Per alcuni giorni andai a scuola raggiante, sapevo che al mio ritorno a casa c’era Willy ad attendermi: avevo parlato di lui a tutti, ai compagni, alle maestre, ai bidelli… avevo qualcosa di bello e volevo potermene vantare più che potevo.
Un martedì, di ritorno da scuola, non appena si aprirono le porte dello scuolabus capii che qualcosa non andava, Willy non era sul prato.
Ricordo che mamma mi venne incontro, si posizionò in ginocchio per stare alla mia altezza e poi mi disse:
− Michelangelo, Willy è scappato! Lo abbiamo cercato dappertutto, ma niente, non abbiamo idea di dove possa essere andato.
Per farmi sentire la sua vicinanza, mamma mi posò una mano sulla spalla, mi diede un abbraccio e disse:
− Dai, vai in bagno, lavati le mani e asciugati le lacrime, che abbiamo ospiti a pranzo.
Io, anche se scosso dalla brutta notizia, da bravo soldatino che ero, obbedii.
Dopo essere stato in bagno, mi presentai a tavola e salutai con cortesia tutti i presenti.
Dalla cucina arrivava uno squisito profumo di arrosto e patate, dopo la notizia della fuga di Willy non avevo molto appetito, ma per non sembrare maleducato restai seduto a tavola con gli altri invitati e assaggiai quanto di buono mamma aveva preparato.
Quando ormai il pranzo stava per giungere al termine, gli amici di papà si complimentarono con mamma per l’ottima cucina e, ricordo che, uno in particolare disse:
− Signora, da quale macellaio vi rifornite per il coniglio? Era veramente ottimo!
La mamma, a disagio, nell’imbarazzo più totale, arrossì, senza proferire risposta.
Mentre mi stavo avviando verso la mia cameretta per iniziare a fare i compiti, sentii chiaramente mio padre dire:
− Ma quale macellaio, il coniglio arriva da un allevamento qui vicino, lo abbiamo nutrito per una decina di giorni con l’erba del nostro giardino, e poi, voilà, un capolavoro da leccarsi i baffi!
La mamma si affrettò a zittire papà.
− Piano!!! che Michelangelo potrebbe sentire!
Al che papà e gli ospiti scoppiarono in una grassa risata.
Dopo poco, tutti i commensali ringraziarono mamma, salutarono con cortesia e si avviarono verso casa.
Ricordo che non versai una sola lacrima, non volevo condividere il mio dolore con nessuno.
Da quel giorno non mangiai più carne di coniglio.
I miei genitori non vennero mai a conoscenza del perché.”
Capitolo 1
La giostra
Una sera d’estate al mare.
Illuminato da un tramonto infuocato, Michelangelo, procedeva adagio tra le foglie dorate del viale alberato, accompagnato dal sibilo del vento che animava i rami degli alberi come fossero dei lunghi arti rugosi. L’andatura era quella di sempre, il suo passo quello di una persona senza una meta precisa. In lontananza, alla fine del viale, si potevano scorgere dei bagliori intermittenti… luci di festa; nell’aria si percepiva distintamente una chiassosa musica estiva, tipica delle giostre alle sagre di paese.
Michelangelo procedeva come un’ombra invisibile fra i giovani festanti, che ridevano, bevevano, si baciavano… vivevano momenti che un giorno avrebbero solo rimpianto. Dal suo sguardo trapelava invidia per quell’età perduta. Passo dopo passo, lentamente, arrivò di fronte alla giostra del tagadà, una quintana che girava come un prillo impazzito, un frisbee schizofrenico che sembrava avere come unico scopo, quello di far cadere i giovani narcisi in cerca di visibilità verso una preda ancora da conquistare.
Giunto alla panchina dinanzi alla giostra, il suo sguardo fu catturato, come ipnotizzato da un pendolo, ammaliato dalle adolescenti che giravano come trottole giulive, per inerzia si sedette e gli occhi volarono su una giovane che indossava dei pantaloncini corti rossi.
All’improvviso la ragazza sulla giostra cadde, poi, si rialzò subito di scatto senza essersi fatta niente, come un inedito Willy il Coyote.
Il pensiero di Michelangelo volò veloce ad Alice, lei adorava quella giostra, ci saliva con le amiche nelle sere d’estate al mare.
Alice dai grandi occhioni blu, come quelli delle giovani protagoniste dei cartoni manga, occhioni grandi e pieni di vita.
Con movimenti così lenti da sembrare quasi solenni, estrasse dalla tasca interna della giacca un piccolo quaderno, lo aprì, e, come in una bolla, isolato dal colorato caos che lo circondava, iniziò a leggere il diario di Alice.
Seduto sulla panchina, teneva il diario in mano come fosse una reliquia.
Il quaderno invece, non era altro che una raccolta di pensieri, aforismi, poesie, disegnini e foto incollate, tante foto in bianco e nero.
Michelangelo trattenne a stento le lacrime. Nonostante la confusione e il nodo alla gola che gli stava causando un terribile senso di soffocamento, iniziò a leggere a voce alta, come se stesse leggendo un romanzo comodamente seduto sulla logora poltrona di casa, questione di poco, poi, la sua realtà sarebbe tornata alla pioggia, al sangue e ai pois rossi.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.