Diario di Dora
01/05/1959
I Sogni
La prima volta che le mie mani sfiorarono il Cristallo non potevo ancora comprendere gli incredibili eventi destinati a segnare la mia esistenza. Perché proprio io? A cosa mi sarebbe servito?
Questi interrogativi hanno affollato la mia mente per anni e, nonostante i miei sforzi nel cercare risposte, il velo del mistero persisteva.
Ogni volta che i tormenti dell’incertezza mi assalivano, trovavo rifugio nella scrittura. Oggi, tuttavia, ho deciso di iniziare questo diario con una finalità ben precisa: so che queste pagine non saranno d’aiuto a me stessa, ma a qualcun altro.
Ma partiamo dall’inizio.
Quando i miei genitori mi regalarono il mio primo diario, avevo appena compiuto sei anni. Avevo da poco scoperto il potere della scrittura e ricordo vividamente il modo in cui ogni pagina diventava il palcoscenico di ciò che mi circondava; mamma e papà, la loro vita, la scuola, i miei compagni e le passioni che rendevano ogni mia giornata un’avventura indimenticabile.
Sebbene quel primo diario sia andato perduto, la sensazione di quel momento persiste: la penna danzante sul foglio, la corsa lenta della mia mano, l’emozione che trasformava i pensieri in parole scritte…
Le notti, poi, sono sempre state il mio rifugio, un portale segreto per esplorare mondi sconosciuti e quando ero bambina scrivere era il mio passaporto per l’ignoto, una chiave che apriva le porte delle sensazioni più profonde e misteriose.
Ricordo vivamente quelle notti in cui il mio corpo, immerso in uno stato di dormiveglia, sembrava varcare un tunnel luminoso, catapultandomi in una dimensione misteriosa e al contempo familiare. In quel momento, la mia anima si separava dalla figura distesa sul letto e mi ritrovavo a fluttuare sopra di esso, con l’universo come sfondo.
Un’emozione intensa mi risvegliava, ma quella sensazione di sospensione tra cielo e terra rimaneva ancorata a me come nuvole bianche in attesa di trasformarsi e tornare all’infinito. Oggi, ventenne, i sogni sull’universo continuano a regalarmi benessere. Spesso sogno di viaggiare a bordo di una casa volante tra pianeti sconosciuti e l’immensità delle galassie, dove il tempo scorre senza paura, rafforzando nuove consapevolezze. Questa sensazione d’infinito mi attraversa all’improvviso, svegliandomi e proiettandomi in uno stato di completo benessere.
Esiste una fase del sonno in cui percezioni e pensieri inconsci ci connettono con il nostro io più profondo, con l’anima. Così i sogni diventano il terreno fertile di ogni possibilità. C’è chi li vede come riflessi dell’inconscio, che permettono di esplorare desideri proibiti, e chi li interpreta come frammenti confusi della vita quotidiana, veicoli di simboli astratti difficili da decifrare.
Io da questi viaggi notturni attraverso il mondo dei sogni ho imparato che la mente è un vasto oceano inesplorato e la penna, la mia fedele compagna, è la nave che solca le acque della mia immaginazione. Ogni pagina diventa una mappa di nuove terre da esplorare e di emozioni da scoprire.
Il buio della notte diventa lo scenario in cui i sogni, come gentili ospiti, bussano alla mia porta. Quando decido di aprire, loro si insinuano nella mia realtà come una brezza misteriosa, portando con sé frammenti di vita da tempi lontani e luoghi remoti. In questa danza onirica, il passato si mescola al presente e il futuro si svela attraverso una serie di visioni intrise di mistero.
Rivivo momenti carichi di intensità, spostandomi nel tempo e nello spazio, dove le emozioni sgorgano come fiumi in piena.
La trama dei sogni si dipana, rivelando segreti, passioni, tristezze, gioie, paure e frustrazioni. Inizialmente, queste emozioni si presentano come un labirinto confuso, ma presto trovano una loro logica, un senso profondo nel loro disordine apparente. E io mi avventuro verso mete sconosciute, vagando senza limiti, rifugiandomi o fuggendo a seconda della natura di ogni sogno.
Talvolta, il futuro si dipinge davanti a me come un quadro ancora da completare, anticipando eventi a me sconosciuti, come se il sonno fosse una profezia di quello che verrà.
Anche il mio nome, Dora, porta con sé una storia magica, manifestatasi nei sogni di mia madre.
Dopo anni di speranze e tentativi di concepire, infatti, il destino le si rivelò in una notte speciale. Sognò una donna di nome Dora che le consegnava un misterioso regalo che lei, dopo qualche istante di titubanza e riflessione accettò.
Circa due mesi dopo quel sogno, la gioia dell’attesa si concretizzò quando mia madre rimase incinta e così decise di chiamarmi proprio come la donna che le era apparsa.
Il significato intrinseco del mio nome, “dono” o “regalo”, mi si svelò in seguito, grazie alle parole di una saggia signora del nostro paese. Quando condivisi questa scoperta con mia madre, la connessione tra il sogno e la mia esistenza si rafforzò. Ero davvero un dono, un regalo prezioso per la mia famiglia.
In quel momento forse non comprendevo appieno la portata e lo scopo del mio essere viva, ma sentivo che ci fosse un significato profondo dietro questa storia. Era come se il mio destino fosse stato predeterminato dal respiro sottile di un sogno, aprendo le porte a una vita che avrebbe svelato il suo scopo con il passare del tempo.
Continua a leggereVivo a Piana degli Albanesi, un luogo che mantiene intatte le sue radici e tradizioni da cinque secoli. I nostri antenati, provenienti dall’Albania, si stabilirono qui sul finire del Quattrocento, integrandosi con la popolazione locale e preservando le proprie usanze, dalla lingua, la gluha, alla letteratura, sino alle tradizioni religiose. Ancora oggi, infatti, parliamo due lingue distinte, l’italiano e l’arbëresh, e durante le festività natalizie e pasquali sfoggiamo con orgoglio i nostri costumi tipici, ricamati con fili d’oro e d’argento, sfilando nel corso principale. L’atmosfera in quei giorni è permeata di gioia e folklore.
In questo angolo di paradiso, immerso in una natura incontaminata, l’aria è pura rispetto alla città, dove le fabbriche generano tristezza e inquinamento.
La mia casa in pietra si trova a poca distanza dal magico lago, da sempre un rifugio che mi accoglie e consola nei momenti cruciali della vita.
Questo specchio d’acqua tra i monti è il custode silenzioso dei miei pensieri più intimi, un confidente fedele a cui mi piace svelare le emozioni che sfuggono all’occhio umano. Credo fermamente che la magia si nasconda in questo rifugio naturale, un incantesimo percepibile solo con il cuore.
Ogni tramonto, ogni panorama mozzafiato sembra il simbolo di un’essenza superiore, un segreto universale che si svela solo a chi sa guardare al di là della superficie.
Le acque tranquille fungono da specchio per l’anima, riflettendo non solo il cielo sereno, ma anche i riflessi più profondi delle mie emozioni. È come se la natura stessa partecipasse a un dialogo segreto, svelandomi i misteri della vita.
In questo rifugio sento che la connessione tra la terra e l’anima è concreta, reale, e la bellezza del paesaggio diventa un portale per immergersi nell’infinito.
Ogni onda che accarezza la riva sembra portare con sé una soave melodia, un canto antico che risuona nel profondo della mia essenza.
Un giorno, mentre scendevo la collina che conduce alle sue sponde, mi fermai e mi sdraiai sull’erba. Chiusi gli occhi e dentro di me risuonarono distinte queste parole: “Quando ci fermeremo sulla collina, le nostre mani attireranno amore infinito”. Sembrava quasi che qualcuno mi stesse sussurrando quella frase all’orecchio e in quel momento di suggestione mi guardai attorno. Un brivido attraversò il mio corpo e la mia mente, per svanire poi improvvisamente. Era pura magia.
Spesso accompagno mio padre in paese per vendere il raccolto ai mercanti provenienti dalla città.
La nostra ricotta è molto apprezzata e papà mostra un attaccamento profondo alla terra e ai suoi frutti. A volte sembra che parli con i pomodori e le patate, e quando lo fa, io e mamma scoppiamo a ridere mentre lui si offende e va nella stalla a chiacchierare con cavalli, pecore e maiali. «Menomale che ho voi che mi ascoltate senza giudicare. Ato dy gn ndëlgón mosgjë» dice sempre, accarezzando le pecore.
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