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Somnia – Il sigillo di Morfeo

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Cancún, 1990. I neolaureati Harry ed Emma scovano un tempio greco dentro una grotta nelle profondità della terra. Sicuri di aver fatto una scoperta straordinaria, cercano di studiarne la provenienza non consapevoli di aver riesumato un pericolo nascosto da secoli. Londra, 2010. L’adolescente Catherine ha una vita normale. Nonostante la prematura scomparsa della madre, può contare su amici che le vogliono bene, un padre affettuoso e un lavoro stabile. Tuttavia, nasconde un segreto che la tormenta: ogni notte, incubi spaventosi la tengono sveglia e non le danno pace. Le cose precipitano quando gli incubi si riversano nella vita reale sconvolgendone gli equilibri. Con l’aiuto di Andreas, un misterioso ragazzo comparso all’improvviso nella sua vita, si ritroverà a sciogliere i nodi di un mistero intriso di miti e complotti celato per anni a cui i genitori, vent’anni prima, inconsapevolmente hanno dato inizio.

PRIMA PARTE

 

“Una creatura strana, il passato Se lo si guarda negli occhi Estasi, la sua quietanza, Oppure Disonore.

Urlerei ‘scappa’
A chiunque lo incontrasse disarmato Le sue Munizioni arrugginite Potrebbero uccidere ancora.”

Emily Dickinson

 

CAPITOLO UNO

Ottobre 1990

Sud di Cancún

La Jeep 4×4 percorse l’ultimo tratto di strada sterrata, poi lo la- sciò nel punto concordato. Harry avrebbe raggiunto gli altri a piedi. Fece in tempo a salutarli mentre tornavano ognuno alla propria ten- da, a rinfrescarsi dopo una giornata passata in mezzo alla polvere che profumava di passato e mistero.

Mentre si accingeva a esaminare alcuni documenti trovati vicino a un manufatto che sperava potesse essere la scoperta del secolo, le mani sul tavolo e la fronte corrugata, fu distratto da un rumore di passi. Si aspettava un collega con del caffè, invece restò interdetto. Davanti a lui, fasciata in un completo di lino bianco, c’era la ragazza più bella che avesse mai visto. 

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«E così sei tu, quello che mi ha soffiato il progetto da sotto il naso.» Incrociò le braccia.

Rimase paralizzato da una tale sfrontatezza, tanto che non riuscì a replicare.

«Che c’è? Gli spiriti dei Maya ti hanno mangiato la lingua?»
«No no. È che io non l’ho mai vista prima d’ora.»
«Io invece so benissimo chi sei tu. Diciamo anche che non mi ha sorpreso affatto che quel misogino di McKinney abbia preferito te.» A quel punto capì. All’Università di Edimburgo il professor Edward McKinney, ossessionato dai Maya e dal Messico ma ormai troppo anziano per poter partire da solo, aveva dato la possibilità a un neolaureato di guidare quella spedizione sotto la sua stretta direttiva.
«Posso assicurarti che non ne sapevo nulla.»

«Voglio darti il beneficio del dubbio. Dopotutto se ha scelto te un motivo dovrà pur esserci, e non credo sia per i tuoi occhioni da cucciolo abbandonato» disse squadrandolo dalla testa ai piedi. «Sono qui per dirti che non ho intenzione di lasciarti tutto il divertimento. Qualsiasi cosa il professore ti abbia promesso, voglio prendere parte attiva alla spedizione e ovviamente dividere il merito.»

Però, che caratterino, pensò lui, e anche stavolta non riuscì a ribattere.

«Dimmi a che punto siete.» Si avvicinò, le mani che seguivano i documenti appoggiati su alcuni libri.

«Abbiamo effettuato l’analisi del territorio e lo scavo stratigrafico, e abbiamo scoperto un passaggio che porta ai fiumi sotterranei. I ragazzi hanno già preparato tutto, scenderò domani all’alba. Se deciderai di rimanere, farò preparare l’attrezzatura anche per te.»

«Ci puoi scommettere.»

 

La puzza di muffa fu la prima cosa che li accolse. Avevano legato le funi agli alberi vicino all’accesso e si erano calati. Le torce sugli elmetti avevano illuminato uno stretto sentiero invaso da terra e radici, così si erano messi carponi e avevano gattonato per diversi metri, fino a quando la cavità non si era allargata tanto da permettere loro di alzarsi. Quando gli occhi si abituarono alla fioca luce delle lampadine, ciò che videro li lasciò senza fiato.

 

CAPITOLO DUE

Novembre 2009

Londra

Umido. Muffa. Vecchio.
Una zaffata di marcio mi invase le narici e cominciai a tossire. Mi trovavo in una stanza dall’aspetto familiare, accasciata a terra e con i polmoni in fiamme, le lacrime scendevano copiose e il volto reso appiccicoso dal sudore mi bruciava nei punti in cui ero escoriata. Benché mi sforzassi di reagire, di urlare, non riuscivo a fare nulla, ero paralizzata.

Mi accorsi di una figura che mi scrutava da un angolo, un ghigno gli deformava il volto e due occhi scintillavano. Un brivido mi corse lungo la schiena fino all’attaccatura dei capelli, strizzai gli occhi pregando che fosse solo un’allucinazione. Quando li riaprii, qualsiasi cosa si celasse nella penombra era scomparsa.

Poi un dolore sordo si irradiò dalla testa e tutto si fece buio.

Mi svegliai ansimando in un bagno di sudore, il cuore che minacciava di uscirmi dal petto e la testa in fiamme. Mi girai a guardare la sveglia: quattro minuti dopo le tre. Scesi dal letto stropicciandomi gli occhi e andai in cucina per bere un bicchiere d’acqua, dopodiché tornai in camera, recuperai il tascabile dal comodino e sperai che il sonno tornasse a prendermi. Avevo sempre faticato ad addormentarmi e da qualche mese il problema si era accentuato tanto che la maggior parte degli incubi si ripeteva a cadenza regolare. “Leggi troppi horror” mi avrebbe detto Beth, e io probabilmente le avrei tirato addosso proprio uno di quei libri.

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Riccardo Filloramo
Classe 1993, nasce a Messina e attualmente vive e lavora a Milano con il compagno e i loro due cani. Da sempre appassionato di libri, scrittura e d’arte in tutte le sue forme, dopo un sogno particolarmente vivido, decide di cimentarsi nella scrittura di “Somnia. Il sigillo di Morfeo”, il suo primo romanzo.
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