Esistono in realtà varie categorie di scooteristi, donne che guidano l’equivalente di un ronzino solo per non avere il problema del parcheggio, genitori di ultima generazione che incastrano i figli in sedili posteriori artigianali, con barre di protezione ricavate da condutture idriche cittadine (ma questo il fabbro non l’ha detto siccome c’è crisi). Il migliore è di sicuro lo scooterista esaltato.
Lo riconosci subito ai semafori, quelli interminabili dove si crea una prima fila scomposta di scooter, arriva lui con il suo “cinquantino” di cilindrata, rombando con la marmitta modificata e sgommando con le ruote ormai lisce. Si piazza di solito vicino a moto enormi a due piani mansardate.
Lui Luigino, per gli amici “Cico” l’esaltato, caschetto slacciato sulla testa, guarda dritto davanti a sé, accelera ripetutamente per mantenere i giri, l’occhio destro gli fa un tic che lo muove nervosamente da solo, mentre lui sbuffa guardando i video di ticchettokke sul telefonino attaccato con l’elastico all’asta del parabrezza.
Rosso. Il semaforo è ancora rosso.
Il nostro protagonista sbuffa scocciatissimo, lui non può stare a perdere tempo al semaforo, deve andare a puntare sulla sua squadra al centro scommesse de “er nano”, suo amico fraterno, deve “alzare ‘na piotta” ovvero guadagnare cento “euri” almeno, perchè stasera deve uscire con Cinzia, che lui chiama affettuosamente ‘Ci’ perchè lei è un pò così, un po’ “miciona” e un po’ “aggressive”.
Inquadratura stretta. Vedo gli occhi di Cico con venuzze rosse di chi ha dormito tre ore, il tic dall’occhio è passato allo zigomo, mano nervosa sull’acceleratore, poggiato sulla pedana agita il piede ritmicamente.
Il motoelefante, assolutamente ignaro della presenza di Cico, aspetta il semaforo verde per togliersi dall’incrocio, anche lui non può perdere tempo e deve consumare 4 litri di benzina in 7 secondi per avere il suo momento di gloria, deve essere lui il primo a partire, sì lui oltrepasserà l’incrocio perdendosi in una nuvola di fumo!
Verde! Semaforo verde!
Cico rotea l’acceleratore all’inverosimile con una torsione che richiederà un mese di fisioterapia al polso, lo scooter erutta un rumore assordante, una nuvola di gas di scarico fuoriesce da quella marmitta di terza mano e si espande giusto in faccia al moto-mammuth che accelera ma troppo in fretta, ingolfando il motore e piantando la moto sul posto. Il nostro Cico parte a missile verso il centro dell’incrocio, evita un runner daltonico, sale sul marciapiede a destra per evitare a sinistra una turista svampita troppo impegnata a scattarsi un selfie ai canotti che chiama labbra, e sparisce in una nuvola di smog, verso il centro scommesse dove troverà gli amici, er patata, er nano, er mollica e tutti gli altri.
Cico, noi non ti dimenticheremo, e sai perchè? Perchè ti ritroveremo al semaforo successivo dove ti starai mangiando i gomiti per aver beccato di nuovo il semaforo rosso e si sa, la multa per passaggio con il rosso è molto più de ‘na piotta’.
Ma il nostro Cico non è il solo protagonista di questo luna park, questo regno degli scoppiati, esistono anche gli autisti senza nome, li chiamano semplicemente “ennecciccì” (NCC, noleggio con conducente), macchina scura, giacca e occhiali scuri, incazzati di prima mattina, parola mia.
Siamo a maggio. Parto da casa come un giorno tra tanti, l’aria è ancora fresca, il mio viaggio per andare al lavoro con le due ruote è fatto di strade poco frequentate per arrivare al di là del Tevere. Lascio il mio quartiere fatto di palazzi bassi di mattoni rossi fiancheggiando gli archi dell’acquedotto Felice del 1585, passo su un cavalcavia dei binari dei treni che vanno e vengono dalla Capitale, poi sotto un piccolo arco in pietra di tufo che sembra una porta tra antico e moderno. Al semaforo la via che percorro diventa di sanpietrini, questi cubetti di pietra che compongono la strada ormai solo in centro, solo che un tempo non c’erano dei bus enormi per trasporto persone che hanno creato tanti avvallamenti e buche, che ti sembra di andare a cavallo in mezzo alla prateria, scompostamente in sella al tuo quadrupede. Insomma, tra un sanpietrino ed un tombino, in questa città più ti dirigi verso il Tevere, più il paesaggio cambia. Dalla Casilina, passando intorno a Porta Maggiore e percorrendo l’omonima via, si arriva a Piazza Vittorio Emanuele, dove è collocata una fontana del 1913 soprannominata da quei buontemponi dei Romani “fontana del fritto misto”, che raffigura tre uomini, un delfino e un polpo avvinghiati tra loro. Proseguo il mio cammino mi lascio alle spalle Piazza Santa Maria Maggiore e con una viuzza tortuosa arrivo a via Nazionale, la oltrepasso e mi faccio inghiottire dal tunnel che mi porterà nel Centro storico.
Sono fermo al semaforo. ci sono vetrine luminose 24 ore su 24, con video di modelle che sicuramente hanno sposato un buon fisioterapista per le posizioni che assumono con la schiena e poi, tante altre insegne, luci e colori, totalmente in disaccordo con lo stile dei palazzi novecenteschi. E allora via, vado verso le stradine che mi porteranno in ufficio vicino il Lungotevere, mi infilo in una strada ad imbuto sempre più stretta, per fortuna a senso unico. Fin qui tutto bene.
Ma ho parlato troppo presto.
Percorro la strada stretta, alla mia destra vetrine di negozi ancora chiusi, alla mia sinistra locali e birrerie che vorrebbero ancora dormire, mentre il camioncino delle bibite ha ricominciato lo scarico. Vedo donne che camminano litigando con i tacchi, un paffuto signore con le bretelle rosso bordeaux fuma un sigaro portando un anacronistico quotidiano sotto braccio, davanti a me vedo una macchina scura.
Lo sapevo, è un ennecciccì, autisti a noleggio, animali della giungla metropolitana.
La strada in fondo si dirama sia a destra che a sinistra, vedo che la macchina si sposta verso sinistra mentre io devo andare a destra.
Ora, confesso che in macchina io sono insopportabile con il clacson, ma in scooter la situazione è diversa, suono solo per avvertire della mia presenza. Premo con il dito sul clacson che emette due brevissimi suoni, quasi gutturali.
Ma oggi ho suonato alla persona sbagliata. Gli passo a destra per superarlo e giro sempre a destra per proseguire, faccio pochi metri e più avanti mi fermo prima di immettermi nella strada seguente, senonché vengo sorpreso da un rombo di auto dietro di me e da una vibrazione che parte dall’asfalto e mi fa tremare anche gli occhiali.
Mi affianca lui, mister ennecciccì abbassa il finestrino, è vestito di nero da capo a piedi, capelli neri brillantinati, occhiali neri. Mi fermo, apro il casco davanti e mi rivolgo verso di lui ma non riesco ad emettere una sillaba, vengo investito da un suono assordante dai decibel indescrivibili.
La sua bocca velata di bianco sui bordi si contrae, è come se la vedessi al rallentatore, con una smorfia spalanca la bocca e mi urla in faccia:
“ma che caaaaaa………oooooooooo te soniiiiiiiiii?”
lo ripete di nuovo, lo ripete ancora
“ma che caaaaaaa……oooo te soooooniiiii !!!!!”
e mentre gli si gonfiano le vene del collo ed io rimango allibito, il mio viso che dapprima aveva espressione di sfida, si apre alla compassione e gli dico:
“ma so’ le otto di mattina e già stai cosi??”
“ ma che ca……ooooooo me ne fregaaaaa che sooooo le ottoooooo! ma che mme fregaaaaaaaaaaaaaaaa !!
Dopo aver esaurito tutte le vocali disponibili in gola da qui alla pensione, il nostro mister ennecciccì ingrana la marcia e sgommando se ne va, alla ricerca della pazienza che ha perso chissà dove.
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