Tessa rabbrividisce di nuovo, stavolta per l’aria fredda, si mette a sedere e scorge la sagoma della mamma all’esterno, poco oltre la soglia, infagottata nella veste indossata in tutta fretta.
Le urla sono diventate così alte che Tessa ha paura che possano svegliare anche le sorelline e il fratellino, ma i bambini continuano a dormire ammucchiati gli uni sugli altri in un groviglio scombinato di gambine e braccine.
– Madre…
La sua voce incerta viene coperta dal frastuono che arriva da fuori.
– Madre…
Si fa coraggio e alza il tono.
– Madre, che sta succedendo? Chi sono costoro che gridano?
La mamma si volta, la guarda, spalanca gli occhi come attraversata da un improvviso lampo di consapevolezza e chiudendo in fretta l’uscio rientra e si accosta al giaciglio.
– Tessa, figlia mia… – le parole le muoiono in gola – figlia mia, siamo perduti.
Lo sguardo febbrile e tormentato passa dalla ragazzina ai piccoli immersi nel sonno profondo e inconsapevole degli innocenti.
– Siamo perduti, poveri figli miei, io vi ho perduto…
– Madre, mi fate spaurire. Di cosa e di chi avete timore?
– Figlia mia, indossa il tuo abito, forse voi potete ancora salvarvi, forse ti lasceranno condurre i bambini via da qui.
Adesso Tessa sente lo smarrimento propagarsi in tutto il corpo, non ha mai visto la mamma in quello stato, i lunghi capelli biondo scuro che di giorno tiene acconciati in due trecce arrotolate intorno al capo le cascano arruffati intorno al viso stravolto dall’angoscia, la bocca è una linea dura e dritta, serrata a trattenere il panico.
– Madre, madre, cosa dite, perché devo andare via, perché siamo perduti?
Mentre cerca di far ragionare la mamma, Tessa infila la tunica senza maniche sopra la camicia di lana e mette ai piedi i calzettoni di panno con il cuoio sotto che usa quando non cammina scalza. La mamma intanto ha svegliato Caterina e Laura che piagnucolano stanche e spaventate mentre Dino, che ha solo diciotto mesi, succhia il pollice impiastricciato di muco.
È piccolo, gracile e cagionevole di salute, tossisce spesso e ha sempre il naso che cola.
D’improvviso cala il silenzio, cessano le urla, non si odono più i passi calcati sul terreno, anche l’aria nella piccola stanza è statica, carica di una tensione palpabile.
Tessa allunga una mano e la appoggia sul braccio della mamma.
– Madre…
– Poveri figli, è tutta colpa mia – lacrime amare scorrono sulle guance esangui – ho creduto di potercela fare da sola, ma mi sono ingannata. Ho peccato di presunzione, sono solo una donna e una vedova, il Signore si è preso vostro padre prima che nascesse Dino e ora tocca a me.
– Madre non dite così!
La prende per le spalle e la scuote, è cresciuta tanto d’estate e ormai è alta come lei, ma è tutto inutile, la mamma non la vede neppure e continua a parlare con sé stessa.
– Quattro giorni fa mi hanno chiamato perché Lorenza, la moglie di Cecco l’allevatore dei porci, aveva finito il tempo e la creatura che portava in grembo stava per venire al mondo. Era il suo primo figlio, ma era poco più di una figlia anch’ella, data in sposa anzitempo a quell’omone corpacciuto e lordo come le bestie che ama più degli esseri umani. Il suo ventre si è fatto tondo e grosso in fretta in questi mesi ed ella sempre più emaciata e sofferente, ma che potevo fare, potevo mai rifiutarmi di aiutare quell’infelice? Grama me, grame anche la madre sua e le sorelle in quella notte disgraziata, la sventurata ha urlato per ore ma la creatura era nella posizione sbagliata, voleva uscire con i piedi e non ho potuto fare nulla, il loro destino era segnato… come il mio.
Il silenzio ingannevole che circonda la casupola si insinua tra le fessure delle pareti più rumoroso dello schiamazzo precedente, più minaccioso di una condanna già pronunciata.
La mamma fissa gli occhi resi folli dalla paura in quelli atterriti di Tessa, incapace di articolare tutte le domande che si rincorrono impazzite nella sua testa.
– E la sorte infausta ha voluto che dopo la sposa e la sua creatura, falciate dalla morte l’una dentro l’altra, nella stessa notte Cecco perdesse anche tre dei suoi porci. Li ha rinvenuti all’alba senza vita nel porcilaio, nel mentre che noi si era ancora intente a sistemare la defunta insieme con quel frate domenicano arrivato da poco in paese, quello che non favella quasi mai ma vede tutto. Quando Cecco fuori di sé si è precipitato in casa urlando che qualcuno aveva gettato un maleficio contro la sua famiglia, ho subito avvertito la disapprovazione del frate posarsi su di me come una mano di ferro, avrei dovuto capire e tornare lesta lesta qui da voi per farvi allontanare dalla sciagura che mi stava alle calcagna, così mi aveva esortato a fare anche la madre di Lorenza che è una brava donna… avrei dovuto ma il sentimento di perdervi mi ha fatto vacillare e ora è troppo tardi… là fuori figlia mia c’è tutto il paese che mi incolpa di aver fatto un sortilegio per guastare la partoriente e il suo bambino e di aver avvelenato i porci, e dopo un’estate di siccità e raccolti rovinati questa tragedia serve loro per dare un senso che non c’è alla morte e alla fame, e un colpevole da sacrificare per illudersi di essere di nuovo al sicuro.
– Madre, non possono pensare di voi che siate una malefica! Voi, che siete la madre più amorevole e la donna più pietosa che io conosca.
Tessa si getta nelle braccia della mamma singhiozzando, ma lei la respinge dolcemente, la voce un sussurro quasi impercettibile.
– Non c’è più tempo figlia mia, non aspetteranno ancora a lungo che io esca, e se verranno a prendermi per voi non ci sarà speranza alcuna di salvarvi. Ascolta, io adesso uscirò e mi consegnerò, non confido in un equo processo perché le levatrici sono malviste da Santa Madre Chiesa, ci accusano di guastare gli infanti e di usare pezzi dei loro corpi per preparare pozioni magiche d’amore e morte, però forse si accontenteranno di portare via me. Prendi in braccio Dino, Caterina e Laura si attaccheranno alla tua sottana e appena io mi sarò allontanata di qualche passo verso la folla, uscite anche voi e iniziate a correre subitamente verso il bosco… se riuscirete a raggiungere la macchia più fitta oltre la radura potrete nascondervi e aspettare l’alba. La cosa più importante che devi rammentare e che l’unica che vi potrà dare rifugio è la donna del monte, cercala e dille chi sei, intesi?
Senza attendere risposta la mamma solleva Dino, lo bacia indugiando con palese sofferenza sulla testolina ricoperta di fini capelli biondi e lo passa a Tessa. Stringe brevemente le bambine scossa da singulti incontrollabili e infine prende il viso di Tessa tra le mani tremanti.
– Siete stati la luce della mia esistenza, il maggior diletto, e l’unica eredità che ti lascio, figlia mia, è l’amore che ho per voi. Che Dio ti benedica e protegga, che Maria la Beata Vergine madre di Dio vegli su di te, ti affido i tuoi fratelli, portali in salvo, fai quello che io non sono riuscita a fare.
Con un movimento repentino si stacca da loro e dopo un attimo non c’è più.
Il boato di urla, grida e insulti che irrompe dal varco della porta, lasciata aperta dalla mamma, manda in frantumi l’illusorio strato di protezione rappresentato dalla casetta e colpisce Tessa come un pugno nello stomaco, riscuotendola dal senso di irrealtà in cui è piombata.
– Caterina e Laura, adesso statemi vicine e tenetevi alla mia veste, dobbiamo scappare spicce come le lacerte quando cerchiamo di acciuffarle.
Con le sorelline ai lati e Dino ben saldo in braccio, Tessa varca la soglia senza essere minimamente preparata alla scena che le si para di fronte e che la precipita come un incubo ad occhi aperti in uno degli affreschi che adornano le pareti della chiesa del paese, quello che raffigura l’inferno e la bolgia dei dannati, inermi sotto i diavoli guardiani di Lucifero. Davanti a lei c’è un muro di volti di donne e uomini che conosce da quando è nata, resi ora irriconoscibili dalla rabbia e dalla violenza che sfigurano i lineamenti trasformandoli in maschere di odio e furore, ci sono mani alzate al cielo a maledire e a far ondeggiare bastoni e forche, ci sono fiaccole che illuminano a giorno lo spiazzo davanti alla casa, fanno salire spire di fumo e offuscano l’aria pulita della notte, ci sono altre mani, eccitate dall’ostilità che serpeggia come una malattia infettiva, che lanciano pietre e ortaggi marciti contro la mamma.
A capo della folla inferocita Tessa nota con sgomento il frate domenicano, impassibile e apparentemente indifferente all’accozzaglia di braccia e mani che gesticolano intorno a lui e al frastuono gretto e volgare in cui dominano le parole “strega” e “a morte”.
L’uomo, magro e rigido, è concentrato unicamente, con espressione crudelmente soddisfatta, sulla figura della mamma che con fierezza ricambia lo sguardo accusatorio, ormai oltre la paura nell’accettazione della fine incombente, esile ma ferma e dignitosa nella sua drammatica immobilità.
Tessa intuisce che il processo è già in corso, anzi è già concluso, giudice e imputata sono una davanti all’altro e la sentenza sta per essere emessa ed eseguita senza possibilità di appello.
Alla mamma verrà risparmiata la farsa di un procedimento viziato sin dall’origine dall’ inesorabilità del giudizio di colpevolezza a cui non sarebbe mai scampata, a Tessa e ai suoi fratelli verrà forse concessa l’opportunità di sopravvivere.
Sta prendendo tempo per loro.
Mentre una fiaccola lanciata da un uomo barbuto atterra sul tetto di paglia della casetta che prende subito fuoco in un crepitio di scintille, la giovane scatta veloce seguita dalle sorelline. Per fortuna Dino è così piccolo e magro che ne avverte appena il peso e Caterina e Laura hanno smesso di piagnucolare e muovono i piedini scalzi al ritmo sostenuto della corsa di Tessa, che si sforza di non vedere e non pensare.
Il suo tentativo di fuga rompe gli argini della furia cieca e dissennata dei compaesani, che si mettono d’improvviso in movimento e sono quasi subito addosso alla mamma accanendosi su di lei con bastoni e mazze. Tessa viene raggiunta dalle grida strozzate e strazianti di sua madre che le perforano le orecchie e il cuore facendola vacillare e quasi inciampare, ma le gambe sembrano animate da una volontà superiore e riprendono l’equilibrio, volano sull’erba secca in direzione degli alberi, le sorelline ansimano per lo sforzo immane ma non mollano, cucciole coraggiose, ce la possono fare, ce la possono fare…
La prima a cadere è Caterina, sette anni di allegria e vivacità, Tessa si ferma per incitarla a rialzarsi ma la voce si trasforma in uno strillo di orrore nel vedere il pugnale, lanciato da Cecco l’allevatore di porci, che si è conficcato in mezzo alla schiena della bambina.
In un lampo Tessa e i fratellini si ritrovano circondati da forme urlanti che si chiudono su di loro in una trappola mortale di calci e pugni sferrati contro i loro corpi indifesi, senza pietà alcuna per la loro tenera età. Cerca disperatamente di fare da scudo a Dino e Laura, li stringe a sé con le ultime forze che le restano, sotto la gragnuola di colpi che incessanti si abbattono su di lei raccoglie nel suo respiro mozzato dal dolore atroce che prova alla schiena e al petto i rantoli agonizzanti dei due bambini fino a quando il mondo si spegne e perde conoscenza.
Cristina Dallapiazza (proprietario verificato)
Storia coinvolgente ed incalzante, si percepiscono e si provano le emozioni vissute dalle protagoniste.
Sembra di essere nei luoghi narrati, assaporandone profumi e sapori in tutti i periodi storici presenti nel racconto.
Lettura consigliatissima.