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Storia di una fecondazione poco assistita (dalla mia testa)

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Nell’era dei progressi in campo sanitario, la Procreazione Medicalmente Assistita rappresenta una speranza concreta per chi desidera diventare genitore. Tuttavia, il percorso non è sempre lineare. Tra schiere di test di gravidanza, cicli di farmaci per la stimolazione ovarica e comunità online di aspiranti mamme armate di “incrocini” virtuali, la ricerca di un figlio si trasforma in una battaglia che richiede pazienza e, a volte, anche un paio di Martini. Con franchezza e ironia, “Storia di una fecondazione poco assistita (dalla mia testa)” ripercorre le tappe di un viaggio di coppia fatto di speranze, sconfitte e ripartenze. Un one-woman show che svela gli aspetti più eccentrici e quelli più intensi della PMA, tra risate e riflessioni profonde.

Avvertenze
e precauzioni d’uso

Carissima, e, o, i, u… e tutte le lettere dell’alfabeto per non fare torto a nessuno, questa storia di una fecondazione poco assistita, dalla mia testa, è il mio personale e semiserio tentativo di dare un senso al folle desiderio di genitorialità che, a un certo punto, mi ha assalita.

È una prima persona che non sempre mi rispetterà, perché la scrittura fa un po’ quel che le pare e scrive cose che non sempre combaceranno con la mia storia (e per fortuna! Tutto sarebbe stato infinitamente più noioso).

È una prima persona che però si sforzerà di essere vera e opportuna, perché, quandanche non rispetti la me stessa che ha vissuto ciò che state per leggere, desidero con tutto il cuore che abbia cura di voi, lettrici e lettori, che potreste conoscere ciò di cui parlo ed essere legati a me da quel silenzio che, sappiamo bene, nessuna parola può colmare.

È una prima persona femmina (non femminile), perché non sarebbe giusto mettere in bocca all’altro futuribile genitore ciò che probabilmente non gli è mai passato per la testa. Sarebbe così ingiusto che lo farò più e più volte, e pazienza così, se non andasse bene.

L’unica cosa con cui devi fare i conti, quando cerchi un figlio che non arriva, è la tua intimità, graffiata e sfondata. Perciò fermati e respira, piangi se vuoi e non sforzarti di sorridere. Andrà come deve, ma tu re(si)sterai.

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1. La vita fertile

Allora, cominciamo. La vita fertile di una donna si suddivide più o meno in questi periodi. Ti arriva la prima mestruazione. La fazione delle giovani piccole ipocondriache acculturate, consce del dover bastare a se stesse, accoglie l’evento con un’abbondante dose di depressione stranita. Ciclo uguale sangue, sangue uguale sporco, sporco uguale problema, problema uguale meno libertà. Ora, non si sa come si possa già essere consce a undici anni di tutto ciò, ma questo è quanto accade. Ci deve essere una disfunzione del cervello femminile che oscilla tra l’irrefrenabile bisogno di sentirsi donne e il necessario ritorno, a comando, di risentirsi bambine. Un po’ come quando facciamo l’amore. C’è la volta che vogliamo essere sbattute, c’è l’altra (che può essere la stessa volta, solo poco dopo) in cui vogliamo essere coccolate. Ma l’argomento “prossemica femminile del rapporto sessuale” lo affrontiamo dopo. Promesso.

Torniamo a noi. Questa era la fazione delle piccole donne per le quali “il corpo è mio e ne faccio quel che voglio”. L’altra fazione, quella delle preadolescenti già femmine, preoccupata di tette, culo e “farò sesso prima io”, accoglie l’arrivo del menarca come una liberazione. A proposito, ci avete mai pensato che menarca è un sostantivo maschile? Ebbene sì. Il ciclo è nostro, i dolori sono nostri, la fase pre e post mestruale è totalmente femminile, la figura di merda di sporcarsi il pantalone bianco al concerto (ditemi che l’avete fatta in molte, vi prego) è nostra, ma il sostantivo che definisce l’inizio dell’età fertile della donna no, quello è maschile. Piccole contraddizioni di una breve storie triste, amen.

Comunque, parlavamo delle “pre-enni” femmine precoci. Ebbene, per loro la prima mestruazione è un evviva, il convincimento che il corpo non è piatto, un po’ come la Terra, salvo poi imbattersi nell’idiozia ipersnobista dei terrapiattisti… ma questa è un’altra storia.

Dunque, dal momento in cui una donna inizia la sua età fertile, tendenzialmente passa un terzo della sua storia a evitare una gravidanza, un terzo a rincorrerla, un terzo a rimpiangere i due terzi precedenti. Questo a prescindere da come sia andata. Più che matematica, è geometria. Come dice il primo teorema della genitorialità: “Siamo tutti splendidi con i figli degli altri, ma con i propri le cose cambiano”. Secondo teorema della genitorialità: “Non esiste alcun teorema della genitorialità”.

Ovviamente, un terzo, un terzo e un terzo sono frazioni che stimano una certa parte di popolazione. Perché c’è chi a un figlio non ci pensa, chi non lo vuole, chi l’ha voluto e non c’è mai riuscita, chi prova ad aspettarlo con la stessa partecipazione con cui si attende l’autobus, cioè un misto di rabbia rassegnata all’impotenza. E sto parlando del bus, perché le altre impotenze, almeno quelle, arrivano! Poi c’è chi non dice cosa pensa, chi lo grida in ogni momento, chi si confida, chi confonde, chi si confessa, chi tace, chi continua ad aspettare l’autobus. Ci sono le donne che sanno cosa vogliono, quelle che dicono di saperlo e invece non lo sanno affatto, quelle che dicono una cosa ma ne vogliono un’altra e lo sanno benissimo. Ci sono le donne che un figlio lo vorrebbero e non possono, quelle che possono ma la legge non lo consente. Ci sono le donne che stanno con le donne, le donne che stanno con gli uomini, quelle che lottano per le donne, altre che soccombono agli uomini. Ci sono gli uomini che amano le donne, quelli che amano gli uomini, chi è oltre l’essere donna o uomo.

Ci sono verità plurime e, in fatto di figli, io che ancora non ne ho, mi sono fatta un’idea talmente precisa da valere adesso, mentre scrivo, e non tra qualche ora, quando avrò spento il PC. Qualunque cosa una donna possa dire, fare, pensare, dichiarare rispetto alla maternità è attendibile quanto la bacheca di Facebook. Per quel che riguarda me, credo che i figli siano la cosa più importante, per chi ce li ha e per chi non li ha. Questa, quasi quasi, la posto sul social network.

2024-04-29

Dica33

Il progetto editoriale di Storia di una fecondazione poco assistita (dalla mia testa) va avanti e sono felicissima di condividere con voi l'intervista che ho rilasciato per Dica33, il portale di salute e benessere per il cittadino. Sono stata ospite della rubrica Aperilibri condotta da Mercedes Bradaschia e ho avuto l'opportunità di raccontare il libro, la storia in esso contenuta e un po' di me stessa. Qui il link all'intervista: https://www.dica33.it/notizie/39427/mariantonietta-pugliese-storia-una-fecondazione-poco-assistita.asp, rintracciabile anche su You Tube: https://www.youtube.com/watch?v=-AJL86nuf_Q. Fatemi sapere cosa ne pensate e grazie sempre per il vostro prezioso sostegno!

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Mariantonietta Pugliese
Mariantonietta Pugliese, nata nel 1984 a Putignano, vive a Roma, dove lavora come communication manager. Laureata in Lettere, con un master in Giornalismo e comunicazione, è giornalista dal 2011 e sta conseguendo una seconda laurea in Marketing. Sposata e madre di due figli, crede nel valore degli affetti sinceri, nel silenzio rigenerante, nell’eleganza di un Martini e nella scrittura, come arte devastante e salvifica.
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