzo, amico, abbiamo solo quattro punti di distacco dal
Manchester United. Quest’anno ci dobbiamo credere!» rispondo.
«Abbiamo, dobbiamo? Ma sei dell’Arsenal? Che
cazzo ci fa uno dell’Arsenal, qui?»
«Perché, qualcosa non va, bello?»
Il tizio tira su il suo metro e novanta fatto di lardo
e sudore. Lo sento ansimare in modo ritmato. Ha un
alito alcolico frutto di un miscuglio di whiskey e birra
doppio malto.
«Non mi piacciono i gunners, li odio. Qui si tifa
solo per l’Aberdeen! Gli inglesi e le loro squadre li
detestiamo.»
«Perché non ti siedi di nuovo e te ne stai buono
buono al tuo tavolo? Ti offro una birra. Jeff, una birra
per il mio amico.»
«Non la voglio la tua birra, Arsenal!»
«Bello, sicuro che preferisci menarmi invece che
sorseggiare una birra ghiacciata… una bella birra che
tra l’altro non paghi?»
L’energumeno si prende tre secondi per pensare.
Lo guardo negli occhi e vedo il vuoto cosmico all’interno
della sua testa.
«Va bene, Arsenal!»
Faccio un cenno a Jeff che poggia una birra sul
bancone. Il tizio la prende e torna al suo posto.
«Alla tua, Arsenal!»
Charlie mi si avvicina, anche lui ubriaco perso.
«Anche io odio i fottuti gunners!»
«Vaffanculo, Charlie!»
Ritorna al suo posto sconsolato. La mia beneficenza è finita per stasera.
Manca un quarto d’ora al novantesimo. Siamo
andati in vantaggio al ventitreesimo minuto, ma il
Southampton ha pareggiato all’inizio della ripresa
con un tiro da fuori deviato da Tony Adams. Stronzi fortunati.
Stiamo giocando una merda. Questi
rotti in culo ci affossano ad ogni occasione e non
riusciamo a creare delle azioni fluide. È la classica
partita che si risolve con le mischie in aria. Jason
Dodd stende Dennis Bergkamp al limite dell’area di
rigore. È un’opportunità gigantesca. Dodici minuti
al termine, se segniamo adesso non ci riprendono
più. Lo stesso Bergkamp prepara il pallone e lo poggia
attaccato alla linea che delimita l’area di rigore,
all’interno della mezza luna, in posizione centrale.
Il Southampton piazza una barriera composta da sei
uomini. Metto le mani a morsa sul bordo del bancone.
Contraggo i muscoli del collo e trattengo il fiato.
L’arbitro fischia e Bergkamp calcia. La sfera supera
dolcemente la barriera disegnando un arco a mezz’aria.
Salto in piedi facendo cadere lo sgabello. La palla
si stampa sul palo e la difesa del Southampton rilancia
verso il centrocampo.
«Porca troia!» dico a bassa voce.
Mi volto per tirare su lo sgabello. Il coglione a
cui ho offerto da bere sogghigna soddisfatto come se
avesse spinto lui quel pallone contro quella merda di
legno. Mi rimetto al mio posto e torno a osservare lo
schermo. Il collo fa male ma manca poco alla fine.
«Che sfortuna, eh?» dice l’uomo seduto allo sgabello
accanto al mio.
Non mi ero accorto di lui, eppure non passa di
certo inosservato con quel costoso abito scuro che
indossa. Roba di alta sartoria che c’entra veramente
poco con il contesto di questo pub sporco e pieno di
beoni. È un tizio basso con dei baffetti ridicoli. Porta
i capelli impomatati e sistemati come quelli di un pupazzo.
Mi ricorda Higgins di Magnum P.I.
«Con i corvi che ci sono in questo pub sarà difficile buttarla dentro.»
«Non la facevo scaramantico, signor McDonnel.»
«Ci conosciamo?»
«Lei non conosce me, ma io la conosco molto
bene.»
«Davvero?»
«Certo, signor McDonnel. So esattamente chi è
lei. Ho studiato la sua storia a fondo.»
«Illuminami, bello.»
«Lei è Tracy McDonnel, trentatré anni, nato qui ad
Aberdeen. Lavora alla MaySea inc., una piccola azienda
giù al porto, occupandosi di contabilità e archivi.»
«Non faccio solo questo. Sono un tuttofare io.»
«Come preferisce. La sua vita attuale non è molto interessante,
di sicuro non quanto il suo passato.
Nel mondo del calcio lei era considerato un piccolo
prodigio. Quando aveva dieci anni la sua vita è stata
messa sotto i riflettori grazie al suo incredibile piede
destro. Già a quell’età calciava le punizioni come Zico
e nemmeno i portieri della prima divisione riuscirono
a fermare le sue traiettorie.»
«Bello, se Zico fosse morto si rivolterebbe nella
tomba.»
«Lei è diventato un caso e le televisioni di tutto
il Regno Unito hanno iniziato a parlarne. Il suo allenatore
diceva grandi cose di lei e, a quindici anni,
venne selezionato per un provino per l’Arsenal,
squadra che l’ha messa subito sotto contratto. Ha
giocato con le giovanili dei gunners e fece sfracelli.
Aveva una tecnica formidabile, velocità sopra la media e
fiuto del goal. In campo sembrava un calciatore
di un’epoca futura che avrebbe dettato nuovi standard.
Veniva chiamato il nuovo George Best, o anche
il Pelé scozzese.»
«Che cazzate. I giornalisti tendono a ingigantire
sempre le cose.»
«Ho detto qualche inesattezza?»
«Nessuna inesattezza, ma quei soprannomi erano
un tantino eccessivi. Giocavo bene, ma quelli che hai
nominato sono di un altro pianeta.»
«Non giudico, mi limito a narrare fatti. Le aspettative su
di lei crescevano col passare del tempo e
l’Arsenal era sicuro di aver messo le mani sul giocatore
britannico più forte di tutti i tempi. Finché non
arrivò il giorno del suo debutto in prima squadra.
Arsenal-Aston Villa, aveva sedici anni. Mi corregga se
sbaglio.»
«Corretto.»
«Bene, continuo. Come le dicevo lei aveva solo sedici anni,
era un ragazzo giovane e ancora da formare
fisicamente, che è stato lanciato nella mischia in un
campionato fatto di fisicità e gioco duro. Giocò quarantadue
minuti di grande spessore e tutto sembrava
confermare ciò che si pensava di lei. Un talento infinito,
un vero purosangue.»
«Basta con questi complimenti stupidi.»
«Non volevo infastidirla. Il minuto quarantatré
segnò la sua vita per sempre. Rodney Cole, giovane
difensore avversario, fu superato da lei con un tunnel.
Lei si lanciò verso la porta ma la sua corsa venne interrotta
da un durissimo intervento di Cole, a forbice
e da dietro. La sua gamba destra restò piantata a terra,
e tibia e perone si ruppero come cristallo. Il legamento
crociato saltò e il dolore la lasciò senza sensi all’istante.
I mesi a seguire furono un calvario tra operazioni e
riabilitazione. I medici erano pessimisti sul suo pieno
recupero e dopo tre anni tra cliniche specialistiche,
rientri in campo precoci e nuovi infortuni legati al
suo stato muscolare precario, lei decise, lasciando il
mondo del calcio del Regno Unito sgomento, di dare
l’addio al calcio professionistico.»
«Perfetto, sei arrivato al cazzo di punto. Sei qui
per un autografo? Dammi un fazzoletto e una penna
che così mi godo gli ultimi minuti della partita.»
«Mi spiace deluderla, ma non sono qui in veste di
suo fan. Posso però dirle che sono venuto in questo
posto esclusivamente per incontrarla.»
«Bello, dimmi cosa vuoi e lasciami in pace. Te lo
sto chiedendo con gentilezza.»
«Si goda gli ultimi minuti della partita. Io mi
metterò seduto a quel tavolo nell’angolo. Quando
sarà pronto venga a sedersi con me che facciamo due
chiacchiere in privato.»
«Se credi che io sia dell’altra sponda ti sbagli.»
«Si tratta di altro. Abbiamo cose molto importanti
di cui discutere.»
L’uomo fa per alzarsi. Gli metto una mano sul
braccio sinistro e lo fermo.
«Perché dovrei voler parlare con te?»
Con la mano destra estrae una busta bianca, una
di quella per le lettere. La poggia sul bancone, davanti
a me. La busta è tenuta chiusa da un sigillo rosso di
ceralacca con il simbolo di una corona impresso sopra.
Lascio il braccio del tizio che si alza e si va a sedere
al tavolo. Prendo la busta e la giro. Non ci sono
indirizzi né destinatari. La carta ha una grana spessa
e porosa. Una carta molto pregiata dev’essere. Alzo lo
sguardo al monitor, mancano solo i tre minuti di recupero.
Siamo stanchi e il Southampton sta provando ad
attaccare per prendersi i tre punti. Highbury è silenzioso,
come se sugli spalti stessero attendendo la disfatta. Per
fortuna i tre minuti passano e riusciamo a
superare indenni gli assalti di quegli stronzi a strisce.
L’arbitro fischia la fine, un pareggio inutile che ci farà
perdere terreno dal fottuto United.
Stacco il sigillo della busta e ne tiro fuori una lettera
scritta a mano. Non mi piace leggere e vado direttamente
alla firma in basso a destra: “Sua maestà
Elisabetta II”. Uno scherzo del cazzo, non può essere
altro. Mi alzo e vado verso l’uomo che sta scrivendo
qualcosa su un taccuino.
«Vuoi prenderti gioco di me, bello?! Sei un giornalista o
cosa?» gli dico.
«Vedo che ha aperto la lettera. L’ha letta?»
«Ovviamente no. Ho letto solo la firma e tu mi stai
prendendo per il culo.»
«Niente affatto, signor McDonnel.»
«Farai meglio a darmi una spiegazione valida, non
mi piacciono gli scherzi.»
«Lei ha tutto il diritto di chiedere spiegazioni e, se
si siede, sarò lieto di offrirgliele.»
Faccio come mi dice. La sua aria calma e rilassata mi
infondono una certa tranquillità, e questa cosa
non mi piace.
«Oltre alle spiegazioni offrimi anche una birra,
bello.»
«Perfetto. Barman, un bicchiere di Chianti e una
birra al nostro tavolo per cortesia.»
«Non abbiamo quella merda rossa in questo locale» dice
Jeff con la sua proverbiale gentilezza.
«Capisco, allora ci porti due birre.»
Questo tipo è come una scimmia in una cabina di
pilotaggio di un jet, assolutamente fuori luogo.
«Il mio nome è Simon Oswald e lavoro per sua
maestà la regina Elisabetta II. Precisamente faccio
parte dei servizi segreti. Sono venuto qui perché la
Gran Bretagna ha bisogno di lei, signor McDonnel.»
«Non è un po’ tardi per chiedermi di arruolarmi?»
«Lei è fuori strada, signor McDonnel. Quello che
sto per dirle, e che trova già scritto in quella lettera,
non ha nulla a che fare con le forze armate.»
Jeff porta le due birre e le poggia, con un colpo secco,
sul tavolo facendo fuoriuscire una parte di liquido dai
boccali. Oswald attende che Jeff si allontani per parlare.
«Ha uno sguardo incuriosito, signor McDonnel.
Posso chiederle come mai?»
«Bello, non hai proprio l’aspetto di Sean Connery,
non mi sembri un agente segreto al servizio di sua
maestà. Senza offesa.»
«E lei non sembra più l’atleta di un tempo, se mi
permette.»
«Direi che siamo pari, bello.»
«Direi di sì. Posso continuare?» dice.
«Sono tutt’orecchi.»
«Come le dicevo, la Gran Bretagna ha bisogno del
suo talento per un’importante missione diplomatica.»
«Talento? Io non gioco più a calcio, dovrebbe saperlo.»
«Ne sono al corrente, ma abbiamo tempo e modo
per discutere di questi dettagli.»
«Se per lei questo è un dettaglio…»
«Ascolti ciò che ho da dirle e poi sarà del mio stesso parere.
Sette mesi fa, due nostri agenti sono stati
fatti prigionieri dal governo dello Chucatan.»
«E dove diavolo sarebbe?»
«Lo stato dello Chucatan è nel bel mezzo del Pacifico.
È un’isola per la precisione.»
«Mai sentita.»
«Non mi meraviglia, la comunità internazionale
cerca di tenere all’oscuro le notizie provenienti da
quel paese, così come fa con tanti altri luoghi considerati a
rischio. Esistono oltre cento nazioni di cui
non conosce nemmeno l’esistenza, glielo garantisco.»
«Se lo dici tu, bello.»
«Ritornando ai nostri agenti, erano in missione
diplomatica in Chucatan ma le cose sono andate male
e il leader del posto, tale Mema Tonzu, li ha fatti torturare
e arrestare. Non vogliamo scatenare una guerra contro lo
Chucatan ma dobbiamo assolutamente
recuperare i nostri agenti vivi.»
«Avete bisogno di James Bond, non di Tracy McDonnel, mi sa.»
«Lo stato di allerta in Chucatan è al massimo livello e
infiltrare altri agenti sarebbe troppo rischioso. Dopo
settimane di trattative siamo giunti a un
accordo che abbiamo stipulato direttamente con il
leader. In Chucatan il calcio è lo sport nazionale, e
lo stesso Mema Tonzu lo pratica e lo adora. Per fargliela
breve, il leader ci ha chiesto di organizzare una
partita di calcio tra una nostra rappresentativa e la
squadra campione in carica del suo paese. Ovviamente, per
non agitare l’opinione pubblica, non possiamo chiedere
ai calciatori della prima divisione di
scendere in campo.»
«E avete pensato a me come sacrificio? Grazie
mille, amico, ma non ci sto. Prendi il tuo abito firmato
e vattene da dove sei venuto.»
«Non corra, signor McDonnel. Se sono qui a parlare con lei è
per due ragioni. La prima è che la sua
presenza è stata chiesta espressamente da Mema Tonzu,
che pare sia stato un suo grandissimo ammiratore
quando la sua storia salì agli onori della cronaca.»
«Bene. E la seconda?»
«La seconda è l’opportunità che le metto sul piatto.
Sua maestà è disposta a ricompensarla con un milione
di sterline più il titolo onorifico di Sir.»
«Adesso sì che mi stai prendendo per il culo.»
«Capisco la sua incredulità, ma le assicuro che
sono molto serio. Dobbiamo recuperare quegli agenti
e faremmo di tutto per riportarli a casa.»
«E io non dovrei fare altro che andare lì e giocare
una singola partita?»
«In realtà la partita dovrà essere vinta ma non si
preoccupi, il livello della squadra da affrontare è molto
basso, pari alla quinta categoria del campionato
inglese. In pratica sono dei dilettanti, e un’eventuale
disfatta non è da prendere in considerazione.»
Questa faccenda mi puzza di marcio. La regina ha
bisogno di me per giocare una partita in culo al mondo.
Se tutto fosse vero potrei anche pensare di rispolverare
le scarpette. Cazzo, si tratta di un milione di
sterline. Per non parlare del fatto che potrei diventare
Sir Tracy McDonnel. Da bambino sognavo di riuscire
ad avere quel titolo grazie alle mie imprese sportive,
come Bobby cazzuto Charlton.
«Quanto tempo ho per pensarci?» chiedo.
«Non molto. Consideri che più passa il tempo e più
i nostri agenti rischiano. Poi dobbiamo rimetterla in sesto
perché ci è stato chiesto che i calciatori presenti alla
partita abbiano una forma fisica decente. Le concediamo
quarantotto ore per darci una risposta. Se rifiuta dovremo
tentare un approccio differente. La partita si disputerà
tra sei mesi, ma senza di lei là non ci sarà alcuna partita.»
«Ok, ok. Come la contatto nel caso decida di accettare?»
Prende un biglietto dal taschino della giacca e me
lo porge. Un biglietto nero con un numero di telefono in
bianco. Nient’altro, nessun nome, nessuna indicazione.
«Può chiamarmi a questo numero.»
Oswald prende il boccale di birra e fa un lungo sorso.
La schiuma gli rimane sui baffi. Mi viene da ridergli in
faccia per il suo aspetto stupido e devo mordermi il labbro
superiore per trattenermi. Dal portafogli tira fuori
una banconota da venti e la poggia sul tavolo.
«Lasci la mancia al barman. Adesso devo andare. Si
goda il resto della serata» dice.
Resto lì a fissare il bigliettino mentre Oswald esce
dal pub col suo baffo pregno di schiuma. Ho due giorni di
tempo per riflettere su questa opportunità. Non sono treni
che passano spesso ma ho una strana sensazione. Forse il
destino vuole restituirmi ciò che mi ha tolto tempo
fa. Dovrei accettare senza pensarci troppo, lo so, ma mi
sento agitato come non mai e non riesco ancora a fidarmi
di quel tizio. Tutto potrebbe essere uno scherzo e so che,
se ci cascassi, mi sentirei come il più grande stronzo della
terra. Prendo la mia birra e ne bevo metà boccale in un
sorso. Stanotte ci metterò una vita per prendere sonno.

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Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Leggendo la bozza del romanzo mi sono divertita un bel po’. Libro ben scritto, scorrevole, avvincente che si legge con piacere. Mi ha fatto ridere e riflettere allo stesso tempo.
    Ex calciatore in missione per conto di sua Maestà, Tracy McDonnel mi ha fatto scoprire aneddoti calcistici che non conoscevo come il grande Lev Jašin- il Ragno Nero- ritenuto da molti il più grande portiere al mondo..ma soprattutto è un invito alla necessità di non rinunciare ai propri sogni e ai propri obiettivi, con motivazione anche quando ci sono degli ostacoli che sembrano insormontabili e impossibili da superare.
    Complimenti Roberto per il tuo talento straordinario nell’inventare storie e personaggi 🙂
    Consigliato a chi cerca qualcosa di nuovo!!!

  2. (proprietario verificato)

    Quando ho letto la prima stesura di questo libro credevo tutto tranne che mi sarebbe piaciuto. Invece no, mi è piaciuto davvero! Divertente, ironico e ricco di storie che pur trattando di sport e non essendone un’esperta, ti appassionano! Il merito è di una buona combinazione di fantasia e passione per il calcio, ma soprattutto di una vera passione per la scrittura! Attendo la copia cartacea e intanto lo consiglio a tutti!

  3. (proprietario verificato)

    Letto il pdf di questo libro, che dire… un ex calciatore in missione per conto di sua maestà. Un modo di raccontare il calcio tutto nuovo, che mi ha colpito sin dalle prime pagine. Complomenti.

  4. (proprietario verificato)

    Non amo il calcio ed ero scettico su questo libro nonostante il conaiglio di un’amica. L’ho trovato fresco e interessante. È un’avventura simpatica con il calcio come sfondo. Davvero una sorpresa.

  5. (proprietario verificato)

    Mi è stato consigliato da un amico che ne possedeva la prima versione. La stesura che ho letto mi ha intrigato parecchio. Una storia assurda ma simpatica, ironica e surreale. Davvero consigliato.

  6. (proprietario verificato)

    Ho letto la prima stesura del libro. La storia è particolare e intrigante, la leggi con piacere dall’inizio alla fine, anche grazie allo stile molto fresco e scorrevole della scrittura.

  7. (proprietario verificato)

    Ho letto la bozza del romanzo e, nonostante non ami il calcio, sono stata catapultata in una storia avvincente che mi ha davvero appassionata! Chi l’avrebbe mai detto: non vedo l’ora di leggerlo ultimato per poi riporlo nella mia libreria.
    Grazie Sir Football per avermi stupita! 😀
    Ah, naturalmente lo consiglio a tutti. Anche a chi come me non segue il calcio.

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Roberto Miller
Roberto Miller è nato a Napoli nel 1984. Ha studiato arti figurative presso l’accademia di belle arti di Napoli, e tecniche di sceneggiatura per il fumetto e per il cinema. Lavora come illustratore freelance. Sir Football è il suo primo romanzo.
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