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Sono stato con persone che non sapevano catalogarle. Non ci prestavano attenzione. Una ragazza, per esempio, con cui sono stato tanto tempo: le chiedevo quale preferiva tra questo e quello e rispondeva che per lei era lo stesso. Ma come fai a non scegliere? Io invece mi conosco molto bene, e so di quali non posso fare a meno. E guai a toccarle, le cose mie, ma forse, se la persona che le tocca è meritevole, posso lasciarglielo fare. In generale, un libro me lo devi riportare il prima possibile. Però, prima di riceverlo, devi superare mille questionari di gradimento. Se me lo chiedi e stai leggendo altri due libri, quelli entreranno automaticamente in stand by e tu dovrai dedicare tutto il tuo tempo a finire il libro che ti ho prestato per poi riportarmelo. I film? Stessa cosa.
Dobbiamo entrare nell’ottica di perderci tanto tempo. Non possiamo mica schioccare le dita e trovarcele in casa. Ecco perché poi soffriamo. Inoltre, potranno anche essere sparse in giro, ma nella nostra mente hanno una loro logica precisissima. Se quel foglio di carta è messo accanto al portafogli, vuol dire che devo portarmelo dietro. Probabilmente è una lista della spesa, o comunque un elenco di cose che devo fare fuori casa. Se avessi messo quel foglio assieme al resto della carta, non avrebbe avuto senso tutto questo. Lo avrei buttato, e avrei bestemmiato.
Tu ogni tanto mi dici che hai le tue cose. A volte vorrei risponderti che siamo in due. Le mie sono esserini che attraversano il corpo da vari orifizi, escono e sprigionano un’anima. Possiamo dire la stessa cosa delle tue, ora che ci penso. Nel mio caso fanno fuoriuscire creatività. O qualcosa che ci assomiglia. Quando dici di avere le tue cose – io sono un maschietto, perdonami, non posso capirti fino in fondo – vorrei sapere davvero che cose hai. Se riconosci la loro forma, se le tue cose hanno un’identità fisica, materica, precisa e individuabile. Se hanno a che fare coi sentimenti. E se hanno a che fare coi sentimenti, presentano comunque una forma?
E invece quelle da fare, o meglio, le tue cose da fare? Quelle le riconosco molto bene la domenica. Quando andiamo a fare il brunch, ancora assonnati, e riempiamo la nostra ciotola di yogurt come fossimo in hotel e ci versiamo sopra un quintale di zucchero di canna e assaporiamo lo yogurt masticando lo zucchero e annuendo per sottolineare quanto ci piaccia.
Poi, qualche minuto prima di chiedere il conto, mi dici che oggi hai un sacco di cose da fare. Eccoti dunque usare le dita per elencarle. Il mercatino in quel polo espositivo, la mostra del pittore macchiaiolo, l’aperitivo con il vino durante la performance teatrale del nostro amico. Ti chiedo se posso venire con te. Ma certo, rispondi tu. Ed eccoci in due con un sacco di cose da fare. Eppure, non so, concepiamo due modi diversi di averle. Io me le segno in una lista, e sembra che mi vengano in mente solo nel momento in cui le scrivo. In quel momento, infatti, sembra che gli stia dando forma, sarà per la mia calligrafia, o per la “P” di “Postepay” quando scrivo di voler prelevare, quella “P” dittatrice che svetta con la sua autorità, e mi sembra quasi una cosa importante da fare, il che lo è, sia chiaro, ma è comunque poco stancante, come per esempio può essere “fare la spesa”, dove la “P” in “spesa” è comunque relegata a un ruolo inferiore. A te invece bastano le dita delle mani per elencarle, forse le hai già in testa ed è automatico? Forse ci hai pensato tutta la settimana?
A ogni cosa che facciamo si aggiungono cose. Se a quel mercatino in quel polo espositivo compriamo qualcosa, va da sé che abbiamo automaticamente una cosa in più. Su quest’ultima affermazione aprirei quasi un capitolo a parte, perché non so, ogni volta che, dopo aver acquistato qualcosa, il commesso mi porge il sacchetto, mi sento estasiato, mi sembra quasi di vederla già in casa, e questo mi capita soprattutto coi DVD, che a un certo punto mi trovo a comprare solo per riempire quella fessurina tra uno e l’altro. Ad ogni modo, come detto prima, non è solo ciò che acquistiamo, ma anche ciò che vediamo, e non è necessariamente qualcosa di fisico, come un volantino di una mostra, ma anche di poetico, come una canzone. Se quella canzone che ci piace tanto – quella famosa, dai, di quel cantante lì, dai – viene trasmessa in qualche bar, mentre per esempio sorseggiamo il caffè, va da sé che il caffè non verrà mai bevuto d’un colpo, ma in quattro o cinque sorsi, come a volerne sempre di più, o come per andare a ritmo.
Quando mi parli di futuro insieme, pronunci un elenco spropositato di cose. La macchina mia, la macchina tua, la macchina nostra, la bici mia, la bici tua, la bici nostra, casa nostra, divano nostro, tavolo nostro, cucina nostra, lavastoviglie nostra, calciobalilla tuo, cassa di birra tua (all’occorrenza nostra), letto nostro. Oggi viviamo in due stanze separate e ciascuna presenta un’ulteriore valanga di cose, che confluiranno quando andremo a vivere insieme. So già che alcune non faranno il loro ingresso lì dentro, a dire il vero, e so che alcune ora non vengono usate, ma un giorno funzioneranno proprio perché saremo in due. Mi immagino imparare a pulire le cose, lucidare le cose, cucinare grazie a delle cose, stirare delle cose. Mi immagino chiamare idraulico, elettricista, tappezziere ad aggiustare cose. Mi immagino il sorriso storto delle altre persone che ci vedono convivere con poche cose. E la preoccupazione dei nostri genitori che non riescono a camminare perché le cose che teniamo in casa sono così tante. Mi immagino i quadri. Da appendere. Le tende.
Tu ogni tanto mi dici che io non ho un bel rapporto con le cose materiali. Hai sempre confuso il mio ribrezzo per i regali di Natale con un odio nei confronti del Natale stesso. O, peggio ancora, mi hai accusato di essere contro il capitalismo. Tutt’altro. Ho solo bisogno di sentire avvicinarsi il momento di fare, comprare, vestire, arredare, regalare, ricevere una cosa. E siccome sto sempre all’erta, può accadere tutti i giorni dell’anno. Anche le cose hanno una loro etica, ed è giusto rispettarla. Non hanno un calendario. Tu mi guardi strano. E allora mi avvicino e ti bacio. Stai tranquilla, che non sono pazzo. Vuoi sapere la verità? Anche io sono stato cosa prima di essere umano, e quindi so cosa passano le cose. So come ci si sente. Ma non ti preoccupare se non capisci, abbiamo appena preso casa, prima o poi capirai che cosa ti dico. Hai presente quel film in cui tutti i giocattoli prendono vita quando il bambino non è in casa? È tutto vero. Esistono un sacco di mondi oltre a quello che vediamo, ma non ti spaventare, non sono pericolosi. Sono belli, talmente belli che ci viviamo, in tutti quei mondi. Basta solo fare attenzione.
Gianluca Simaldone (proprietario verificato)
Gran bel libro per essere stato ‘il primo’ dell’autore. Leggero; la lettura scorre piacevolmente lasciando trapelare una sensibilità non scontata ma molto sottile e raffinata. Ogni presonaggio rappresenta un cosmo che ci appartiene e la descrizione precisa dei particolari e delle ‘microsensazioni’ rende ogni storia di portata universale. Grande Fede, aspettiamo il prossimo, continua cosi… tanti tanti auguri
cristina maccarrone (proprietario verificato)
Questo è un libro che consiglio a tutti, in qualsiasi stagione, ma d’estate in particolare. Per svariati motivi: al suo interno ci sono 9 racconti che potete leggere facilmente nei momenti in cui figli/nipoti/compagni/mariti non vi stressano o mentre siete in spiaggia e riuscite a trovare l’agognato relax e questo perché ogni storia inizia e poi finisce. Ma potrebbe succedervi l’esatto contrario ossia che, dopo che iniziate un racconto, vorrete leggerne subito un altro e un altro ancora. Sì, sono come le ciliegie! Perché? Perché Federico scrive bene e dà ai suoi racconti varie interpretazioni di lettura a seconda della sensibilità, dell’umore, del proprio modo di essere. Io ho amato molto “I bambini” e mi è rimasto molto dentro e solo quello vale tutto il libro, ma anche quello che dà il titolo alla raccolta merita così come quello che ha come protagonisti la Sicilia e Milano.
Insomma, lo consiglio e sono contenta di avere sostenuto il crowdfunding!
Elena Felicani
Se il tempo è il binario di un tram, Federico ci conduce con lucidità in tante realtà diverse, alcune note, altre ignote, ma tutte potenzialmente possibili.
Ogni racconto ha il suo tempo, e in questo ogni lettore sa che può trovare il suo.
Quasi con lucidità carveriana, ogni oggetto descritto è un elemento non trascurabile, che acquista la sua forza di pagina in pagina e può diventare il punto di svolta di ogni storia.
Un esordio pazzesco!
Mary Kay (proprietario verificato)
Federico è riuscito a scrivere un libro che si legge facilmente ma senza essere banale.
Alla fine di ogni racconto mi sono ritrovata a ridere, a riflettere e ad emozionarmi.
Un libro fatto di quotidianità dove i protagonisti delle storie si trovano a dover fare i conti col tempo, che spesso si rivela essere un buon compagno di viaggio.
Marinella Brioschi (proprietario verificato)
Ogni personaggio, di ogni racconto ti appartiene in qualche modo, e non puoi fare a meno di divorare ogni parola per scoprire come andrà a finire. E puntualmente finisce che hai ancora più curiosità. Un viaggio dentro e fuori l’autore e sé stessi.