Eppure ora Rek era in ginocchio, sudicio del suo stesso sangue, mentre la creazione oscura di suo fratello lo portava sempre più vicino alle braccia dell’ombra, e proprio Derian lo osservava senza emozioni, mentre Lorek, alle sue spalle, sembrava aspettare che tutto finisse.
Rekear comprese troppo tardi cos’era successo e sentì solo amarezza. Cercò di urlare, di maledirlo, ma l’ombra scivolò fuori dal suo corpo in un singolo fruscio, strappandogli il fiato, e il principe dei Saek cadde per terra, senza dire altro, riverso nella gloria del suo stesso sangue.
Hemia
Sua madre le aveva insegnato che non tutto il male viene per nuocere e che molto spesso la strada più oscura nasconde la luce più accecante. In quel momento però, mentre il carro che trasportava lei e un’altra dozzina di persone sussultava per la strada irregolare e la paura aveva sostituto l’aria, Hemia non riusciva a trovare la luce. Aveva lo sguardo annebbiato e tutto era confuso e ovattato; le sue labbra erano una prigione per le parole che avrebbe voluto pronunciare e un forte dolore allo stomaco le impediva di mettersi ben dritta. Continuava a toccarsi il ventre, come se cercasse quel bambino che aveva perso qualche ora prima, ma non riusciva a trovare nulla.
Ricordava ancora lo sguardo di Lukas non appena aveva saputo la notizia: era così felice.
Lukas…
Alzò lo sguardo e non lo trovò. La stretta allo stomaco si fece più forte, come se qualcuno la stesse pugnalando dall’interno. Non c’era nemmeno Shani. Dov’erano finiti? Cercava con avidità i capelli color grano di sua figlia e di suo marito, ma nessuno dei presenti li aveva. Il suo sguardo si posò sul guidatore del carro, un soldato Niaergen, che aveva addosso l’armatura dell’esercito di Niaer: l’usbergo e gli abiti verdi di grezza fattura; il suo elmo era semplice, senza alcuna decorazione. Doveva essere uno dei tanti militari scelti per controllare i campi di schiavismo, istituiti da poco per contenere e punire qualunque ribelle venisse catturato dalle truppe dell’Impero.
Hemia non era una ribelle, ma Lukas sì. Ricordava sin troppo bene le notti in bianco seduta in casa ad aspettarlo: tornava nel cuore della notte, a volte ferito, ed Hemia ripuliva ogni taglio o abrasione che il marito si procurava. Aveva custodito il suo segreto con la cura di un sacrestano e nemmeno nelle sue confessioni aveva accennato a ciò che Lukas faceva: per proteggerlo aveva anche mentito al Sacrificato. Eppure i soldati Niaergens li avevano trovati, probabilmente avevano preso Lukas e forse li avevano separati per sempre. Hemia ricordava il suo urlo di dolore di quella sera, mentre uno di loro le colpiva il ventre e la buttava a terra sotto gli occhi di Lukas, trattenuto da altri due soldati. Ricordava Shani che spaventata aveva osservato la scena mentre veniva scossa da forti singhiozzi e soprattutto ricordava un’assordante sensazione di impotenza, mentre tutto diventava buio e lei perdeva i sensi.
Chiuse gli occhi, sussurrò qualche preghiera mentre le lacrime le bagnavano le guance. Non sapeva quanto tempo fosse passato, forse non voleva nemmeno saperlo; voleva solo chiudere gli occhi e ritrovarsi nel suo letto, con Lukas accanto, voleva preparargli la colazione e salutarlo prima che uscisse, voleva portare Shani al mercato del paese e comprare quella girandola che tanto le piaceva, ma a cui aveva dovuto rinunciare perché Hemia non aveva abbastanza soldi per poterla comprare, voleva recuperare quel bambino perduto per poterlo dare a Lukas, per dargli il bambino che tanto desiderava.
Dopo la nascita di Shani, Hemia si era sentita quasi in dovere di dargli un figlio maschio: Lukas aveva sempre detto che amava Shani, ma la sua estrema gioia di fronte alla notizia di un altro figlio aveva convinto Hemia che la sua fosse un’assennata rassegnazione e non la vera e propria verità.
Aveva il vestito sporco di sangue raggrumato: il sangue era gelido, eppure sembrava bruciarle la pelle come se fosse fuoco. Era rimasto solamente questo di tutta la gioia che aveva provato e di quel bambino che aveva tanto atteso.
Il carro sobbalzò e liberò Hemia dai suoi pensieri. Gli altri passeggeri ebbero la sua stessa reazione, sobbalzando e imprecando sottovoce; accanto a lei una ragazza si svegliò. Doveva avere vent’anni ed era minuta, eppure le spalle larghe facevano pensare a dei muscoli ben sviluppati e resistenti. I corti capelli neri le ricadevano sul volto pallido e allungato, svelando le orecchie leggermente a sventola. I suoi occhi erano grandi e grigi e le labbra sottili. La giovane si strinse nelle spalle e si guardò attorno; il suo sguardo freddo si posò su tutti i passeggeri, come se li stesse contando. Hemia provò l’irrefrenabile impulso di parlarle: aveva bisogno di rompere il silenzio e di comunicare con qualcuno, oppure si sarebbe soffocata con le sue stesse parole.
Fu la ragazza però a iniziare la conversazione: «Di dove sei?».
«Tolmen» rispose Hemia e si stupì del suono della sua voce spezzata. «Tu, invece?»
«Kriten.» La giovane avvicinò le ginocchia al petto, nel tentativo di scaldarsi.
«Sono arrivati fino a lì?»
Kriten era il paese più a nord delle coste dell’Ovest e confinava con la foresta di Shadon. Se i Niaergens avevano raggiunto Kriten, ciò significava che tutti i paesi che lo precedevano erano stati conquistati. Quante persone erano morte? Questa domanda pugnalò il cuore di Hemia, mentre i suoi occhi andavano a contare tutti i prigionieri.
«Siamo una ventina, però stiamo andando a Doulen: è il campo più grande. Come minimo ci saranno molti altri prigionieri.» Non c’era alcuna sfumatura nella sua voce, come se stesse esprimendo una verità innegabile. «Come ti chiami?»
«Hemia Nerren.»
«Lilianne Andren.» Le porse la piccola mano pallida ed Hemia la strinse. Non sapeva perché Lilianne le stesse riservando quel trattamento amichevole e forse non voleva saperlo: era felice di vedere tanta gentilezza anche in una situazione simile. Il pensiero di Lukas le fece porre una domanda e al tempo stesso cancellò quella poca gioia appena provata.
«Hai idea di dove portino i ribelli?»
La ragazza si irrigidì. «Vengono tutti sottoposti a un interrogatorio e poi uccisi, compresi quelli che hanno dato informazioni.» La squadrò da capo a piedi. «Chi hai perso? Tuo fratello? Tuo padre? Tuo marito?»
«Mio marito e mia figlia» rispose Hemia.
Restarono in silenzio per qualche istante, momenti in cui Hemia si limitò a osservare il paesaggio davanti a sé: erano solo distese d’erba secca, forse un tempo verdi e cariche di vita, che si estendevano per chilometri; erano marchiate dalle impronte dei cavalli, che disseminavano il prato di macchie marroni. Quando ebbe accumulato abbastanza coraggio, si voltò verso Lilianne.
«Hai idea di dove portino i bambini?»
Non ce n’erano sul carro. Hemia aveva il terrore della risposta che avrebbe potuto sentire: immagini di Shani morta, con la gola tagliata e con gli occhi vitrei e spalancati, le invadevano la mente. Potevano averla venduta alle Città Proibite insieme ad altri bambini e solo il Sacrificato sapeva cosa certi uomini sarebbero stati capaci di fare a una bambina, forse l’avrebbero fatta lavorare fino allo stremo. All’improvviso aveva di nuovo voglia di piangere, urlare e strapparsi i capelli.
«I bambini vengono inviati nella capitale, a lavorare nelle botteghe o nei palazzi. Quelli con disturbi particolari vengono studiati dai medici. L’Imperatore Erik a quanto pare sa essere magnanimo.» Si inumidì le labbra.
«Hai sete?» chiese Hemia, con una sorta di preoccupazione nella voce.
«Un po’, ma non possiamo farci nulla.» Una pura ovvietà.
Gli altri passeggeri iniziarono ad agitarsi e a sussurrare. Lilianne lanciò loro uno sguardo e poi fece lo stesso, ma guardando in avanti in direzione del soldato. Toccò gentilmente la spalla a Hemia per attirare la sua attenzione e poi le indicò il fondo della strada. Bassi edifici di pietra circondati da terreni per l’agricoltura comparvero all’improvviso; alcuni schiavi erano impegnati a costruire delle mura intorno al campo. Mentre il carro attraversava la via principale, Hemia ebbe modo di contare almeno dieci schiavi impegnati a lavorare su ogni lato delle mura, sorvegliati da quattro soldati Niaergens. Nessuno di loro osò alzare lo sguardo.
Il terrore aumentò quando iniziarono ad avvicinarsi a quello che sembrava il centro del campo. Cinque cadaveri erano appesi a vari rami di un albero, come tetre decorazioni festive: il loro collo era stretto da un cappio di corda grezza, quasi più vitale del loro colore informe, nauseabondo: era una visione così terribile da farle rivoltare lo stomaco. Alcuni corvi si erano appollaiati sul ramo, gli artigli scuri che scintillavano come pietre preziose; parte di loro beccava la carne putrefatta con violenza famelica.
Non era la prima volta che Hemia vedeva un cadavere: durante la sua infanzia, la Maledizione aveva portato via centinaia di persone e trovare corpi morti per le strade era all’ordine del giorno. Ricordava ancora il corpo gonfio eppure svuotato che si era trovata davanti: ricoperto di bubboni, con gli occhi sbarrati verso il nulla. Ricordava il suo odore, putrido e aggressivo. Ricordava anche la sensazione della morte a pochi centimetri dal viso, perché i bambini che la stavano inseguendo l’avevano spinta proprio sopra il cadavere infetto. Inspiegabilmente non si era ammalata.
All’improvviso si ritrovò davanti quel viso deformato dalla malattia, con lo scheletro che sembrava voler spezzare la sua prigione di carne. Le venne da vomitare.
Hemia giurò che in quel campo ci fosse il regno di Shenrez, il dominio della malvagità e del dolore, in cui soltanto un dio malvagio come lui avrebbe potuto governare; la Chiesa affermava che gli occhi del Traditore fossero ovunque, pronti a scovare le debolezze mortali per tentare e distruggere, per trasformare un docile agnello in un lupo. Più Hemia si guardava in giro, più riusciva a vedere due enormi occhi rossi osservare quel luogo di tortura e morte direttamente dalle profondità del terreno.
Qualche passeggero iniziò ad agitarsi, ma il soldato non ci diede peso; continuò a condurre il cavallo con tranquillità. L’unica a possedere la sua stessa calma forse era Lilianne: Hemia vide gli occhi chiari della ragazza scattare da un lato all’altro del campo, rigida e precisa. Alla fine tornò a guardarla con un po’ più di agitazione, anche se subito cercò di mascherarla. Hemia fu tentata di chiederle informazioni, ma all’improvviso si fermarono. Erano arrivati tre soldati accanto al carro: c’erano ghirigori elaborati sui loro usberghi e i loro elmi erano lucidi e colorati di giada: i raggi di sole filtravano nel verde profondo e creavano luci dai riflessi penetranti e vivaci, quasi fossero stelle.
«Quanti sono?» chiese uno di loro, il duro accento della Capitale che inaspriva le sue parole.
Il soldato sul carro ci pensò un po’ su. «Dod… no, venti. Ne ho caricati altri otto lungo la via. La truppa di Solomon li ha trovati mentre fuggivano verso la foresta di Shadon.»
Un altro dei soldati fischiò: «Poveri bastardi. Lì dentro alla foresta è tutto un macello, sarebbero morti durante la notte. I Saek tagliano le gole in fondo…».
Il primo ad aver parlato gli lanciò un’occhiata severa. «Non ti facevo superstizioso, Feren. I Saek sono estinti ed è meglio così.» Si rivolse nuovamente al soldato sul carro: «Portali nel cortile principale, padre Amadeus li smisterà».
Padre Amadeus? pensò Hemia confusa.
C’era davvero un prete? Un soldato del Sacrificato che approvava la loro presenza a Doulen? Persino la Chiesa stava iniziando a seguire i piani dell’Imperatore, non avrebbe più aiutato i suoi fedeli. All’improvviso tutto ciò che Lukas aveva fatto le parve inutile, come se avesse continuato a lanciare minuscoli bastoncini per rallentare il corso di un torrente. Era morto per cosa? Per le sue idee, per i suoi principi? Hemia aveva sempre amato il suo idealismo e la passione con cui esprimeva ciò in cui credeva, ma ora avrebbe rinunciato a tutte le ribellioni per poterlo avere indietro insieme a Shani. “Se un uomo non è libero e non è uguale agli altri non ha modo di vivere” diceva. Eppure lei non era libera e di certo non era uguale ai Niaergens: quindi non aveva più un modo per andare avanti? Era morta? No, non poteva accettarlo.
Il cortile principale era rotondo e di certo non era un cortile: ricordava più che altro la piazza di un villaggio, come quella che c’era a Tolmen. Era tutto così familiare, ma allo stesso tempo sconosciuto e terribile. Una sensazione di terrore la invase totalmente: Doulen forse un tempo era stato un paese, un paese distrutto dai Niaergens, plasmato a seconda della loro volontà e delle loro necessità; forse un tempo dei bambini avevano attraversato correndo quelle strade, le loro risate sparse nel vento: quelle manifestazioni di gioia probabilmente ora erano molto lontane, oltre i confini dell’Impero, fuggite da quella distruzione che invece aveva intrappolato i loro padroncini.
Il carro si fermò definitivamente e questa volta il soldato scese. Andò verso una figura panciuta, robusta e alta, avvolta nella grezza tunica marrone tipica dei preti; pochi istanti dopo i due tornarono insieme: il soldato con un’aria spazientita sul volto, il sacerdote con un’espressione attenta e pensierosa. Aveva il viso largo, circondato da una barba scura e sporca, che quasi gli faceva da criniera. I capelli unti e neri erano acconciati in un codino striminzito, che a mala pena toccava il grasso collo del prete. Gli occhi erano verde giada, tipici dei Niaergens, acquosi e brillanti come quelli di una volpe.
Sussurrò qualcosa al soldato, che poi si rivolse a Hemia e agli altri. «Scendete.»
In modo ordinato e tremante tutti i presenti obbedirono, chi con passo esitante, chi con un atteggiamento controllato e chi con una traballante sicurezza. Nessuno di loro era spavaldo, né aveva voglia di far irritare i Niaergens: probabilmente molti ancora conservavano la speranza di un lieto fine. Hemia fu una delle ultime a scendere insieme a Lilianne: la ragazza aveva un passo rigido e zoppicava. Abbassando istintivamente lo sguardo verso la sua gamba destra, Hemia notò una ferita aperta e lunghe scie di sangue secco che giungevano fino alla caviglia; provò l’istinto di aiutarla e si sentì impotente, quando realizzò che non aveva mezzi per farlo e che forse non li avrebbe mai avuti.
Si divisero in due file: Hemia e Lilianne si trovarono nella prima fila, poco distanti dal prete e dal soldato.
Il primo li osservò con occhio esperto: «Sono tutti vecchi».
«Non tutti» lo contraddisse il soldato.
«Ah, no? Quello a mala pena si regge in piedi, guardalo, sembra una vecchia prugna secca. Spero davvero che tu non faccia l’arciere, con l’occhio attento che ti ritrovi saresti la fine di ogni legione» lo canzonò padre Amadeus, senza malizia nella voce.
Il soldato avvampò, forse per vergogna o per rabbia, ma non aggiunse altro. Il prete si avvicinò alla prima fila; esaminò con attenzione ogni presente: ad alcuni prese le mani, per poi osservarle per qualche istante e infine pulire le proprie sulla sua tunica lercia, ad altri ancora arrivò a controllare i denti, come se fossero cavalli da vendere a una fiera. Si fermò davanti a Lilianne e la soppesò con lo sguardo, che alla fine cadde sulla gamba insanguinata. Padre Amadeus soffiò di frustrazione come un gatto, e poi si voltò verso il soldato.
«Il Guardiano Krenez aveva dato istruzioni precise: non ferite i prigionieri.» Si rivolse poi a Lilianne: «Ti accompagnerò da alcune serve appena ho finito qui: un impacco di erbe e ragnatele dovrebbe risolvere il problema».
Non ottenne alcuna risposta, non che se ne aspettasse una, poi passò a Hemia. Lei provò la tentazione di chiudere gli occhi, mentre il fetore che appestava il prete le aggrediva le narici, facendole arricciare il naso. Alla fine li tenne aperti, ritrovandosi faccia a faccia con Padre Amadeus: il suo sguardo astuto scintillò di ambiguità mentre la squadrava dalla testa ai piedi. Hemia decise di non pensare a cosa potesse significare e cercò di sembrare il più controllata possibile, mentre la sua mente, ormai persa nel terrore, iniziava a collegare il fetore del prete con quello del cadavere infetto. Risentì perfino le urla dei bambini e rivide il vicolo stretto e scuro in cui era finita, le sembrò di avere nuovamente il terreno fangoso e umido sotto i piedi; quando tornò alla realtà si rese conto che Padre Amadeus aveva finito di controllarli e tirò un sospiro di sollievo.
Il prete tornò dal soldato: iniziò a parlargli nel dialetto dei nobili. Hemia si sentì sprofondare quando vide il soldato voltarsi verso di lei; la guardò per un istante, ma bastò per farle temere il peggio.
Il prete si rivolse nuovamente a loro, nella lingua comune.
«Seguite tutti Alvar, tranne tu, ragazza. Seguimi.»
Hemia provò un misto di preoccupazione e sollievo quando vide Lilianne seguire Padre Amadeus. Il sollievo svanì all’istante: dove li stava portando Alvar? Il soldato si era messo a capo della fila e li stava guidando verso la parte est di Doulen. La speranza di Hemia iniziò a vacillare.
Zyar
La sala dei ricevimenti ospitava più nobili del solito quella sera. Non avevano preparato decorazioni sfarzose, ma solo una moltitudine di luci rinchiuse dentro contenitori sferici di diversi materiali: queste illuminavano il salone con mille riflessi di colori differenti, dal verde profondo che ornava i pavimenti di marmo con sfumature che richiamavano il mare, l’acqua e le alghe, a un rosa pallido, quasi bianco, che faceva scintillare come una perla tutto ciò che toccava. Erano un dono del Bwana dei Nomadi del Mare: le chiamavano “Dardi del mattino”, più che semplici lanterne, erano vere e proprie opere d’arte, molto rare e costose. Nel Palazzo di Giada se ne potevano trovare più di un migliaio durante le occasioni speciali, altrimenti erano conservate nella sala dei tesori e dei cimeli, sorvegliata notte e giorno da guardie e custodi.
Le voci degli invitati risuonavano nell’aria e i profumi provenienti dal banchetto accompagnavano quel teatrino sfavillante, un vero e proprio inno al benessere e alla ricchezza. Zyar osservava la sala da ballo dal suo trono, senza nessun pensiero particolare in testa; guardava soltanto quella moltitudine di colori, ascoltava quelle risate musicali e roche, si lasciava inghiottire da quell’enorme giostra fatta di gioia, inganni, mediocrità. Era una ruota, irrefrenabile e antica, che ormai permetteva all’allegria di muoversi per il Palazzo di Giada, un tempo l’emblema dell’austerità e della noia.
Il suo sguardo alla fine si posò comunque sull’oggetto di tutte le sue preoccupazioni: il trono al suo fianco era completamente vuoto. Scrutò nuovamente la folla alla ricerca di Erik, ma non trovò traccia del giovane Imperatore e bastò questo per farlo irrigidire; la sua assenza prima o poi sarebbe stata notata e l’ultima cosa di cui l’Impero necessitava erano altre chiacchiere sulle abitudini del suo Imperatore: Erik era un festaiolo, un amante delle donne e del bere; molto spesso si era nascosto tra il popolo per poter partecipare a qualche fiera di paese, anche se era capitato che nemmeno cercasse di nascondersi. Non era ben visto dai nobili Niaergens e questi suoi comportamenti stavano diventando un problema sempre più grande.
I musici smisero di suonare, strappando un caloroso, ma pur sempre pacato applauso da parte dei presenti. Zyar si riscosse dai suoi pensieri e non esitò ad applaudire, ancora teso a causa dell’assenza di Erik. Ricominciò a guardarsi attorno, la mano che in modo quasi istintivo andava a toccare l’elsa del pugnale: era di un’ottima fattura, con una lama sottile e letale. A eventi del genere le armi erano quasi accessori simili a quello che una collana elegante poteva essere per una dama, ma quel pugnale procurava a Zyar brividi di sconforto e gli riportava alla memoria cose che voleva seppellire nelle profondità del suo animo, quasi volesse soffocarle e annientarle: era uno dei primi regali che aveva ricevuto da parte di Erik e soltanto guardarlo alle volte gli ricordava momenti che doveva dimenticare.
«Vi sentite bene, Lord Olweyz?»
Quella voce flebile lo fece sussultare. «Non preoccupatevi.» Quando notò che a parlare era stato un servo, canuto e ricurvo su se stesso, cambiò tono. «Cosa c’è? Non mi sembra che tu sia stato assegnato al salone, questa sera.»
L’uomo annuì, il volto abbassato. «Non posso mentire, mio signore: di solito lavoro nelle cucine, come sapete. Ma…» E qui si avvicinò, sussurrando, lo sguardo venato di preoccupazione. «Maestro Draconium ha chiesto espressamente di voi. Credo che sia accaduto qualcosa all’Imperatore.»
Zyar si alzò in piedi all’istante. «Conducetemi da lui, ora.»
Il suo ordine fece nuovamente annuire il servo. Avanzarono tra la folla, attirando ovviamente l’attenzione. Zyar sfoggiò tutti i sorrisi di convenienza che conosceva per nascondere la sua ansia e la sua rabbia: qualsiasi cosa fosse successa, lui ne sarebbe stato come minimo danneggiato. L’egoismo di Erik era immenso, sarebbe stato capace di distruggere l’Impero pur di soddisfare i suoi piaceri, pur di sentirsi per una volta uguale agli altri. Ormai aveva la fama di populista, di deviato… e Zyar ora era il consigliere di un deviato, anche se non sapeva ancora per quanto.
Arrivarono nei pressi delle stanze di Erik; sulla soglia stava il Maestro Draconium.
Era un uomo molto alto, spento e ossuto, con le spalle cariche del peso della sua età e delle sue responsabilità. I capelli erano di un nero lucido, senza neppure un capello grigio, e gli occhi simili a quelli di un falco, di un verde pallido. Aveva addosso una lunga tunica nera e verde, decorata con motivi dorati e con un grosso colletto largo che faceva sembrare il suo collo tozzo. Il suo volto rugoso era una maschera di freddezza in quel momento e il suo sguardo sembrava indicare la stanza. Lui e Zyar si scambiarono una sola occhiata e non si dissero nulla; Draconium lo lasciò entrare e poi chiuse la porta, senza proferire una sola parola.
Erik era seduto sul letto, i capelli corvini spettinati e i vestiti sparsi sul marmo del pavimento. Aveva addosso solo i pantaloni e si teneva il volto con le mani, lo sguardo fisso nel vuoto. Il letto era da rifare, le coperte ammucchiate ai suoi piedi e la stanza era nel caos più completo. Quando la porta si chiuse, Zyar afferrò Erik e lo sbatté contro il muro. Gli occhi del giovane si allargarono per il contraccolpo e andarono a incastrarsi nei suoi in un movimento fulmineo.
«Ne hai portato uno qui a palazzo» sussurrò Zyar.
Gli occhi di Erik si riempirono di lacrime che non gli bagnarono le guance. «Zyar, te ne prego. Sono stato uno stupido. Ma volevo solo…»
«Fotterti un attore?» Lo sollevò, prendendolo per il bavero. «Eh? Non potevi semplicemente farlo nel Quartiere Bianco in cui lo avevi trovato?» Gli sembrò quasi di sentire la carne tendersi sotto le sue dita, accartocciarsi come sottile pergamena. «Hai idea di come tu mi stia mettendo a rischio? Di come tu stia rovinando la tua famiglia, il tuo paese? Sai come ti chiamano, vero?»
Decise di lasciarlo andare quando lo sentì flebile sotto le dita. Erik cadde a terra con un tonfo, il volto pallido arrossato e gli occhi fuori dalle orbite. Zyar rimase a fissarlo: in quel momento dimostrava tutti i suoi vent’anni, con quello sguardo così pieno d’ira e battagliero e con le lacrime a illuminargli gli occhi. Si alzò in piedi, appoggiandosi al bordo del letto e incrociando nuovamente il suo sguardo.
«Fallo e basta» sibilò il giovane Imperatore con astio. Zyar non rispose.
«Non sono mai andato bene e non ho intenzione di cambiare per te, per la corte o per un impero che odio: sappiamo solo ferire gli altri! Abbiamo appena invaso le terre dei ribelli e stiamo facendo del male al nostro stesso popolo, Zyar. La gente ha paura, abbiamo rinchiuso intere famiglie nei ghetti…» Non riusciva a restare ancora completamente dritto e quindi si appoggiò al muro. «Io… non voglio restare qui. Lascia che mi ricordino come un deviato e cancellami, non mi interessa: non ho mai potuto essere me stesso, la mia stessa vita non ha mai avuto un senso.» Gli si era avvicinato pericolosamente, il suo respiro era irregolare. «Uccidimi e basta.»
La sua voce si era alzata sempre di più, fino a diventare un rauco sussurro ammorbidito dal pianto.
Zyar era così vicino da poterlo toccare: avrebbe potuto sistemargli i capelli e accarezzargli il volto, avrebbe potuto stringerlo a sé, ma invece la sua mano andò all’elsa del pugnale. Davanti a lui apparve il ragazzino con cui aveva giocato da giovane, il ragazzo a cui aveva insegnato a cavalcare, il compagno con cui aveva diviso risate e segreti. L’odio arse nel suo cuore quando questa figura mutò in un Imperatore indegno, in un malato, in qualcosa che doveva odiare, in un ostacolo per i suoi piani. Alla fine rimase solo un ragazzo, con un bel viso paonazzo e con il respiro affannato, con occhi che lo spronavano ad agire, che lo mettevano alla prova.
La gola del giovane Imperatore divenne una cascata di sangue. «L’Imperatore è stato assassinato» furono le sue parole, quando lasciò la stanza.
Lo sgomento degli invitati fu pari solo a quello dell’attore quando venne impiccato per alto tradimento e per violazione delle leggi di Niaer; Zyar rimase a osservare entrambe le scene con il medesimo distacco e con un’espressione contrita sul volto.
Il funerale di Erik si sarebbe tenuto nel giro di una settimana e per il momento il popolo doveva accontentarsi di umiliare l’assassino, lanciandogli addosso tutto ciò che era possibile lanciare e cercando di eliminare il più possibile il ricordo della persona che era stato.
Era anche un bel ragazzo, rilevò Zyar, quando vide passare il suo cadavere: il volto era tumefatto a causa delle violenze che in cella il giovane aveva subito, ma si potevano intravedere ancora dei lineamenti dolci e piacevoli sotto quella maschera di lividi e sangue. Gli occhi poi erano magnifici: azzurri come il cielo e limpidi, ormai eternamente aperti. Era un umano, un abitante delle coste dell’Ovest, ed era molto probabilmente un ribelle, a sentire Draconium durante l’impiccagione, un ribelle che aveva corrotto il cuore del loro così giovane e così amato Imperatore Erik e che lo aveva condotto alla morte.
Una mano gli si posò sulla spalla e tutto si fermò. Zyar non si voltò, riconoscendo quel tocco sin dal primo momento. Luskria gli si sedette accanto, i lunghi capelli rossi che oscillavano a ogni suo leggiadro movimento, e accavallò le gambe, sporgendosi appena con il busto verso il cadavere. Restò a osservare il corpo morto del giovane e poi si voltò verso di lui.
«Erik a quanto pare aveva delle preferenze in fatto di uomini» disse, accarezzando i riccioli biondi del ragazzo.
«Così sembra.» Zyar avrebbe voluto essere felice, ma non ci riusciva. «Il Cavaliere è caduto. Chi manca adesso?» Luskria tirò fuori un altro dei suoi oracoli e la pergamena sottile scricchiolò tra le dita di Zyar quando lui la sfiorò. Un marinaio in mezzo alla tempesta: quell’oracolo poteva essere una persona, un luogo o persino un momento preciso; gli oracoli dell’elfa erano volutamente vaghi, ma Zyar non se n’era mai lamentato e questa volta gli sembrava di aver intuito qualcosa. La loro collaborazione sarebbe in ogni caso durata per sempre, criptica o meno: avevano stretto un patto di sangue e fuoco, un patto impossibile da sciogliere; solo la morte di uno dei due lo avrebbe annullato.
Zyar le rivolse un verso sprezzante: «Grazie per l’aiuto».
«Ricorda: ti aiuterò a diventare Imperatore, a patto che…»
«Io ti dia qualcosa che non sappia di averti dato e che non abbia voluto darti, lo so.»
Luskria sorrise appena e si chinò per baciarlo, con le labbra bollenti come il fuoco. Poi le grida del popolo lo avvolsero di nuovo e tutto riprese a scorrere.
costanza
Fantasy di qualità e stile innovativo. Consigliato a tutti!
Michela Persico (proprietario verificato)
Avendo già letto il libro nella forma non editata almeno un paio di volte, sono convinta che sia estremamente coinvolgente e una novità, soprattutto per il fatto che gli scrittori fantasy nel panorama italiano sono estremamente pochi. Trama ben pensata, un universo inventato da zero e personaggi diversi, tutti con una loro storia e profondità. L’intreccio procede fluidamente, riuscendo a mantenere alta l’attenzione di chi legge da capitolo a capitolo, da pagina a pagina. Per questo mi sento di dire che se decideste di dare un’occasione a questo libro e non ve ne pentirete.
itsmargahere
Trama interessante e stile impeccabile: un connubio perfetto per un genere di pubblico più ampio. Si vede che è stato curato con passione. Consiglio vivamente!
itsmargahere
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Margherita Campostrini
Finalmente un buon fantasy (italiano!!) che appassiona dalle prime pagine.
Stefania Catapano
Un libro davvero speciale e interessante. Non vedo l’ora di averlo tra le mani! Consigliatissimo!
saramarino17 (proprietario verificato)
Originale e coinvolgente, non ne rimarrete delusi!
Francesca Caproni (proprietario verificato)
Molto bello, non vedo l’ora di vederlo pubblicato!
Miryea (proprietario verificato)
Finalmente un fantasy coinvolgente e originale. Consigliatissimo!
ilcaruso559
Ho decisamente apprezzato questa pubblicazione, davvero felice di poter leggere nuovi fantasy di qualità.
Viola Bossolasco
Libro interessante che ha soddisfatto le mie aspettative. Super consigliato!
Chiara Barini
L’ho adorato, trama avvincente e ben studiata, sintassi perfetta. Consiglio a tutti!
Francesco Bello
Originale e accattivante. Consigliato agli appassionati del genere e non!