Quante volte ci siamo imbattuti nei meandri di un prodotto web e nei suoi impraticabili processi di navigazione?
Quante volte ci siamo ritrovati a districarci in macchinosi e laboriosi percorsi interattivi dove a regnare sovrani fossero solo sconcerto e incertezza?
Ecco, lo scopo del professionista dell’usabilità e dell’esperienza utente (il cosiddetto UX designer) è aiutare l’utente a navigare, senza il rischio di naufragare nello sconfinato mare del web.
Ma chi è questa sconosciuta denominata “usabilità”? Un prodotto usabile, tendenzialmente, viene confuso o assimilato a uno strumento funzionante, un componente che si lascia “usare” con successo in quanto scevro – tecnicamente parlando – da esiti inattesi o fallimentari. Niente di più bugiardo.
Un contesto digitale o cartaceo, una segnaletica stradale, una qualsivoglia istruzione, una mera indicazione, un’interfaccia web, eccetera, si definiscono “usabili” se rispettano (e soddisfano appieno) l’esigenza legittima e sacrosanta dell’utente-fruitore di vedere ridotto a zero il proprio sforzo cognitivo mentre si adopera a interagire col prodotto/servizio finale.
Sono l’efficacia del sistema e l’immediatezza dei contenuti – concisi e incisivi – a distinguere un elaborato mediocre e ordinario da un artefatto di successo.
È quindi necessario che l’intero flusso rifletta una logica lineare, conforme a modelli e pattern mentali universali, elementari, alla stregua di un’icona o ideogramma che racchiuda in sé un significato univoco, mai fraintendibile.
Un esempio? La scritta “Toilette” accompagnata dal noto pittogramma rappresenta un messaggio assolutamente inequivocabile.
Quella di User Experience designer, pertanto, è una professione incentrata non esclusivamente sull’applicazione della compostezza formale, della coerenza stilistica e sul tentativo spasmodico di realizzare prodotti appetibili aventi il solo obiettivo di stupire e appagare la vista dell’osservatore, bensì di sottoporre al Mario Rossi di turno dei riferimenti lampanti che lo guidino efficacemente alla corretta consultazione o compilazione di un’anagrafica, all’espletamento di un servizio, all’acquisto di un viaggio o alla prenotazione di un albergo.
Il tutto deve compiersi senza grattacapi né arrovellamenti che il nostro Mario Rossi, già abbondantemente martoriato da problematiche di natura personale ed esistenziale, non merita e non desidera in alcun ambito della propria quotidianità.
Durante la lettura di questo manuale, alcuni passaggi potranno risultare cinici, drastici; riscuoteranno il disprezzo di tanti designer e progettisti sedicenti tali. Lo scopo di questi racconti non è quello di acquisire consensi, bensì di spronare alla (ri)valutazione e ottimizzazione dei processi comunicativi che ci circondano e sviluppare il senso critico e l’onestà intellettuale utili a promuovere i percorsi interattivi andati a buon fine e demolire quelli assolutamente fallimentari.
La rinuncia a eventuali tecnicismi correlati a iter progettuali o modalità di costruzione dei prodotti è dovuta proprio a questa esigenza: rivolgermi, nel design come nella scrittura, a una platea ampia e altamente eterogenea; svincolarmi a tutti i costi dall’urgenza dell’anglicismo; avvalermi di un linguaggio accessibile a tutti, ricco di metafore e scenari esemplificativi, affinché il lettore possa riconoscere, riconoscersi e rintracciare il concetto di usabilità in qualsivoglia ambito della vita quotidiana.
Instaurare un rapporto empatico con l’interlocutore è possibile, ma soprattutto doveroso. L’empatia migliora l’esistenza e la soddisfazione del fruitore finale, nonché la gratificazione del cosiddetto disegnatore dell’esperienza utente.
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