L’ennesima giornata grigia. Pioviggina. Non si può indossare un giaccone troppo pesante, ma non si può neanche uscire senza sciarpa.
Il semaforo è rosso. Davanti a me, sul ciglio della strada, ci sono un padre e una bambina che si tengono per mano, in attesa di poter attraversare. Li ho visti spesso da queste parti, ma oggi hanno qualcosa di strano. L’espressione sui loro volti è particolare, sembrano entrambi tristi, forse preoccupati.
Prima che scatti il verde mi avvicino un po’ di più, riducendo al minimo la distanza tra noi, e metto in pausa la musica che esce delle mie cuffiette per ascoltare più chiaramente le loro parole.
In realtà non conosco la loro lingua, ma lo sguardo e il tono del padre che parla mentre la ragazzina lo ascolta con gli occhioni spalancati rispondono a un linguaggio universale.
Lui è preoccupato. Ha un tono quasi burbero, ma allo stesso tempo gli trema la voce. E la bambina è lì, ferma ad ascoltare quella severità con un’aria spaesata e inquieta, come dimostra quel suo piccolo piede che tamburella senza sosta sulla strada, mentre lei si guarda intorno alla ricerca di qualcosa che possa darle un po’ di coraggio. Il bel grembiule blu risplende e risalta sul nero seta della sua pelle. Probabilmente il minuto di attesa che quel tondo rosso diventi verde le sembrerà interminabile e spaventoso.
Darò loro un nome, così da poter interpretare meglio i loro gesti, perché familiarizzare è il primo modo per comprendere l’altro.
Leila e Rudolf.
Adesso il suono di quelle parole mi è molto più chiaro: Rudolf sta rimproverando Leila per non averlo aspettato dentro la scuola al suono della campanella. Ha ritardato solo di qualche minuto perché il suo datore di lavoro lo ha trattenuto gratuitamente e lei ha così deciso di avviarsi per incontrarlo a metà strada.
Rudolf sa che Leila è in grado di tornare a casa da sola, ma semplicemente non gli va. Non vuole che corra pericoli, che sembri una figlia di nessuno, che nessuno pensi a lei, perché è questo che le hanno urlato in faccia i compagni durante la ricreazione, mentre da sola beveva un succo alla pesca; parole che l’hanno turbata al punto tale da non aver voluto aspettare il padre all’uscita neanche un minuto in più del previsto.
«Hai il grembiule sporco. Nessuno te lo ha detto?»
«Non lo avevo visto.»
«Ahahah!»
«Cosa avete da ridere?»
«Sei sola. Non hai nessuno. Mia mamma ha detto che non hai una casa, ma una barchetta. Almeno quest’estate puoi andare al mare!»
Leila al suono di quelle parole è riuscita solo a stringere forte il lembo del suo grembiule, mentre gli occhi trattenevano le lacrime. La sua mente aveva iniziato a viaggiare.
Non avrebbe saputo descrivere nella nostra lingua quello che stava provando, ma probabilmente avrebbe usato termini come: offesa, vergogna, rabbia. Sì, rabbia, perché lei ha una casa, anzi ne aveva due, solo che una ha dovuto lasciarla (non ne conosce bene il motivo, ma il papà le aveva detto che dovevano andare), mentre un’altra non somiglia molto a una casa, però è il posto dove torna ogni sera, dove dorme abbracciata al suo Rudolf, quindi, in fondo, una casa lo è.
Ma non sa spiegare tutto questo a chi ride di lei, perché non sa ancora esprimersi come vorrebbe, e soffre terribilmente a causa di quelle cattiverie ingiustificate e senza senso.
Perché quei bambini ce l’hanno con lei?
Questo ha chiesto al padre quando si sono incontrati. Ma lui ha avuto una reazione strana, è andato su tutte le furie. Ed è stato allora che Leila ha davvero creduto che quei bambini dicessero la verità.
Lei è sola. Disorientata.
In realtà anche Rudolf, quando ha incontrato Leila per strada, ha provato questo senso di confusione.
Sa già che questa notte non dormirà, starà fuori con lo sguardo perso nel vuoto. Si sente spesso così, e in questi momenti vorrebbe crollare; ma non può, deve essere la bussola della sua bambina, anche se non sa come fare, come risolvere i loro guai.
È stanco.
E mentre sta rimproverando per l’ennesima volta sua figlia per quanto accaduto, continua a provare una sorta di dispnea, come se un macigno gli premesse sul petto. Ma come si fa a spiegare a una bambina che frequenta le scuole elementari che anche un papà può avere paura? Non lo si fa. Rientra in quella categoria delle cosiddette “bugie a fin di bene”. Ma porteranno davvero a un bene? Rudolf non lo sa, così come non è ancora riuscito a capire come risolvere le cose, come far comprendere al suo capo, che lo ha trattenuto più del previsto, che non si vive di pacche sulle spalle per il buon lavoro svolto, che le ore in più non devono cadere nel dimenticatoio. Ma potrebbe davvero dirgli tutto quello che pensa con la certezza di ritrovare il suo posto l’indomani?
Con la testa affollata e il tono burbero rimprovera ancora Leila e le stringe saldamente la mano mentre attraversano la strada: sta dicendo alla sua stella che deve essere forte, e che non deve credere a quello che le dicono, perché non tutti sono buoni.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.