Era dannatamente freddo, volevo sentire ancora sulla mia pelle quel calore ma era scomparso.
L’oscurità si aggrappò a me e mi trascinò in fondo, non permettendomi di scappare e, proprio cullato da quel freddo e da quell’oscurità, mi addormentai.
In quel momento qualcosa si strappò.
Qualcosa di veramente importante.
Faceva male.
Stavo sprofondando.
Riaprire gli occhi fu qualcosa di nuovo ed inaspettato. Era come se mi fossi risvegliato da un lungo sonno, appena schiuso come una crisalide.
C’era un fischio assordante nelle mie orecchie e l’unica cosa che sentivo era una stanchezza che ricadeva sul mio corpo immobile ed intorpidito. La mente era vuota.
Vedevo solo il viso sorridente di una donna dalle labbra sottili e rosee, il viso magro, la pelle chiara e gli occhi castani mentre qualche ciocca scura le ricadeva elegantemente sulla fronte e sulle guance.
Non l’avevo mai vista prima.
Chiusi gli occhi.
Una risata fu il primo vero suono che riuscii a percepire.
«Svegliati» la sua voce era gentile.
Ascoltai le sue parole e posai lo sguardo su lei, ma ancora non riuscivo a riconoscerla.
Allora osservai la stanza quasi buia e vuota. C’erano solo il letto su cui ero steso e altri due l’uno a fianco all’altro, un comodino con sopra una candela da cui proveniva l’unica luce e una finestra in fondo, chiusa.
No, ancora non ci riuscivo.
Mi faceva male la testa, la sentivo pesante, eppure era così vuota.
Ogni sforzo era una spina in più che si aggiungeva alle fitte che mi torturavano.
Mille domande affollavano la mia mente: dov’ero? Chi era quella donna? Ma soprattutto…
«Chi sono io?» quelle furono le mie prime parole.
Ero sicuro di aver pronunciato io quella frase, eppure sentivo quella voce per la prima volta.
Non riuscivo a ricordare niente, nemmeno la mia stessa voce.
Non riuscivo a staccare i miei occhi affaticati e sul punto di piangere da quella donna, lei doveva darmi una risposta!
Invece rimaneva in silenzio mentre il suo viso non sembrava minimamente sconvolto, con le labbra ancora incurvate in un sorriso dolce e affettuoso.
«Chi sei tu? Dove sono?»
Ancora silenzio, ancora quel maledetto sorriso.
Mi limitai a guardare il soffitto con occhi vuoti, non riuscii a fermare le lacrime.
Non ricordavo niente…
Mi era rimasta solo quella mano.
No, ormai l’avevo persa. L’unica cosa che potevo fare era rimpiangere di non averla raggiunta in tempo.
«Bene, ragazzi, salutate Sol.»
Mi nascosi dietro la gonna della donna, stringendola tra le piccole dita.
«Forza, Sol, non essere timido.»
La guardai negli occhi, spaventato. Nascosi il viso tra la stoffa e scossi il capo pieno di ricci dorati.
«Va tutto bene, non devi aver paura.»
Sollevai lo sguardo e osservai i bambini che mi stavano davanti. Erano tre, tutti dagli occhi curiosi.
«Lui,» indicò l’unico maschio. «È Damian. Forza, avvicinati.»
Il ragazzino dai corti capelli castani fece solo qualche passo, come intimorito, ma mantenendo sempre quella scintilla di felicità mista ad interesse che gli illuminava il viso.
Tese la piccola mano con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, mentre io con le mie mi limitavo a stringere la gonna della donna.
«Ciao!» disse con un tono di voce insolitamente alto. «Sono il tuo nuovo fratello.»
«Sol, saluta…» la sua voce era talmente tanto dolce e gentile che non potei dirle di no, ma appena sfiorai quelle dita così calde in confronto alle mie, gelide, sussultai.
La donna si piegò sulle ginocchia, la sua mano sulla mia spalla e le labbra che mi sfioravano le orecchie. «Lei è Julia» indicò una ragazza dai lunghi capelli scuri raccolti in una treccia, visibilmente più grande di me; poi passò alla bambina accanto dai magnetici occhi celesti e una chioma bionda. «Lei è Annette.»
«Damian» guardai il bambino che mi stava di fronte. «Julia» sorrise. «Anne… Anna…»
Tutti e quattro risero, mentre sentivo l’imbarazzo crescere.
«Mamma, si chiama “Sol” perché ha gli occhi come il sole?» chiese Damian tirando la gonna della madre.
Gli occhi come il sole…
Come erano i miei occhi? Non lo ricordavo…
«Sì, Damian, non è bello come il sole? Che gli dei siano benedetti per questo piccolo miracolo.»
Guardai la donna, di cui non conoscevo ancora il nome. Come dovevo chiamare lei?
«Mamma…?»
Si fermò. Si voltò verso di me con gli occhi granati e un sorriso dipinto sul volto. Le sue braccia mi circondarono, infondendomi un calore che non credevo di aver mai sentito prima.
Mi sentivo bene.
Quella era una famiglia, io avevo un nome, avevo qualcosa a cui appartenere.
Perdere i ricordi forse non era stato una disgrazia.
Potevo farmi una vita.
Una nuova.
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