«Ma come è successo?» chiese l’uomo avvicinandosi al feretro aperto.
«La settimana scorsa, quando è venuto quel temporale. Lui è voluto uscire a tutti i costi per andare a Napoli, alla tombolata di beneficenza» e lasciò la frase in sospeso perché il disappunto avesse modo di fluttuare nell’aria.
«Tombolata di beneficenza?» chiese l’uomo stupito.
«Non mi faccia parlare, da quando è morta mia madre era diventata un’ossessione, questa beneficenza! Tutte le settimane era almeno un giorno o due a Napoli. Glielo avevo detto che con quel tempo l’aliscafo non sarebbe partito! Le tegole dai tetti sono partite!»
Il signore, colpito dal biasimo che trasudava da quel breve resoconto, decise di non insistere. «Mi spiace» disse.
Poi si avvicinò alla figlia minore che era rimasta in disparte, fissando il muro con aria spersa: «Condoglianze, Giovanna».
«Grazie, signor Ferraro» disse lei guardandolo e cercando di sorridere.
La sorella di mezzo si avvicinò al venuto e lui la guardò curioso: «Lei deve essere Irma, vero?».
«Buongiorno. Sì, sono Irma.»
«Mi sembrava ma non ne ero sicuro.»
«Ha ragione, non vengo spesso, il lavoro a Milano mi impegna molto. Lei giocava a scacchi con mio padre, vero?»
«Sì» disse l’uomo sorpreso dalla memoria di quella donna che tornava a Capri solo per le feste comandate.
«Sua moglie come sta?» chiese Elena entrando nel discorso.
Quando il signor Ferraro uscì dall’obitorio lei prese la borsa che aveva lasciato ai piedi della panca e prima che le sorelle potessero obbiettare al suo “esco un attimo” era già fuori. Girò l’angolo della strada e dopo essersi accertata che nessuno fosse in vista prese il telefono: «Sono io. Sono un po’ preoccupata […] Come perché? Ho paura che le vengano delle strane idee […] Come a chi […] Bravo […] Sì, dici bene tu, intanto Giovanna a Napoli non ci torna […] Luigi, ti ho telefonato per tranquillizzarmi e mi stai facendo innervosire! Tutti i discorsi fatti in questi giorni non li ricordi? […] Ecco, esatto, i suoi amici sì […] Aspetta…». Si interruppe vedendo una donna arrivare.
Vestì il viso più adatto all’occasione e aspettò che la signora fosse abbastanza vicina: «Buonasera, signora Ruocco».
«Condoglianze vivissime, signora Elena.»
«Grazie» rispose accentuando l’espressione triste.
«Le sue sorelle?» chiese la signora.
«Sono dentro, vada pure. Mi scusi ma è importante» disse indicando il telefono.
Appena la signora sparì dietro la curva Elena si riconcentrò sulla telefonata: «Scusami ma è arrivata una signora […] Sì […] Sì […] Dici? […] Ma no, bisogna che resti tutto come prima […] No […] Ma no! Ma cosa […] Qui non può rimanere! E poi non vorrà neanche, come farebbe con il lavoro? […] Sì, esatto, lei tornerà su a Milano e qua penserò a tutto io, con te […] È importante anche per te, caro […] Come perché?!? Acquisteresti fama e notorietà! Saresti il commercialista più importante di Capri! Fidati, lo sai che ho sempre ragione io!».
Quella notte Irma non riusciva a dormire. Era eccitata all’idea di rincontrare la sorella, non erano mai state separate così tanto. Elena aveva fatto un viaggio in Inghilterra per festeggiare la fine delle scuole superiori ed erano più di due mesi che non si sentivano, a casa erano arrivate solo cartoline.
Irma guardò fuori dalla finestra, i muretti bianchi di pietra e gli alberi dai fiori viola che tanto caratterizzavano l’isola erano illuminati dai lampioni sulla strada. Il giorno prima si era accorta che le buganvillee avevano iniziato ad avere meno fiori, alcuni giacevano già secchi ai bordi dei marciapiedi, scoloriti e schiaffeggiati dal vento che portava con sé la nuova stagione. Quando stava insieme a Marco il mondo scompariva e l’estate stava giungendo alla fine senza che lei se ne fosse accorta. Sentiva le farfalle nello stomaco e una grande ansia allo stesso tempo, come sarebbe stato con Elena di nuovo a casa? L’avrebbe aiutata a evadere per stare con il suo innamorato, avrebbero fatto una squadra tutti e tre insieme, oppure Elena si sarebbe infuriata perché si era innamorata senza di lei?
Quell’anno Irma aveva festeggiato diciotto anni da sola e nonostante mai si fosse immaginata una festa senza la sorella, era stato tutto magico. Quella sera aveva iniziato ad andare al Gatto Bianco con le amiche, quanto le piaceva ballare! Era proprio lì che aveva conosciuto il suo amore.
Aveva paura della reazione di Elena, e se non gli fosse piaciuto? Voleva sempre avere l’ultima parola su tutto, lei. Marco non era di Capri e non era ricco, “un’altra classe sociale” avrebbe detto la sorella.
Irma si rigirò nel letto e contemplò le stelle, ne era sicura, era solo questione di tempo ma Marco avrebbe fatto carriera, era bravissimo, e lei sarebbe stata accanto a lui. Rimase a guardare il cielo sperando in una stella cadente per esprimere un desiderio ma quei puntini luminosi si ostinavano a brillare incastonati in un cielo nero.
Elena si avviò verso l’obitorio e restò sulla soglia per sentire cosa si stessero dicendo le sorelle, aveva visto la signora Ruocco andar via poco prima.
«Quando pensavi di tornare a Napoli?» stava chiedendo Irma a Giovanna. La minore guardava il corpo del padre e Irma le era dietro, vicino a una panca, in piedi.
«Subito dopo il funerale, ho un esame» rispose la sorella in maniera distratta.
«Su cosa?» Irma sembrava decisa a intavolare una conversazione ma Giovanna era persa nei suoi pensieri e la sentiva a malapena.
Elena, fingendo noncuranza, entrò raggiungendo Giovanna accanto al feretro: «Giovanna, stavo pensando che potresti darmi una mano per sbrigare le pratiche».
La sorella minore la guardò confusa.
«Ci penso io alle pratiche» rispose Irma al suo posto.
«Trasferisci le tue cose da me, che ne dici?» continuò Elena dando le spalle a Irma. «A Napoli ci tornerai con calma.»
La sorella minore era visibilmente in difficoltà.
«Non hai sentito che Giovanna ha un esame tra poco?» disse Irma mettendosi accanto alla sorella maggiore.
«Non credo che Giovanna abbia la testa per studiare in questo momento» rispose lei guardando Irma negli occhi con aria di sfida. Poi appoggiò le mani al bordo del feretro e girò il busto verso Giovanna. «Papà avrebbe voluto che tu rimanessi qua» concluse con tono materno.
«Papà l’ha mandata a studiare a Napoli» replicò Irma mettendo anche lei le mani sul bordo del feretro. «Elena, non l’appesantire con altri pensieri.»
Giovanna alzò gli occhi al cielo e si allontanò da loro due.
«Papà ci avrebbe volute vedere unite!» esclamò Elena rivolta a Giovanna.
«Bene, allora mi trasferirò a Capri,» proferì Irma «starò nella villa con Giovanna.»
Elena sgranò gli occhi mentre Giovanna prese la borsa e cominciò a frugarci dentro.
«Ma il lavoro, la tua casa editrice, hanno bisogno di te!» protestò la sorella maggiore degnando finalmente Irma d’attenzione. «Sei sempre con il cellulare in mano. Figurati se puoi restare lontana da lavoro per più di due giorni!» aggiunse.
«Il lavoro può aspettare. La famiglia è più importante. Lo hai detto tu, no?» disse Irma gelida. Giovanna prese direttamente tutta la borsa, rinunciando alla ricerca, e si avviò verso l’uscita.
«Dove vai?» le chiese Elena.
«Vado a fumare. Quando avete finito mi chiamate.»
Elena la guardò uscire e poi si rivolse nuovamente a Irma: «Non ti mettere in mezzo!».
«In mezzo a cosa?» chiese Irma. «Elena, non rifare i soliti errori.»
Furono interrotte dalla vibrazione del cellulare di Irma.
«Io non ho fatto errori, ho solo rimediato al tuo!» replicò Elena acida mentre la sorella guardava lo schermo per capire chi la stava chiamando.
«Ne sei davvero convinta?» disse Irma decidendo che finire di parlare con la sorella era più importante.
Elena colse la palla al balzo: «Vuoi rispondere? Non lo sopporto più questo rumore!».
«No, non voglio rispondere.»
E rimasero a guardarsi con aria di sfida mentre il telefono vibrava nella borsa.
«Almeno siamo sicure che non incontreremo nessuno di Capri, qui,» disse Elena riferita alla sorella minore «così nessuno scoprirà questa cosa a cui ci hai costrette. Fino a Ginevra ci è toccato venire.»
Irma strinse gli occhi, forse quelle erano le ali. Sì, poteva decisamente distinguere le sue ali spiaccicate sul muro.
«Allora, come stai?» La madre si avvicinò alla partoriente aspettando una risposta che non arrivava.
«Ogni quanto le hai, le contrazioni?» insisté cercando di ammorbidire la voce. Dopo circa un minuto senza risposta, la donna prese una mano della figlia ma questa sembrò non accorgersene, lo sguardo perso sulla parete davanti.
Forse poteva vedere anche la bocca, lunga e appuntita. Era morta su quel muro ma non si era distrutta, ogni parte del corpo era ben distinguibile.
«Le è preso un altro attacco di mutismo!» commentò Elena acida. «Spero solo che Carla non abbia preso da te!»
Irma sbatté gli occhi, avrebbe avuto voglia di alzarsi per guardare quella zanzara da vicino.
«Ma sei sicura di volerla chiamare Carla?» chiese la madre a Elena. «Io la bisnonna Carla non la potevo soffrire, mi vengono i brividi tutte le volte che sento quel nome.»
«Mamma, cresci un po’!» esclamò Elena. «È una tradizione da rispettare!»
Irma si chiese quante persone aveva punto prima di venir schiacciata, quella zanzara.
«Che cosa penserebbe la gente se la tua terza figlia avesse un nome al di fuori di quelli di famiglia?» insisté Elena.
E poi, perché le zanzare pungevano? Aveva sentito dire, o forse l’aveva letto, che erano le zanzare femmine a pungere e lo facevano perché il sangue serviva per nutrire le uova.
«Penserebbe che non mi piace il nome Carla» disse semplicemente la madre.
Chissà se era vero. Quante uova faceva una zanzara?
«No mamma! Io mi chiamo Elena come la mamma di papà, Irma era tua madre, ora devi prendere il nome della bisnonna parte di padre! Bisogna seguire quest’ordine.»
E dove le deponeva, una zanzara, le uova?
«Concetta è più bello» disse la mamma guardando il pancione della figlia minore.
Forse facevano le uova in acqua, perché d’estate le zanzare si trovavano specialmente intorno all’acqua stagnante.
«Ma quella era tua nonna! Non puoi mettere il nome di tua nonna, devi usare prima quello della nonna di papà, Carla!»
Mentre Giovanna continuava a camminare avanti e indietro, appena fuori dal portone, con il cellulare che squillava a vuoto attaccato all’orecchio, le si avvicinò un signore sulla quarantina, vestito elegante, con un piccolo vassoio in mano su cui erano disposte tre tazzine.
«Lady Giovanna, cosa ci fate fuori tutta sola?»
«Amilcare!» La ragazza lo accolse ricambiando il sorriso e mettendo via il telefono, contenta di quell’apparizione. Si sentiva tesa come una corda di violino, era esausta ed era solo metà mattina.
«Che fate qui fuori, fa freddo! Ah, state a telefono con il vostro fidanzato? A me lo potete dire» disse lui complice.
Giovanna sospirò: «Volevo parlare con Pamela».
«Pamela la Rossa,» ammiccò Amilcare «ecco perché siete uscita. Non volevate che Madame Elen lo sapesse!»
«Ma è tutta la mattina che non risponde» commentò Giovanna triste.
Il maggiordomo si ricordò cosa aveva in mano e si avvicinò alla ragazza: «Vi ho portato del caffè, tenete e non state in pensiero, starà lavorando».
Giovanna lo ringraziò prendendo una tazzina ma non riuscì a trattenersi dal sospirare.
«Cosa vi turba, Lady?»
«Forse era meglio una camomilla» disse Giovanna concentrandosi sul bel colore scuro del caffè e su quell’aroma che aveva la magica capacità di calmarla.
Amilcare spalancò gli occhi: «Madame Elen sta forse nervosa?».
«Non le sopporto,» rispose la ragazza «parlano di me come se non ci fossi.»
Amilcare scosse la testa comprensivo e la ragazza continuò: «Ma tu, di preciso, da quanto lavori per la mia famiglia?».
«Da quando eri una guaglioncella» disse l’uomo guardandola negli occhi con amore. «Come eri bella agli occhi di Amilcare tuo, la più bella di tutta Capri!»
Giovanna non riuscì a trattenere un sorriso.
«Le vostre sorelle sono dentro?» chiese Amilcare.
«Quando hai preso servizio, Irma era già a Milano?»
«No, in Svizzera stava. Vado prima che si raffreddi» disse Amilcare accennando alle tazzine ancora fumanti sul vassoio.
«Sai perché ha scelto di finire la scuola là?» Giovanna non sembrava avere voglia di far arrivare il caffè alle sorelle.
Il maggiordomo si fermò indeciso e Giovanna vide la scintilla del gossip nei suoi occhi.
«Eppure a Napoli le scuole sono buone» commentò sperando di stuzzicarlo.
Amilcare sospirò e si guardò intorno per poi avvicinarsi a lei: «A “studiare”, sì… era “in punizione”! Fesso non mi fanno, Lady Giovanna!».
«In punizione?»
«Fu un’estate veramente frizzante quella della Seniorita! Madame Elen era in Inghilterra e la Seniorita Irma ballava. Quanto ballava!»
«Elena in Inghilterra» ripeté Giovanna nella speranza di far continuare il maggiordomo.
«Irma si era data alla vita di società ma non la società giusta. Sapeva tutti i pettegolezzi e…»
«Sapeva tutti i pettegolezzi» ripeté Giovanna interessata.
Monia Aglietti
Mi ha preso fin da subito, non sono una mangiatoie di libri perché ho sempre poco tempo, ma questo devo dire mi ha piacevolmente incollato alle pagine.
Volevo leggerlo con calma nei giorni di ferie, ma dopo due giorni l’ho finito, bevuto! Complimenti per la fluidità narrativa ! Lo consiglia a tutti!
Lorenzo Cafarelli (proprietario verificato)
Sin da subito il libro risulta fluente,vivo e incalzante nella ritmica.La trama scorre in un saliscendi di emozioni che ti tengono incollati alla lettura.Non ho avuto il piacere di vedere la piece teatrale ma non mancherò nel caso verrà riproposta!
Maria Paola Bordati (proprietario verificato)
Già i primi dialoghi, freschi e incalzanti, l’alone di piccoli misteri, che si percepisce fin da subito, e il divertente imbarazzo di alcune situazioni ti incollano alle pagine e la lettura prosegue veloce.
Il romanzo SORELLE PER SBAGLIO, tratto dalla omonima pièce teatrale, mantiene la situazione di partenza, la veglia funebre, le dinamiche conflittuali tra le tre sorelle, ma l’aggiunta di nuovi dettagli, nuovi eventi, divertenti equivoci e altri segreti lo rendono nuovo anche per chi ha visto la rappresentazione teatrale.
Sorelle per sbaglio è senza dubbio un romanzo che si legge tutto d’un fiato.
Kiara Fino
Questo è il secondo libro scritto da Giulia, una ragazza appassionata alla scrittura e con una mente molto creativa. Ho letto il suo primo libro, seguito vari spettacoli teatrali scritti a piú mani con alcune compagne di scrittura e seguito varie serate di poesie organizzate dal suo gruppo di scrittura creativa. Trovo i suoi racconti accattivanti e pieni di spunti di riflessione. Non ho ancora avuto il piacere di leggere il secondo libro, ma sono sicura che riuscirá come sempre a farmi sorridere. In fondo, come anticipato dall’estratto, è un modo per sdrammatizzare in lutto in famiglia!