A sei anni, la vita di Alberto Natali cambia per sempre. Il primo giorno di scuola incontra Andrea Comacchi, un bullo che, davanti all’indifferenza collettiva, lo tormenta ininterrottamente dall’infanzia all’adolescenza.
A quindici anni, Alberto è un ragazzino insicuro, che non alza mai gli occhi da terra. Per fortuna, la sua vita ha una svolta radicale quando, durante l’ora di Educazione civica, conosce la figura di Giovanni Falcone. Il giudice diventa un’ispirazione per Alberto: lo incoraggia a non soccombere alla paura, ad alzare la testa e a camminare sulle proprie gambe.
Parte prima
Capitolo 1
Mi chiamo Alberto, ma potrei chiamarmi Giulio, Mario o in qualsiasi altro modo perché la mia è una storia come tante. Potrebbe capitare a chiunque. Forse è capitata anche a te.
Vivo a Roma, ma anche questo è un particolare senza significato.
A questo punto tu mi chiederai: Ma allora perché le scrivi queste cazzo di cose inutili?
Ti risponderò: Per farmi conoscere.
È importante. Per cui, abbi un po’ di comprensione per me e solo un po’ di pazienza. Ascolta. Poi mi dirai.
Cominciamo proprio da qui, da Alberto…
Alberto era un bambino sveglio, smilzo e scattante. A cinque anni, giocava nella squadra locale di calcio, con il numero dieci. Una foto lo ritraeva con indosso la maglia della squadra amaranto e una massa ricciuta di capelli neri che gli contornava il viso, due occhi grandi dove si rispecchiava il mondo.
Aveva un grande passione: amava la lettura più di qualsiasi altra cosa. Sin da piccolo, si chiudeva in camera e trascorreva ore in compagnia di libri e autori. Sepúlveda e Saint-Exupéry prendevano forma sotto i suoi occhi e diventavano figure animate, piene di colori. Jules Verne era il suo amico più fidato che lo portava per mano quando sotto i mari, quando sopra una mongolfiera a girare per il mondo.
Continua a leggere
Suo padre, ingegnere di una società internazionale, era molto orgoglioso di questo suo interesse, che incoraggiava con l’acquisto di libri trovati sparsi un po’ ovunque, nei suoi frequenti viaggi all’estero. Alberto leggeva anche in quelle lingue strane, di cui non capiva all’inizio il significato, ma poi lentamente la matassa si dipanava nella sua mente e prendeva la stessa forma delle parole, tanto che a sei anni conosceva anche un po’ d’inglese e di spagnolo, il suo preferito.
Tu mi chiederai: Ma perché mi racconti tutto questo?
Per tentare di farti capire come è cominciata.
Già. Come è cominciata…
Primo giorno di scuola. Alberto camminava con la mano sudata dentro quella della mamma. Il cuore gli batteva forte, mentre si dirigeva all’ingresso della scuola elementare. Parlava veloce e infilava un perché dopo l’altro, mentre la mamma gli carezzava la guancia con dolcezza, per rassicurarlo. Lo emozionava tanto sapere che da quel momento avrebbe potuto leggere tutti i libri che voleva e che poi avrebbe imparato a usare le parole bene, una accanto all’altra. La scuola non era molto lontano da casa. Alberto viveva con la famiglia a Verona.
«Vedrai che ti piacerà andare a scuola. Incontrerai nuovi bambini e ti farai tanti amici» gli sussurrò la mamma Chiara all’orecchio.
«Oh sì, mamma, non vedo l’ora» rispose Alberto con un sorriso che gli andava da una parte all’altra del viso.
Così, con il suo grembiule stirato e profumato, entrò fiero in classe. Si sedette in un banco qualsiasi, in mezzo a tanti volti sconosciuti di bambini. Dietro di lui un bambino paffutello, il doppio di lui in statura e in larghezza, ma questo contava poco perché ad Alberto avevano insegnato che il mondo è vario, diverso.
Diverso. Avrebbe imparato da quel giorno, dal suo primo giorno di scuola, il significato della parola “diverso”. Avrebbe imparato sulla sua pelle che a volte non è un arricchimento o perlomeno non lo è per tutti.
La maestra accolse i bambini in classe. Era una donna più giovane della sua mamma e non le somigliava per niente. Aveva i capelli scuri come il cioccolato e il corpo con tante curve.
Sorrise e disse a voce alta, per farsi sentire, in mezzo a tanta confusione: «Allora, bambini, per favore, vorrei che mi diceste il vostro nome, cognome e tutto quello che avete voglia di aggiungere. Siamo qui per conoscerci».
Lasciò la parola ad Alberto che, paonazzo in viso, la fissava con attenzione.
«Mi chiamo Alberto Natali e mi aspetto che la scuola mi faccia imparare.»
Dopo la sua presentazione, una risata. Solo una risata. Alberto si voltò e lo vide: il compagno del banco dietro a lui.
Andrea Comacchi.
Rosso di imbarazzo, a quel punto chinò la testa e si rimise a sedere, un gesto che non avrebbe mai dovuto fare.
La maestra proseguì chiedendo agli altri compagni di classe di finire con le presentazioni, ignorando, come spesso fanno gli adulti, i particolari che hanno un preciso significato.
«Allora! Mica ci si può far notte con le presentazioni, bambini! Via, una cosa veloce, eh» esclamò.
E i bambini continuarono contenti.
Poi, fu il turno di Andrea Comacchi: «Sono nato a Verona. Mio padre fa l’avvocato, la mia mamma è assessore in Comune» disse, mentre la faccia di Alberto era ancora rossa per l’emozione.
Ancora non sapeva Alberto che la paura è qualcosa che ti fa fremere il corpo e ti colora le guance senza che tu lo voglia. Ancora non sapeva Alberto che il corpo emette segnali di pericolo molto prima che la mente sappia cosa sta accadendo.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.