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Ma tanto… l’utente lo sa

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Consegna prevista Luglio 2023

Ennesima guida professionale? No, grazie! La raccolta di storie che avete tra le mani racconta l’esperienza utente servendosi sì della penna del Designer ma ispirandosi e affidandosi alla critica, acuta e indiscutibilmente più oggettiva, del “fruitore tipo” per eccellenza: Mario Rossi. Il nostro utente scende per la prima volta in campo parlando di se stesso in prima persona per elevarsi al ruolo di portavoce d’un malcontento, spesso taciuto, che vede come protagonista l’usabilità dei prodotti, digitali e non. Le due voci narranti designer-utente si alternano con giocosa e divertita irriverenza per rivolgere accuse al sedicente progettista, ignaro d’esser talvolta autore di contenuti fuorvianti e approssimativi, sintetizzati nella frettolosa, avvilente espressione: “Ma tanto… l’utente lo sa”.

Perché ho scritto questo libro?

Non desideravo, in virtù della mia professione, dedicarmi alla scrittura di un testo ricco di tecnicismi, né di un vademecum del corretto processo di Design Thinking (di quelli ne abbiamo a bizzeffe!); il mio scopo era quello di accendere i riflettori sulle debolezze, le frustrazioni e gli scivoloni del Designer contemporaneo che – ahinoi – si ripercuotono inevitabilmente sull’utente inducendolo a struggersi per svolgere operazioni in realtà banali ma rese inutilmente macchinose.

ANTEPRIMA NON EDITATA

           

PREFAZIONE

Di manuali sull’usabilità, sull’esperienza utente e relative buone pratiche in materia di costruzione dell’interfaccia digitale ne abbiamo a bizzeffe; se vi aspettate questo sia l’ennesimo vademecum del corretto processo di design thinking e compagnia bella… bè, non è la lettura che fa per voi!

L’elaborato che avete tra le mani si propone infatti di sovvertire le consuetudini rivolgendosi principalmente ai non addetti ai lavori e di trattare argomenti – accessibili a tutti – calati nei contesti del quotidiano; uno scritto che vuole svincolarsi da tecnicismi e sovrastrutture professionali narrando l’esperienza utente sì attraverso la penna del Designer ma ispirandosi e affidandosi alla critica, acuta e indubbiamente più oggettiva, del “fruitore tipo” per eccellenza: Mario Rossi.

Il nostro utente scende finalmente in campo parlando di se stesso in prima persona per elevarsi al ruolo di portavoce d’un malcontento, spesso taciuto, che vede come protagonista l’usabilità dei prodotti, digitali e non.

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Le due voci narranti designer-utente si alternano con giocosa irriverenza per rivolgere accuse (spesso spietate) al sedicente progettista, ignaro d’esser talvolta autore di contenuti fuorvianti e percorsi interattivi a dir poco criptici.

Schiaffeggiandolo con divertito sarcasmo, i narratori spronano il designer ad adottare un registro comunicativo allineato ai modelli mentali e al linguaggio comuni, invitando al contempo l’utente a comprendere cosa attendersi (e cosa meritarsi) da una qualsiasi interfaccia, fisica o digitale che sia.

Le storie (ora reali, ora fantasiose) descrivono quelle dinamiche psicologiche, ahinoi ricorrenti, che inducono il designer a lasciarsi sedurre dall’approssimazione e dalla frettolosità operativa tipiche del nostro tempo, fino a perdere di vista i fondamenti della propria professione: l’empatia e la capacità di costruire prodotti che parlino,  facili da usare, non solo belli da guardare.

IN FORMA VERITAS

Dimmi come sei e ti dirò cosa fai

Talvolta, nelle nostre case, si riscontra la presenza di una o più confezioni cartonate o involucri di generi – alimentari e non – demoliti brutalmente, quasi fossero reduci da un’esplosione o morsicati nervosamente da un ratto.
Al primo impatto risulta più rassicurante additare il padrone di casa come nevrotico o vandalo, incurante dei princìpi di buon uso e buon gusto. Ebbene no. Quella stessa scatola, quella stessa busta da lettera, vistosamente massacrate, sono l’avvilente sintomo/risultante di una mancata efficacia comunicativa di cui è autore il progettista di packaging. Rinunciatario e riluttante all’applicazione dei fondamenti di usabilità e fruibilità, ha dimenticato (o mai appreso) l’importanza di rendere evidente sia alla vista, sia al tatto – nel caso di consumatori affetti da cecità – quell’area deputata all’apertura del contenitore.

Generalmente mi cimento nell’impresa di mansueta spettatrice-cavia, quel tanto che basta per indagare e saggiare un paio di aspetti:

1. il mio coefficiente di sopportazione – che assimilo al cosiddetto carico di esercizio (in gergo edile) – superato il quale crollo, traendo le dovute conclusioni;

2. la misura dell’inconsapevole (in)competenza del Designer.

 

La scatola

Una sera d’estate, desiderosa di aprire una scatola di gelati di un assai noto marchio, ruotavo vorticosamente il pacco alla spasmodica ricerca di un dannatissimo premi, pigia qui, una diavolo di linguetta zigrinata in grado di assolvere alla sua mansione unica: consentirmi di prelevare un cremino. Anelavo a una incisione tratteggiata, a una micragnosa scritta che potesse rivelarsi il deus ex macchina, provvidenziale risolutore della trama, in fase di pieno arrovellamento.

Diciamo che – 1 minuto di ricerca – è fin troppo, specie in occasioni in cui le condizioni di conservazione di un dato alimento impongono tempi di permanenza esterna il più possibile prossimi ai 10 secondi. Inoltre, in virtù di un’esistenza sempre più frenetica, non dispongo d’alcun tempo da sperperare in laboriose ginnastiche mentali e fisiche nel procacciare quel che, da onesto consumatore, dovrei vedermi servito su un piatto d’argento.

Da onesto consumatore rifiuto, inoltre, il concetto stesso di ricerca.

Pertanto, il tempo massimo di esplorazione consentito affinché un prodotto di interesse (spesso profumatamente pagato) si renda discretamente usabile/accessibile, deve aggirarsi attorno ai 5 secondi, non oltre. Ma cosa rendeva irriconoscibile l’elemento di apertura della scatola? Un groviglio di fronzoli pseudoartistici campiti con un repertorio cromatico talmente vasto da far gola a un Arlecchino contaminato da richiami hawaiani. Un motivetto decorativo evocativo dell’estate e dei suoi abbaglianti addobbi iconografici riusciva a eclissare, dunque, il salvifico testo premi qui per aprire.

Per scorgerlo sono state necessarie acrobazie visive tra fitti svolazzi estetici aventi una sola ragione di esistere: mettere in risalto il tecnicismo coatto (e deleterio ai fini comunicativi) del grafico-creativo di turno, del tutto incurante delle esigenze percettive del fruitore finale. Un grafico divertito, appunto. Non un Designer. Non un comunicatore. Una macchina ostentatrice di manierismi estetici, affetta da horror vacui, come se non bastasse!

 

Ovviamente, ai fini esplicativi, ho annoverato un caso limite, in cui la grafica (in)comunicativa si afferma così prepotentemente da divorare qualsivoglia indicazione sita sulla confezione. Il mio sfinimento è sopraggiunto poco prima d’aver scovato la fatidica mezza luna pigiabile, inducendomi a ripiegare sulla becera lacerazione del cartone, a ridosso di giunture laterali non propriamente preposte all’apertura.
Esito finale: la scatola demolita come sintomo di una cattiva, fallimentare usabilità a monte, sfociata nel mancato palesamento dell’elemento di interazione.
Imputato: il sedicente Designer.
Vittime: lo sfortunato utente-consumatore; la deturpata scatola.

 

Il tubetto di dentifricio

Altro esempio di alterazione dell’integrità del prodotto per mano del consumatore ma, stavolta, per nulla ascrivibile all’incompetenza del disegnatore industriale, è il famigerato tubetto di dentifricio. Quando premuto nella porzione centrale del corpo, esso si rivela come il fedele riflesso dell’assoluta pigrizia dell’utilizzatore.

Un’insanabile offesa al senso estetico e pratico, uniti al disappunto del malcapitato convivente, costretto a riposizionare ripetutamente il contenuto-dentifricio convogliandolo verso la porzione superiore. L’ideatore della confezione, dal materiale altamente malleabile e di semplice utilizzo, è dunque sollevato da qualsivoglia responsabilità in quanto confidente nelle capacità logico/manuali del fruitore e nella sua quotidiana esigenza di agevole impiego.

Si tratta di contenitori le cui caratteristiche fisiche sono ottimizzate per una spremitura e consumo completi del prodotto. Il creatore può difatti prevedere e promuovere l’autoevidenza delle azioni da svolgere (chiudere/aprire, sollevare/abbassare, avvitare/svitare) affinché non siano mai soggette a errate interpretazioni ma non ha alcun controllo sulla condotta del soggetto interagente.
Esito finale: il tubetto, destituito di ogni sua eleganza nativa, ridotto a due distinti agglomerati di contenuto che lo costringono a piegarsi su stesso – a mo’ di dolor di pancia – è sinonimo di totale negligenza e indisciplina in fase di interazione.
Imputato: il trasandato proprietario del dentifricio.
Vittime: il disgraziato convivente; il tubetto dolorante.

La busta da lettera intestata

Questo oggetto si colloca in uno status intermedio, ovvero – in certuni casi – la colpa della distruzione è legittima conseguenza dell’assenza di una porzione sufficientemente ampia (circa 1cm), utile a uno strappo laterale che renda arduo se non impossibile intaccare l’integrità della lettera in essa contenuta; spesso si rivela del tutto inesistente; talvolta, invece, nonostante tale componente sia adeguatamente rappresentato e addirittura segnalato, il destinatario esercita uno strappo tale da pregiudicare il contenuto della busta.

Vuoi per l’impellenza di leggere la comunicazione, vuoi per difficoltà nel calibrare forza e direzione di taglio manuale, ecc… è comunque assai probabile che gli utenti non siano culturalmente avvezzi a questa tipologia di servizio, ignorandone l’esistenza pur quando resa disponibile.

Oppure, i più disciplinati, nonostante la totale assenza di quell’area cruciale, sceglieranno di avvalersi di una forbice o una taglierina, utili alla pulita estrazione del contenuto cartaceo.


In sostanza, al contrario della scatola di gelati costellata di artifici visivi e vittima di timor del vuoto, in questo caso potremmo assistere a una semplice omissione dell’elemento, a una rappresentazione esigua dello stesso oppure a una silente presenza mai evidenziata, tanto da passar del tutto inosservata.

Esito finale: una busta strappata è sì il risultato di un atto incivile o dettato da frettolosità ma, al contempo, denota ancora una volta lo scarso impegno da parte del disegnatore che ha tralasciato un aspetto determinante: la creazione di un segmento tratteggiato (ben visibile e accompagnato da opportuna indicazione) moderatamente inciso, quel tanto che basta per supportare la corretta apertura dell’involucro-busta. Deve inoltre soddisfare una serie di requisiti poiché, una diversa modalità di apertura – a differenza della scatola di gelati – comprometterebbe l’incolumità e leggibilità del contenuto della lettera:
1. ampiezza di circa 1cm ;
2. incisione tratteggiata che consenta uno strappo netto, a prova di tremore;
3. adeguata didascalia descrittiva (tirare per aprire);
Imputato: ideatore-disegnatore;
Vittime: utente destinatario; contenitore e contenuto cartacei.

 

In sintesi sosterremo che, allo stato originario, la forma di un involucro o un’interfaccia devono riflettere NON la vena artistoide dell’ideatore, ma la funzione finale per cui l’oggetto è preposto, coerentemente con il suo scopo definitivo. Pertanto sarà urgente tener conto di forma, materiali ed eventuali note descrittive apposte sulla superficie del prodotto stesso.
Altresì, le sembianze assunte dall’articolo di uso comune nello status post-acquisto, l’aspetto derivato dal maneggiamento, il suo eventuale disfacimento (escludendo uno stato patologico distruttivo del Mario Rossi di turno) la dicono assai lunga sulla carenza di accorgimenti che il Designer avrebbe avuto il dovere di mettere in atto. Persino la pigrizia del destinatario finale è imputabile al disegnatore.

Perché la pigrizia di quel Mario Rossi, il suo legittimo rifiuto alla riflessione e alla caccia dell’elemento X, lo ripeterò sino alla morte, costituisce una ragione in più – mai in meno – per ripensare e applicare strategie comunicative più fresche, più efficienti.

E persino gli oggetti ringrazieranno.

Per ammettere che una cosa non si capisce, bisogna – in effetti – capirci qualcosa. Un progettista mediocre o presuntuoso non ammetterebbe mai che la propria interfaccia sia fatta male o che possa non esser compresa, perché – forte del proprio egocentrismo – è convinto che essa sia talmente autoevidente da non esserci ragioni per cui l’utente non possa capire subito tutto. Tutto questo è sintetizzato nell’ormai famosa frase “Ma tanto… l’utente lo sa”.      Il nostro povero utente Mario Rossi, nel frattempo,                       non ci ha capito proprio un bel niente!

2022-10-11

Evento

YouTube "THE iNCIPIT" NEWS: G.G. Pintore prosegue la lettura (e interpretazione) della storia "IN FORMA VERITAS" tratta dal libro "MA TANTO... L'UTENTE LO SA" Siete curiosi? https://youtu.be/q2dfwcj0I_w?t=27
2022-05-10

Evento

YouTube Buongiorno amici, con enorme piacere mi è stato comunicato da G.G Pintore (appassionato artista, utente e autore di storie inedite raccolte sul sito THe_iNCIPIT) di aver appena pubblicato la lettura di una delle mie storie (in FORMA VERITAS) su YouTube. Complimenti per la splendida [e divertente] interpretazione: https://www.youtube.com/watch?v=bAPehUzlzHk&t=1260s

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Mafalda Signorino
Mafalda Signorino, romana, classe 1983, può definirsi una creatrice di esperienze digitali che possano coniugare usabilità e coinvolgimento emotivo. Formatasi presso l'Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma, inizia il suo percorso lavorativo nel 2005 come UI/UX Designer in varie agenzie pubblicitarie. Consulente per Il Sole 24ORE dal 2010 al
2016, prosegue la sua carriera in aziende di tecnologie informatiche tra le quali l'attuale PA Expertise (Retelit Group) in qualità di UX/UI Designer del "progetto Toyota". Attualmente è anche docente di materie quali "Modelli Mentali, UX Writing, UX Research, Wireframing e Prototipazione delle interfacce" per la scuola Labfortraining di Roma. È autrice del blog Usabilità è Comunicazione sul quale pubblica irriverenti racconti incentrati sull'interazione uomo-macchina.
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